mercoledì 31 gennaio 2024
Un altro brutto, inutile articolo su Bob Dylan!
lunedì 15 gennaio 2024
I 50 anni di Planet Waves
Planet Waves (1974)
“Così canta la tua glorificazione del
progresso e della macchina del giudizio. La verità nuda è ancora proibita
dovunque possa essere vista.”
Discutere e
analizzare in termini retrospettivi alcuni dischi di Bob Dylan è una
buona occasione per mettere meglio a fuoco la sua produzione in studio.
Specialmente quando si tratta di commentare un album frainteso come Planet
Waves del 1974. I più anziani di voi certamente ricorderanno la pessima
abitudine di metà anni novanta di descrivere un artista e un prodotto artistico
come "commerciale". Probabilmente questo termine prese piede per via
del genere di musica dance, conosciuto nel nostro Paese proprio con il nome di Commerciale.
Ecco, questo album all'epoca della sua uscita venne bollato come "il
disco commerciale di Bob Dylan", mentre avrebbe potuto essere
uno dei suoi grandi ritorni. In effetti ci sono molte novità e qualche sguardo
al passato. Le due novità più rilevanti sono il fatto che questo disco venisse
prodotto e registrato nella West Coast, durante un momento dove la musica
californiana stava prendendo il sopravvento rispetto alla East Coast dove Dylan
si era fatto conoscere e si era affermato. La seconda novità riguarda
l'etichetta, non più Columbia, a Asylum Records, che significa in
pratica David Geffen ed Elliot Roberts, due nomi che non hanno
certo bisogno di presentazione. A queste due novità sostanziali bisogna inoltre
aggiungere un elemento che collega questo disco con gli anni sessanta di Dylan,
quindi un ritorno alle radici e al suo passato: Planet Waves vede come gruppo
di accompagnamento The Band. Nonostante il sodalizio artistico tra Dylan
& The Band risalga al 1965, questa è la prima volta e unica volta in
cui il cantautore registrerà in studio un disco con gli ex-Hawks. È
vero, c'era già stato The Basement Tapes, ma come sicuramente saprete
quello non era nato come un progetto ben definito e comunque non è stato registrato
in un vero studio. Le uniche sessions in studio con The Band sono quelle
poi scartate da Blonde on Blonde, che spinsero Dylan e il suo produttore
a lasciare New York per incidere a Nashville, ma quella è
un'altra storia.
Planet
Waves risente in termini
di accoglienza critica di una duplice ostilità nei confronti del suo autore.
Tuttavia il disco ottiene per la prima volta il numero uno in termini di
vendite per il mercato statunitense. Le critiche sono tendenzialmente
favorevoli, ma spesso fuori bersaglio. Si pensi ad esempio a questa
affermazione da parte di Ellen Willis del New Yorker: "Credo
che le parole siano intese come riempitivo, qui Dylan sta tentando di sottrarsi
alla sua reputazione di poeta per farci concentrare sulla musica".
Quella che
sembra una critica nemmeno così feroce, rispetto a quei buontemponi di Landau,
Marcus e Marsh, è in effetti una delle considerazioni più errate di sempre.
Prima di tutto Dylan non si reputa poeta e non ha mai affermato di scrivere per
dare maggior peso alle parole. Questa è il punto di vista della critica, che
durante gli anni abbiamo poi scoperto essere un po' impreparata sul discorso
puramente sonoro. In pratica è facile prendere un disco di Dylan e scrivere
qualche cartella sul presunto significato di questo e di quel testo. Che egli fosse
un autore sfuggente e un po' enigmatico ci sono pochi dubbi, ma resta il fatto
che nella maggior parte dei casi non abbia avuto un pari trattamento rispetto
ai suoi illustri colleghi e questo considerando la sua importanza e la carriera
longeva e ricca di successi, appare una questione difficile da comprendere, in
termini retrospettivi.
Planet
Waves non è quindi
il sequel di New Morning, nonostante sia la prima vera raccolta di brani
inediti pubblicata a tre anni di distanza da quel disco. Il valore dei testi e
delle canzoni non ha bisogno di alcuna difesa d'ufficio. A parte il successo di
Forever Young, diventata una delle canzoni simbolo del suo autore,
bisogna citare brani di spessore come Dirge, Wedding Song e Going
Going Gone. Di questo disco registrato durante il mese di novembre del 1973
bisogna dire che forse non è il suo lavoro più ispirato e coeso, ma contiene
almeno metà dei brani che sono sopra la media, come Hazel, Never Say
Goodbye e You Angel You. Certo, ci sono anche pezzi come On a
Night Like This che potevano essere risolti meglio, ma qui era importante
tornare sulla strada e riprendere da dove la giostra aveva lasciato esattamente
ben otto anni prima.
Eppure questo Planet Waves spicca come lavoro, in quanto diverso rispetto agli altri. Più apertamente personale: un dilemma pratico ed estetico, del suo autore nei confronti della consorte. Un buon disco, a tratti notevole, a tratti trascurabile, ma comunque gradevole. Lavoro ragguardevole, ma strambo. Forse l'elemento di disturbo, ingombrante è proprio The Band, da cui francamente chiunque sia appassionato di rock si aspetterebbe qualcosa in più. Per Jim Beviglia alcune esecuzioni risentono infatti del "pilota automatico" innestato da Levon Helm, Rick Danko, Garth Hudson, Richard Manuel e Robbie Robertson. Ci sono momenti in cui questo lavoro è semplicemente fantastico, altri in cui sembra un po' rigido e messo in circolazione in maniera un po' frettolosa. Premesso che oggi un disco così sarebbe acclamato come un capolavoro assoluto, bisogna escludere dal concetto di pilota automatico gli incastri e le dinamiche che fanno di Going Going Gone, di Forever Young, di Hazel e di altre tracce che si avvalgono invece di esecuzioni importanti, oggi storiche per la canzone rock seventies. Dylan sta per tornare, e se anche fosse in una fase strana e "commerciale", che male c'è?
Troviamo che il disco sia ben realizzato e con quattro, cinque brani che suonano tra i migliori di sempre realizzati in studio. Non tutti sanno che in questo lavoro c'è un omaggio e un debito verso uno degli autori chiave di Bob Dylan. Si tratta di Jack Kerouac e del suo meraviglioso Angeli di desolazione. Per chi fosse interessato consiglio la lettura del capitolo 15, prima parte, Desolazione nella solitudine. Detto questo, la cosa che ci crea un po' di rammarico, in questa occasione è la scelta del titolo. Nonostante Planet Waves sia un funzionale claim da copywriter, gli avremmo preferito il più suggestivo Ceremonies Of The Horsemen, una citazione dal brano del 1965 Love Minus Zero/No Limit. Il disco compie oggi 50 anni. Uscì infatti il 17 gennaio del 1974.
Ci sono colori i quali adorano la
solitudine, io non sono uno di loro. In quest'epoca di vetroresina sto cercando
una gemma. La sfera di cristallo non mi ha ancora mostrato niente. Ho pagato il
prezzo della solitudine, ma finalmente non ho più debiti.
Dario Greco
martedì 19 dicembre 2023
Il 2023 è stato un anno decisamente dylaniano
Il 2023 dylaniano è stato un anno
ricco di eventi e uscite. Si è aperto con la pubblicazione del diciassettesimo
volume del Bootleg Series, Fragments, dedicato esclusivamente al periodo del
capolavoro Time Out of Mind. Due versioni disponibili, tra cui quella standard
a due dischi e quella deluxe composta da cinque lp. Secondo fonti non ufficiali
questa potrebbe essere stata l’ultima pubblicazione della serie Bootleg Series,
che era partita nel marzo 1991 con la pubblicazione dei primi tre volumi.
Ad aprile è ripartito il World
Wide Tour, che questa volta toccherà anche mete che Dylan aveva trascurato
negli ultimi tempi, tra cui l’Italia con cinque date. Non si esibiva nel nostro
Paese dall’aprile 2018, quindi in epoca pre-Covid. La band con cui suona in
Italia nel 2023 è piuttosto diversa rispetto a quella di cinque anni prima.
A giugno viene pubblicato il nuovo
disco in studio. Si tratta della colonna sonora di Shadow Kingdom. Viene
svelata l’identità dei musicisti che hanno partecipato alle sessioni dell’album.
Tra i nomi spiccano quelli di due vecchi collaboratori di Dylan. In particolare
citiamo il chitarrista T-Bone Burnett e il produttore e bassista Don Was. Dylan
aveva collaborato con T-Bone Burnett ai tempi della Rolling Thunder Revue e più
recente alle nuove incisioni nel formato “ionic recording” di Blowin’ in the
Wind del 2022. Don Was aveva prodotto invece con Dylan il disco Under the Red
Sky del 1990.
Sempre per quanto riguarda vecchi
collaboratori e musicisti che hanno segnato una generazione, l’11 agosto si
spegne il membro di The Band, Robbie Robertson. Robertson, oltre a essere stato
amico e stretto collaboratore di Dylan, aveva partecipato alle registrazioni di
tre importanti lavori in studio: Blonde on Blonde, The Basement Tapes e Planet
Waves. Inoltre aveva accompagnato Dylan in tour dal 1966 al 1974. Con The Band
aveva inciso diversi brani scritti da Dylan come When I Paint My Masterpiece,
This Wheel’s on Fire, Tears of Rage, ma soprattutto il classico I Shall Be Released.
Inoltre entrambi facevano parte del cast del film documentario di Martin
Scorsese, The Last Waltz, dedicato all’addio alle scene di The Band, salvo
ripensamenti e una line up differente. Nel libro autobiografico TESTIMONY,
Robertson si sofferma sul rapporto di amicizia e di collaborazione tra la Band
e Dylan in modo approfondito e affettuoso.
A settembre Dylan partecipa a sorpresa
al Farm Aid, unendosi alla band di Mike Campbell & The Dirty Knobs, con la
partecipazione di Benmont Tench alle tastiere. I due ex-Heartbreakers (lo storico
gruppo di Tom Petty) avevano più volte partecipato a sessioni in studio e
concerti facendo da spalla a Bob Dylan. Per l’occasione Dylan torna a suonare
la chitarra elettrica in un mini set composto dai brani Maggie’s Farm,
Positively 4th Street e Ballad of a Thin Man.
Le informazioni che vanno a
completare e a concludere un anno ricco di novità e uscite, riguarda due uscite
antologiche. La prima è The Complete Budokan, box deluxe composto da due live
risalenti al tour giapponese del 1978, di cui ho parlato qui.
La seconda è la più recente e riguarda il 50th Anniversary Collection 1973, con
la pubblicazione integrale delle 28 tracce appartenenti alle sessioni della
colonna sonora del film Pat Garrett & Billy The Kid. Al momento della stesura
del testo non ho ancora ascoltato la compilation antologica, ma presumo debba
trattarsi dei mitici bootleg noti ai fan dylaniani più accaniti come Peco’s
Blues. Il bootleg non ufficiale Peco’s Blues, contemplava però una scaletta
ridotta, composto da 23 brani, anziché i ventotto ora pubblicati. Si tratta di
un’uscita in edizione limitata, realizzata per garantire i diritti d’autore di
queste sessioni che altrimenti sarebbe diventate libere, dato che stavano scadendo
i diritti essendo trascorsi 50 anni. Questa legge riguarda in special modo la
vigente regola europea sui diritti d’autore. Un prodotto destinato alla super
nicchia dei completisti e dei fandom dylaniani più hardcore, di cui però mi
sembrava giusto parlare, dato che in Italia la notizia non sta circolando in
modo adeguato e sufficiente.
Capitolo a parte meriterebbe il
Tour 2023, concluso lo scorso 3 dicembre a Evansville, Indiana. Ci sono state
grandi novità in scaletta, con Dylan e i suoi che hanno spesso eseguito cover
di altri importanti artisti come Leonard Cohen, Billy Joel, Merle Haggard,
Grateful Dead e via dicendo.
A memoria, da quando seguo Dylan, cioè da oltre 20 anni ormai, non ricordo un anno più ricco di novità e di uscite. Una vera manna per noi fandom devoti!
Di questo ve ne parlerò presto in
separata sede. Ora vi auguro buone vacanze e un felice anno nuovo!
giovedì 14 dicembre 2023
Christmas in the Heart (2009)
Avete mai sentito dire che il tempismo è tutto nella vita? Oppure che l’uomo saggio aspetta il momento giusto, mentre il pazzo lo anticipa e l’imbecille lo lascia passare? Già, il tempo, uno dei topos dylaniani per eccellenza, se vogliamo.
Le feste danno il senso del tempo che passa. Basterebbe solo questo per fornire la motivazione sufficiente a spiegare il progetto Christmas in the Heart.
Per le grandi star le uscite natalizie sono una tradizione fin dagli albori dell’industria discografica. Ora è bene specificare come alcuni degli eroi di gioventù di Dylan, fecero album natalizi. Ci sono esempi importanti che hanno contribuito a consolidare la carriera artistica di alcuni cantanti, e non ci stiamo riferendo ai classici cantanti etichettati come artisti natalizi, che oggi purtroppo sono diventati un problema sonoro durante il periodo che anticipa la natività del Cristo. In questo caso però parliamo di un disco di tradizione cristiana, realizzato da un artista ebreo come Bob Dylan. L’intento è nobile, visto che gli incassi sono destinati in beneficenza in favore delle associazioni Feeding America e del World Food Programme delle Nazioni Unite.
Il capitolo che riguarda la generosità e l’impegno sociale dell’artista sarebbe da trattare in separata sede, visto che probabilmente si tratta di uno dei musicisti che hanno sempre messo davanti al proprio ego, cause nobili. Senza elencarli tutti, diciamo solo che Bob Dylan è stato uno degli artisti più longevi e socialmente impegnati di sempre. Tuttavia il disco va contestualizzato a livello critico, come il primo di quella che sarebbe divenuta una nuova fase di riscoperta e rivalutazione di materiale non autografo pubblicato dal cantautore.
Tra il 1992 e il 2017 pubblica infatti 6 lavori in studio basati su cover, riproposizioni e brani tradizionali. Christmas in the Heart è il sequel di Together Through Life, pubblicato appena sei mesi prima, durante la primavera del 2009. Motivo per cui venne realizzato nello stesso modo in cui aveva inciso gli album precedenti. Qui troviamo la sua band che lo accompagna anche dal vivo, con l’aggiunta di David Hidalgo dei Los Lobos, del pianista Patrick Warren e di un coro che lo segue nelle tracce presenti in questo lavoro. Piuttosto che volgere tipici brani natalizi in una forma peculiare, Dylan li suonò in modo diretto. Il risultato fu sorprendente, quanto scioccante. Un abbraccio a tutto campo a quella vecchia e tranquillizzante America, un omaggio ai dischi natalizi che profuma di anni Cinquanta, dell’atmosfera in cui Dylan è cresciuto.
Restituisce tutto in modo diretto, rilevando un’anima pop insospettabile, ed è magicamente suonato, prodotto e arrangiato. Un piccolo gioiello da scartare sotto l'albero. Non sorprende per chi aveva compreso e mandato a memoria ciò che Dylan porta avanti dal 1997 con Time Out of Mind e in misura maggiore con “Love and Theft” e Modern Times. Qui però c’è pochissimo blues ed è quasi del tutto assente lo stile roadhouse, ma non è detto che questo sia un male, anzi. Col senno di poi è una dichiarazione di intenti che pubblico e critica faranno fatica a capire.
Dopo la pubblicazione dei dischi Great American Songbook (quelli della Fase Sinatra, per intenderci) diventa più semplice analizzare il percorso del Dylan anni Novanta che si affacciava al nuovo millennio. Oggi l’hype è dovuto principalmente al fatto che da dopo Tempest si attende la pubblicazione del suo ultimo, conclusivo disco in studio. Ci hanno provato già ad azzardare che lo fosse Tempest, così come sono state fatte parecchie illazioni quando è arrivata la cinquina sinatriana. Stessa cosa era capitata durante il lockdown, quando a sorpresa l’artista rilasciava sulle piattaforme una lunga dissertazione poetica, che sembra una meditata replica di American Pie di Don McLean. Il brano Murder Most Foul, dalla durata insolita e importante, è stato l’apripista del suo ultimo disco in studio: Rough and Rowdy Ways, pubblicato nel 2020.
Sottostimato e considerato un lavoro bizzarro, Christmas in the Heart ha dalla sua un cambio radicale nell’approccio sonoro, ma soprattutto nel cantato. Oltre a essere decisamente pop, ha delle qualità insite del folk, visto che dopo Time Out of Mind e “Love and Theft” dove le voci erano dominanti, qui avviene una svolta. È un lavoro disadorno, capace di mettere al centro il fraseggio e l’esecuzione. Suona maledettamente bene ed è a fuoco, tanto che ci sarà chi lo elogerà come un disco importante, proprio sotto il profilo sonoro e dell’esecuzione.
Da qui in poi Bob Dylan rilascerà album forse poco noti e con un appeal inferiore, ma suonati e cantati in modo impeccabile, con arrangiamenti raffinati e piuttosto lontani da quello che aveva realizzato in studio, durante i primi vent’anni di produzione musicale. Quasi nessuno se ne accorge e sono pochi i critici che mettono in evidenza tale aspetto. L’artista durante gli anni avrà anche perso la voce, ma ha imparato a cantare, a trovare nuove strade per accompagnare le sue canzoni e l’esecuzione di materiale altrui. Piaccia o meno, quello che ha prodotto da questo punto in avanti è realizzato in modo professionale, con arrangiamenti minimali, per certi versi originali e innovativi. In pratica uno dei paladini del low-fi ha iniziato a produrre con maggior criterio e ricchezza di mezzi. Non sono dischi per chi ama i Pink Floyd forse, ma di strada rispetto agli anni Sessanta ne è stata battuta, e nemmeno poca. Il percorso discografico di Dylan proseguirà senza sosta, ma questo disco natalizio è stato molto più importante rispetto a quanto la critica e il pubblico vogliano farci credere.
Riascoltare per credere Christmas in the Heart.
mercoledì 13 dicembre 2023
Il 2023 di Bob Dylan in pillole
Il 2023 di Bob Dylan in pillole
Gennaio
Il 27 gennaio viene pubblicato The Bootleg Series Vol. 17: Fragments – Time Out of Mind Sessions (1996–1997) è il titolo del diciassettesimo album discografico di Bob Dylan appartenente alla serie Bootleg Series, pubblicato nel 2023 dalla Legacy Records.
La compilation
include una versione remixata dell'album Time Out of Mind, outtake, versioni
alternative e dal vivo di vari brani dell'epoca. Il disco è stato pubblicato in
una versione standard su due CD e in versione estesa come cofanetto box set da
5 dischi.
Febbraio
Prosegue la mostra “Retrospectrum”
al MAXXI di Roma, dedicata alle opere di Bob Dylan. Per l’occasione viene
pubblicato anche il catalogo, col titolo omonimo della mostra.
Aprile
Il 6 aprile, con la data di Osaka, Bob Dylan torna in tour. Questa volta tornerà anche in Europa e suonerà per
cinque serate in Italia, a Luglio, con due date a Milano, una a Lucca, Perugia
e Roma.
Giugno
Viene pubblicato in versione Cd e DVD la colonna sonora del film Shadow Kingdom, 40esimo lavoro in studio di Bob Dylan. La scaletta non contiene inediti e bonus track, fatta eccezione per la traccia strumentale Sierra’s Theme.
In termini di archivio, la pubblicazione getta nuova luce sull’operazione Shadow Kingdom, in quanto svela chi ha partecipato alle sessioni in studio di questo progetto. Si tratta di vecchi e nuovi collaboratori, che non sono le persone che si erano viste in video.
Tra
questi citiamo Jeff Taylor alla fisarmonica, Don Was al contrabbasso e T-Bone Burnett
alla chitarra. Dylan quindi non utilizza la band che è solito accompagnarlo sia
in tour che nei dischi in studio. Una novità assoluta, per questi anni più
recenti.
Agosto
L’11 agosto muore il chitarrista,
cantante e compositore Robbie Robertson. Robertson, membro di The Band, è stato
per lungo tempo collaboratore di Bob Dylan, sia in studio (Blonde on Blonde, The
Basement Tapes, Planet Waves) che dal vivo (1966 e 1974). Era nato il 5 luglio
1943 e da tempo stava combattendo la sua battaglia con il cancro.
Settembre
Viene pubblicata la compilation Mixing Up The Medicine / A Retrospective, cd antologico che funge da accompagnamento al mastodontico volume cartaceo dal titolo quasi omonimo: Mixing up the Medicine, realizzato da Parker Fishel e Mark Davidson ed edito da Callaway Arts & Entertainment, in lingua inglese.
Ad oggi non ci sono informazioni su una
possibile traduzione e pubblicazione in lingua italiana.
Sabato 23 settembre, sul palco del Ruoff Music Center di Noblesville, Indiana, per il Farm Aid 2023, accompagnato dagli Heartbreakers di Tom Petty, Dylan ha eseguito per l’occasione con la chitarra elettrica tre brani dal suo repertorio storico, Maggie’s Farm, Positively 4th Street e Ballad of a Thin Man.
Novembre
Viene pubblicato The Complete Budokan, live che documenta i concerti del tour giapponese del 1978. Il cofanetto deluxe include 4 cd che testimoniano le due serate del Budokan, con i soliti gadget, libri e memorabilia delle grandi occasioni.
Il costo del box è importante, ma
getta nuova luce e rivaluta parzialmente la precedente pubblicazione del live
di Budokan, album live doppio pubblicato durante la primavera del 1979.
Dicembre
Il 3 dicembre con il concerto di
Evansville, IN si conclude la sezione del World Wide Tour dedicata al 2023.
Il 14 dicembre viene pubblicata in edizione limitata 50th Anniversary Collection: 1973.
Si tratta di un cd composto da 28 tracce, perlopiù inedite, tratte dalle sessions della colonna sonora di Pat Garrett & Billy the Kid di Sam Peckinpah.
Ecco ora la sezione dedicata ai principali anniversari del 2023
The Freewheelin’ Bob Dylan festeggia i 60 anni dalla sua prima pubblicazione. Era il 27 maggio 1963.
- Pat Garrett
& Billy the Kid, prima colonna sonora realizzata da Dylan, festeggia 50
anni dalla sua pubblicazione. Lo stesso discorso vale anche per la pellicola,
la cui prima proiezione avveniva il 23 maggio 1973. La sera prima del
compleanno di Bob!
Compie 40
anni anche il disco Infidels, ventiduesimo lavoro in studio pubblicato il 27
ottobre 1983. Il disco, che già ai tempi venne salutato come un ritorno, oggi è
considerato tra le prove più convincenti della discografia dylaniano post anni
Settanta.
Compie 30 anni anche World Gone Wrong, 29esima prova in studio che presenta esclusivamente materiale non autografo, essendo composto da cover di canzoni folk tradizionali, eseguite da Dylan in solitaria con l’accompagnamento di chitarra acustica e armonica.
- Compie 30 anni anche la registrazione del concerto The 30th Anniversary Concert Celebration, pubblicata per la prima volta il 24 agosto 1993. Il live documenta la serata di tributo realizzata il 16 ottobre 1992. Allo spettacolo hanno partecipato numerosi tra i principali artisti della musica rock statunitense e britannica - già collaboratori dell'artista di Duluth - che salutavano con la loro presenza e con l'esecuzione di cover dei classici dylaniani la carriera del cantante.
-
Compie poi 20
anni anche la colonna sonora del film Masked & Anonymous: Music from the
Motion Picture. Il film era uscito nelle sale americane durante l’estate del 2003.
martedì 21 novembre 2023
Bob Dylan Trouble No More (1979-1981)
The Bootleg Series 13: Trouble No More (1979-1981)
Pubblicato il 3 novembre 2017, The
Bootleg Series Vol. 13: Trouble No More 1979-1981 chiude, in termini cronologici
il decennio anni Settanta per quanto riguarda Bob Dylan live. Si tratta del
cosiddetto periodo Gospel, durante il quale il cantautore ha realizzato tre
dischi all’epoca piuttosto contestati; parliamo di Slow Train Coming, Saved e
Shot of Love, pubblicati tra il 1979 e il 1981. Ascoltati oggi questi lavori
possono essere rivalutati, sia a livello musicale e sonoro, sia per i
contenuti, all’epoca considerati estremi e tipici di un certo fanatismo
religioso. Sicuramente il secondo capitolo della serie, Saved, è quello
maggiormente incentrato sul Nuovo Testamento, motivo per cui allo zoccolo duro
dei fan, il disco potrebbe risultato indigesto. Musicalmente invece il discorso
è piuttosto differente, sia per la qualità delle canzoni, sia per come sono
state affrontate e realizzate le registrazioni in studio. Qui ci occupiamo però
di analizzare l’aspetto concertistico di questo periodo. Rispetto al Tour 1978,
dove Dylan aveva aggiunto fiati, archi e coriste, alcune cose cambiano, a cominciare
dalle scalette che verranno proposte per supportare la pubblicazione del suo
più recente lavoro, Slow Train Coming. Registrato nei leggendari Muscle Shoals
Sound Studios di Sheffield, Alabama, il disco si avvale di una line up di prim’ordine
che include Mark Knopfler e Pick Withers dei Dire Straits, il bassista Tim
Drummond, Barry Beckett, i Muscle Shoals Sound Studio ai fiati, più un gruppo
di coriste composto da Carolyn Dennis, Regina Havis e Helena Springs. Si
occupano della produzione Barry Beckett e Jerry Wexler. Il disco ottiene un
buon successo commerciale, ma a livello critico non va altrettanto bene,
nonostante arrivi per Dylan il suo primo Grammy Awards per la migliore
performance maschile. Sotto il profilo concertistico, i live ricalcano quello che
possiamo ascoltare su disco, con qualche brano in più, ma con materiale che
resta ancorato al nuovo repertorio gospel.
La testimonianza raccolta da
Trouble No More, è piuttosto ricca ed esaustiva, visto che il tredicesimo
volume delle Bootleg Series esce in versione standard composta da due cd e da
quella estesa, deluxe, costituita invece da otto dischi più un DVD. Qui si
possono ascoltare 100 esibizioni dal vivo più 14 brani altrimenti inediti.
Ascoltando con attenzione e con il giusto tempo che il box richiede, possiamo
assistere all’evoluzione di questo periodo di intensa attività concertistica
per Dylan e la sua nuova formazione. Nella versione standard troviamo sette
canzoni eseguite nel 1979, mentre le altre provengono dai tour del 1980 e del
1981. Inizialmente Dylan e la band eseguono solo materiale originale nuovo,
senza riproporre i classici e i numerosi cavalli di battaglia presenti nel
repertorio dell’artista. Le cose cambiano andando avanti. Nel box completo
possiamo infatti ascoltare l’esibizione di Londra del 27 giugno 1981, dove a fianco
alle nuove Gotta Serve Somebody, I Believe in You, Man
Gave Names to All the Animals e Dead Man, Dead Man, trovano posto Like a
Rolling Stone, Maggie’s Farm, I Don’t Believe You (She Acts Like We Never Have
Met), Girl from the North Country e Ballad of a Thin Man. In pratica dopo aver
condotto due anni di tour esclusivamente con il repertorio gospel, Dylan torna
sui propri passi ed esegue alcuni dei suoi grandi classici, come Mr. Tambourine
Man, Just Like a Woman, Blowin’ in the Wind, It’s All Over Now, Baby Blue e
altri pezzi più recenti come Forever Young e Knockin’ on Heaven’s Door. Anche
la critica intuisce che qualcosa è cambiato e Dylan gradualmente esce dalla
sbornia cristiana, per tornare a scrivere, incidere e cantare materiale più
eterogeneo, nonostante anche nel successivo Infidels, il tono da sermone a tema
religioso sia ancora piuttosto presente, ma trattato in maniera differente,
diciamo più ortodosso e in linea con i temi trattati già a partire dagli anni
Sessanta.
Sotto il profilo live e di esecuzione, ascoltando oggi questo 13esimo capitolo delle Bootleg Series, bisogna annotare la grande forma di Dylan come esecutore e performer, per non parlare del groove, dell’energia e del tiro della band che lo accompagnava. Un’esperienza sonora di livello assoluto che fa ben sperare dopo alcune parentesi non del tutto riuscite e ispirate, vedi Budokan. Qui invece possiamo sentire il vero suono del Dylan attuale, che guarda al presente e al futuro, senza rinnegare completamente ciò che era stato. La fase kitsch è ormai solo un ricordo. Sono spariti sia gli archi che i flauti, la sezione ritmica è tornata quella di un tempo e l’energia delle chitarre, suonate da Steve Ripley e Fred Tackett, è nuovamente centrale, mentre le tastiere hanno ancora il loro spazio, ma senza stravaganze caraibiche ed esotiche, salvo durante l’esecuzione del brano reggae Man Gave Names to All the Animals, che suona come il primo di molti omaggi alla musica di Bob Marley, di cui Dylan si scopre un grande estimatore e appassionato.
lunedì 20 novembre 2023
Bob Dylan - The Rolling Thunder Revue 1975
Riavvolgendo il nastro
dell'imponente discografia Dylaniana ritorniamo ora al 2001. A quando il Nostro
aveva da poco dato alle stampe “Love and Theft”, 31esimo lavoro in studio. Il
cantautore statunitense era fresco di Oscar per la canzone originale Things
have changed e anche ai Grammy aveva trionfato nell'edizione del 1998.
Soprattutto il suo sterminato archivio era stato finalmente aperto dando la possibilità al pubblico di recuperare in versione ufficiale una delle sue esibizioni più celebri. Mi riferisco ovviamente alla Royal Albert Hall del 1966. Quella in cui Dylan si esibiva accompagnato da un gruppo elettrico per il tour europeo. Il quarto volume delle Bootleg series viene infatti rilasciato nel 1998 e segna una delle più importanti pubblicazioni antologiche live per Bob Dylan. Mentre ne scrivo la Bootleg Series è arrivata al volume 17, alternando materiale di archivio in studio con registrazioni di live epocali. Nel 2002 viene pubblicato il volume 5 che rende giustizia a uno dei periodi più importanti per quanto riguarda l'attività concertistica del cantautore americano. Si tratta ovviamente del Rolling Thunder Revue, tour del 1975.
Fino a questo momento a livello ufficiale
si conosceva solo quello che era contenuto nel film Renaldo e Clara. E poi
c'era Hard Rain del 1976. Quella era però la seconda formazione e il tour
successivo, con una scaletta e una band differente rispetto a quella del '75.
In più Hard Rain era solo una porzione di una esibizione di Dylan. Il quinto
volume delle Bootleg series è invece un bel doppio cd che getta nuova luce su
un periodo esaltante e imperdibile per ogni appassionato di musica che si
rispetti.
Ventidue tracce che comprendono brani di diversi periodi, inclusi alcuni inediti. Si parte subito forte, fortissimo con i nuovi arrangiamenti di Tonight I’ll Be Staying Here with You, di It Ain't me Babe e ancora di A Hard Rain’s A-Gonna Fall e di The Lonesome Death of Hattie Carrol. Arrivano poi due brani tratti da Desire, che all’epoca dell’esibizione non era ancora stato pubblicato. Tocca a Romance in Durango e a Isis, fare da apripista per quello che sarà poi uno dei dischi più riusciti e amati del Dylan anni Settanta.
C’è poi spazio per il revival psichedelico di Mr. Tambourine Man per una nuova versione della recente Simple Twist of Fate, per il super classico Blowin’ in the Wind e si chiude con Mama, You Been on My Mind e I Shall Be Released. Entrambe queste canzoni il pubblico le aveva ascoltato e apprezzate nelle versioni di Rod Stewart e di The Band. Stavolta però è lo stesso Dylan a tornare su questo repertorio più insolito e quindi meno conosciuto.
Il secondo disco parte subito forte con un set acustico costituito da It’s All Over Now, Baby Blue, Love Minus Zero/No Limit, Tangled Up in Blue e la tradizionale The Water is Wide. Terminato il set acustico, si torna in pompa magna con una sequenza di brani eseguiti in modo tanto energetico, quanto impeccabile. It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry, Oh, Sister, Hurricane (che in seguito diventerà un simbolo di questo periodo e uno dei cavalli di battaglia di Dylan, anche se poco eseguito in formato live) la splendida nuova One More Cup of Coffee (Valley Below), Sara, magnifica canzone dedicata alla moglie, Just Like a Woman e la conclusiva e collettiva Knockin’ on Heaven’s Door.
La formazione che accompagna Dylan comprende Joan Baez, David Mansfield, Roger McGuinn dei Byrds, Bob Neuwirth, la violinista Scarlet Rivera, conosciuta poco tempo prima passeggiando per le vie del Greenwich Village di NY, Rob Stoner al basso e direttore musicale, Howie Wyeth alla batteria, T-Bone Burnett alla chitarra, Luther Rix alle percussioni, Steven Soles alla chitarra, ma soprattutto Mick Ronson alla chitarra elettrica.
Avere in tour musicisti del livello di Ronson, T-Bone Burnett e lo stesso McGuinn, rese l’esperienza Rolling Thunder Revue, qualcosa di nuovo e inedito rispetto al solito. Innanzitutto Dylan era molto ispirato, sia in termini di performance vocale che di soluzioni sonore e di arrangiamento. Questo si percepisce ascoltando il live del 1975 già dalle prime battute e in particolare durante l’esecuzione di un classico come It Ain’t me Babe.
Qui troviamo un performer ispirato che cavalca davvero la propria epoca, con una versione piuttosto rock ed energica del pezzo. Stoner giura di essere lui l’autore di tale arrangiamento, ma conoscendo Ronson non è facile pensare che quei licks di chitarra siano in realtà farina del suo sacco. Un bagaglio musicale e umano che lo aveva portato a produrre e suonare su dischi importanti come quelli di Lou Reed e soprattutto di David Bowie.
Il tour della Rolling Thunder Revue, che per lungo tempo era
stato rappresentato esclusivamente da Hard Rain (con le esibizioni del maggio
1976 a Fort Worth, Texas e Fort Collins, Colorado) viene di fatto riabilitato e sviscerato, prima
attraverso questa quinta pubblicazione antologica delle Bootleg Series e in
seguito con l’edizione di un voluminoso box denominato The Rolling Thunder
Revue: The 1975 Live Recordings. Quattordici dischi per una durata monstre di
632 minuti, pubblicato il 7 giugno 2019. Il cofanetto venne pubblicato in
occasione della realizzazione del film documentario di Martin Scorsese Rolling
Thunder Revue: A Bob Dylan Story. Forse il box composto da 14 dischi è più un
documento per completisti e maniaci dylaniani, ma ancora oggi la quinta uscita
delle Bootleg Series costituisce uno dei migliori dischi dal vivo pubblicati da
Dylan, almeno per quanto riguarda la discografia ufficiale.
A distanza di 20 anni possiamo certamente affermare che tale lacuna andava necessariamente colmata, anche perché per un certo periodo di tempo, le pubblicazioni di dischi ufficiali live di Dylan mostravano una certa sciatteria e quasi una volontà a non voler rilasciare il meglio delle esibizioni dal vivo. Pensiamo ad esempio a Real Live, a Dylan & The Dead, ma anche allo stesso Unplugged, quando ci sarebbe la possibilità di ascoltare live come quello del Supper Club di New York del 1993. Sono già passati 30 anni da quella leggendaria esibizione e non è ancora stato pubblicato un volume antologico ufficiale dedicato a quel repertorio. Speriamo venga pubblicato, prima o poi.