mercoledì 12 giugno 2019

Impressioni su Rolling Thunder Revue - A Bob Dylan Story by Martin Scorsese


Semplicemente magnifico!
Assolutamente eccezionale!

Ehi, amico, non dirmi che ancora vai dietro alle cazzate che spara Bob Dylan?!? Con tutto quello che sta succedendo nel mondo... Fake news, gay news, rumors, social network, crash network, spare network...

E perché no? Il mondo continua a girare sempre nella stessa dimensione, mi sembra...

A te sembrano troppe cose, ma ci sono davvero tanti problemi da risolvere e frasi che vanno decifrate, sedimentate. Del resto non serve un influencer per capire da che parte tira il vento, oggi! E la risposta soffia su Instagram... 



Non servono parole e non bastano immagini per descrivere quel sapore, quella fumosa consapevolezza, quello squallido disfacimento, vitale, pulsante e inconsistente che sono stati gli anni settanta e continuano ancora a rappresentare, per l’immaginario popolare, per il cinema e per la musica statunitense, di un America ancora giovane e forte, ma al contempo stordita dalle droghe, dal clamore e dai fiumi di denaro che ruotavano attorno alla creatività, al consumo dell’arte e alla mercificazione di qualcosa di selvaggio, qualcosa di vero. 

Come Dylan, come i poeti pazzi e ubriachi, come certi cantautori difficili da etichettare, come un’intera generazione dazed and confused… Chi meglio di Martin Scorsese avrebbe potuto raccogliere e far raccontare ai suoi stessi protagonisti, colui che meglio di tutti aveva saputo raccontare e rendere mitologiche le strade di New york e di Little Italy. La strada, le molte strade che Dylan e la sua pazza carovana avevano percorso, indietro nel tempo, avanti verso una prospettiva distorta, di un racconto che era sogno e di un sogno che era per metà il racconto ubriaco del naso biondo della verità. E il divino Allen e tutto quel carrozzone di delusi, beati, ebeti poeti! Chi meglio di un poeta può raccontare la visione di un mercenario, che non sa bene perché sta combattendo, ma raccoglie le forse e continua la sua battaglia. Di inconsistente vacuità e splendore, come un tuono rotante!


Rolling Thunder Re-vue!

Fino alla resa, fino all'ultimo respiro di una nota stonata, di un’armonica ferita, che sa ancora come suonare, e ruggire e regalare poesia e speranza al mondo. Ma il mondo non ne vuole! Questo è forse il peccato originale del Bob Dylan anni settanta. E’ arrivato troppo tardi per la vittoria e troppo presto per la resa, e si è dovuto accontentare, come un Bardo di vacuità e speme di un’onorevole vittoriosa sconfitta.

Mr Tambourine Man! Play a song for me (these songs of Freedom)
E Woodstock non è mai stata così lontana, così vicina, forse… 
(Sto dicendo cazzate confuse.)
Perché non c’è successo come il fallimento
E il fallimento non è affatto un successo

Anche se nella vita a volte contano più gli affettati che l’affetto, e questo Bob Dylan sembra conoscerlo bene, sulla propria pelle, nella carne di chi ti mostra le ferite senza orgoglio e fierezza, ma come semplici verità, per tutto quello che sono, che è la vita e la vita non è la ricerca di te stesso o di qualcosa. E’ creare te stesso e forse una buona canzone… rock and roll…


Dario Greco