giovedì 10 giugno 2021

Empire Burlesque (Dylan at the Movies)

 Dylan at the Movies 

Quando Bob Dylan scrive i nuovi pezzi per quello che sarà il suo 23esimo disco in studio, la cosa che gli sta più a cuore è dimostrare, (a sé stesso) di poter stare sul pezzo ed essere competitivo con la musica che gira intorno. Un po’ quello che era stato il chiodo fisso della seconda metà dei settanta e che sarà croce e delizia durante uno dei decenni più bui per lui e per le vecchie glorie del rock e del pop. Gli anni ottanta non lasciano scampo, per tutti quelli che non sanno creare roboante musica da stadio. Basti pensare ad artisti come Bruce Springsteen e Joe Cocker, i quali pur riuscendo a produrre grandissima musica, finiranno per snaturarsi, soprattutto in rapporto al pubblico e a quel modo di produrre musica così intimo e speciale del decennio precedente. E Dylan tenterà di percorrere la stessa strada di tutti gli altri big che avevano iniziato a fare musica a cavallo tra i ‘60 e i ‘70. Per farlo si avvale di uno stuolo di musicisti di altissimo livello. Basti leggere con attenzione i crediti di Empire Burlesque per farci un'idea. Ci sono pezzi importanti di Tom Petty and The Heartbreakers, così come alcuni ex e attuali Rolling Stones, e trovano spazio perfino due membri della E Street Band (ma che poi nel disco non si sentiranno), senza contare i suoi fidati Al Kooper, Jim Keltner, Robbie Shakespeare, e le prime apparizioni di musicisti come Stuart Kimball, Benmont Tench con qui da qui in poi stringerà un sodalizio destinato a durare nel tempo. Dietro la console c'è anche il mago dei remix dance Arthur Baker, nel tentativo di dare ai suoni un’impronta al passo coi tempi e marcatamente radiofonica. L'idea è quella di mettere assieme del materiale valido per dare seguito al successo, di critica e pubblico, rappresentato dal suo disco precedente: Infidels. Purtroppo la cosa non riesce, non perché le canzoni siano prive di valore e di impegno, basti pensare che da queste session verrà scartato un pezzo come New Danville Girl, poi recuperato sull'album successivo con un nuovo titolo e un testo leggermente differente. Si tratta del brano Brownsville Girl scritto con Sam Shepard. I testi spesso richiamano a un immaginario filmico, aspetto forse più penalizzante che vincente per il lavoro finale. Non a caso si è sempre detto che Dylan deve fare Dylan, punto. Sarà così? Qui si percepisce l’idea di un album drive-in più che Disco Music, come molti hanno scritto, denigrando il risultato di Empire Burlesque.  

Al netto di un'operazione che pubblico e critica in parte rigettano, senza capire né ascoltare con impegno, (ma ci può stare, visto che siamo nei tremendi anni ottanta!) troviamo un tentativo di intercettare quel suono a metà tra rock, pop contemporaneo e soul. Il sound, tolte le diavolerie di tendenza modaiole, si rifà in modo netto al periodo 1979-1981, quel cosiddetto periodo religioso, che la critica ha killerato senza pietà. Eppure ci sono canzoni e suoni che ancora oggi possono dire la loro. Il valore di brani come I'll Remember You, Emotionally Yours, When the Night Comes Falling from the Sky, della scarna e solitaria Dark Eyes, non si discutono. C'è poi un brano che a nostro parere risulta riuscito e ben calibrato, nel tentativo di rincorrere il suono contemporaneo dell'epoca. Parliamo di Tight Connection to My Heart (Has Anybody Seen My Love). Uno dei pezzi dove Dylan riesce ad attualizzare e modernizzare il proprio canone, senza snaturarsi troppo, ma centrando l'obiettivo. Empire Burlesque come il precedente Infidels, risente per certi versi della svolta evangelica, in termini testuale. Don McLeese afferma: "Anche questo lavoro che esce come album laico, nel testo del brano di apertura recita un verso che è un riferimento esplicito al rituale cristiano della comunione. Ci sono altri episodi che riportano alla luce queste cose. Forse non le afferma, ma se ne distacca, di certo le evoca e questo ha un significato. Il soul che sentiamo nei solchi di questo lavoro, con un brano molto bello come Emotionally Yours è il perfetto ponte tra il Dylan tardo settanta e quello di metà anni ottanta. Un disco complesso ed eclettico, che è stato etichettato e giudicato come scarso, mentre era un audace tentativo di stare al passo. Il tentativo di fare un grande disco, un grande disco di Bob Dylan, con un sound attuale per l'epoca. Un suono che nei migliori episodi è certamente formidabile. O meglio: se tutti brani fossero al livello della prima traccia, di I'll Remember You e di When the Night Comes Falling from the Sky oggi potremmo parlare del riuscito sequel di Infidels. Così purtroppo non è stato. Bisogna perciò tenere il buono e archiviare i pezzi irrisolti e meno riusciti. Certo, è innegabile come di lì a breve, le canzoni brutte e non riuscite diventeranno tante, per un grande autore come Dylan. Per Alex Lubet il disco va di pari passo con brani che hanno più cambi di accordi, forme più complesse rispetto al materiale precedente. Certi brani si avvalgono di meravigliose melodie, ottimi cambi di accordi, ma non si sposano perfettamente con i testi. Una complessità musicale che nuoce all’audience dell’album, dove Dylan ci mostra di padroneggiare strumenti di cui la gente non pensava potesse servirsi. Anche il critico Robert Christgau si distacca dalla lista dei detrattori di questo episodio, affermando che nella migliore delle ipotesi Dylan ha raggiunto la professionalità che ha sempre affermato come suo obiettivo; potendo contare sul talento necessario per inventare un buon gruppo di canzoni. Per chi fosse interessato a recuperare una recensione negativa ma molto divertente, consigliamo quella di Greil Marcus, dal titolo Un’altra rentrée, apparsa su Village Voice il 13 agosto 1985. Stavolta un signorile Marcus non definisce il lavoro rifiuto alimentare organico, ma si limita a definirlo fanghiglia, un disco meglio assemblata rispetto a Street Legal (Sic!).

Peccato che chi applauda al futuro Oh Mercy non abbia apprezzato e compreso a fondo il valore e il senso di Empire Burlesque per il suo autore. Perchè senza questi esperimenti e quel desiderio ossessivo di restare sulla breccia, (un fiasco completo) non avremmo in seguito i tour con Tom Petty e la sua band, ma soprattutto non avremmo un disco nel 1989 prodotto da Daniel Lanois.

Se vi sembra poco…

Dario Twist of Fate