venerdì 26 febbraio 2021

Bob Dylan 1970 with George Harrison

Non è ancora detta l'ultima parola su uno dei periodi più controversi della parabola artistica di Bob Dylan. La pubblicazione per il grande pubblico di questa nuova uscita antologica getta luce su un periodo che divide da più di cinquant'anni i suoi estimatori, i detrattori e in certi casi anche i fan più sfegatati. Eppure se ci si abbandona davvero all'ascolto, in senso pieno e profondo, questo "1970" convince tutti a mani basse. Di certo avrà influito essermi trovato ben predisposto e in fase dylaniana e dylanista. Confesso che da un po' di giorni non ascolto altro, a eccezione di artisti comunque limitrofi e paralleli come The Band, Tom Petty, Van Morrison e George Harrison

Proprio l'ex Beatle gentile arricchisce queste registrazioni con alcune performance, forse non proprio memorabili, ma che sono il primo atto formale di quella che poi sarebbe diventato una lunga e proficua amicizia. Bob Dylan e George Harrison incroceranno infatti i flussi (passatemi la citazione di Ghostbusters) e le note delle loro chitarre più avanti, lungo la strada. Le uscite retrospettive di Bob Dylan sono una cosa per veri appassionati e collezionisti completisti. Se come me aspirate a conoscere tutto quello che Dylan ha realizzato in studio di registrazione, questa "50th Anniversary Collection 1970" farà di sicuro al caso vostro, mentre in caso contrario vi consiglio di passare direttamente alla prossima, più importante uscita. Presto o tardi ci sarà altra carne al fuoco, in questo grande falò che accompagna la nostra esistenza del ricco, monumentale canzoniere dylaniano. Ed è interessante come questo sia il materiale che andrà a comporre quello che il critico Greil Marcus commentava con la famosa espressione "What is this shit?" frase ripresa in apertura da Michael Simmons nel suo testo che accompagna le immagini del booklet dai titolo: This is what this shit is.

Ed è anche vero che questi tre dischi erano già più o meno noti, in formato di bootleg, oggi però possiamo ascoltarli e ammirarli in una veste sonora decisamente migliore. Il ché visto che parliamo di un artista eccellente come Bob Dylan fa eccome la differenza!

Evito di fare citazioni ai brani, perché salvo in qualche caso, si tratta di pezzi già noti, incluse le versioni alternative delle canzoni che compongono Self Portrait e New Morning. Eppure basta dare un'occhiata al ricco booklet per renderci conto del valore di queste sessioni e dei musicisti che vi hanno preso parte. Non solo Dylan e George Harrison, dato che gli altri musicisti sono personalità come Al Kooper, David Bromberg, Harvey Brooks, Charlie Daniels e Ron Cornelius. Mi fermo qui perché non stiamo parlando di recensire e giudicare brani o materiale nuovo, ma solo di fare una retrospettiva alternativa di cose che avevamo già ascoltato e apprezzato. Ciò nonostante per chi conosce nel dettaglio la discografia di Bob Dylan, ci saranno belle sorprese! 

Naturalmente serve, tanto per cambiare, trasporto, interesse e passione. Merce rara di questi tempi, in effetti. Time Passes Slowly, direbbe il Buon vecchio Bob!

“Go on, get out! Last words are for fools who haven't said enough!"

(Karl Marx)

mercoledì 3 febbraio 2021

Shadows in the Night

 “Realizzare questo disco è stato un autentico privilegio. Tutti conoscevamo molto bene questi brani. È stato fatto tutto dal vivo, forse in una o due registrazioni. Senza alcuna sovra incisione. Niente cuffie, niente cabina di registrazione per il cantante. Di cover ne sono state fatte abbastanza: seppellite. Quello che io e la mia band stiamo tentando è il procedimento inverso. Disseppellire i pezzi dalla tomba, per riportarli alla luce del giorno. Perché questa band non lavora con il favore delle tenebre, o meglio non sempre!” 

(Bob Dylan on “Shadows in the Night”)

Ora, ammetto di non aver seguito con grande interesse "il periodo Sinatra" di Bob Dylan, tanto che ho acquistato e ascoltato in tempo reale solo l'ultimo dei tre (o cinque) lavori: Triplicate, ma più che altro in seguito all'hype post Nobel. Nel 2014 e successivamente nei primi mesi del 2015, cioè sei anni fa, avevo da poco archiviato una delle mie parentesi musicali più intense, ma rovinose e fallimentari. Mi stavo reiventando, grazie anche al coinvolgimento di un amico, che mi aveva inserito in un discorso di selezione musicale, in giro per Cosenza e Rende. Confesso che questo Shadows in the Night non mi aveva proprio coinvolto e preso subito. Ci sono voluti anni e molti ascolti. Successe di peggio con il secondo, Fallen Angels che per quasi 4 anni non ho nemmeno ascoltato, e oggi mi rendo conto del grave sbaglio, visto che dei tre lavori dedicati al songbook americano noto come "Sinatra Era" resta attualmente il mio preferito.

Eppure, tutto inizia, si fa per dire, il 3 febbraio 2015, quando Dylan ha dato alle stampe questo 36esimo lavoro in studio: Shadows in the Night, composto da dieci tracce e nessun brano autografo, ovviamente, sequel del fortunato Tempest, che fino allo scorso 2020 resterà l'ultimo disco di Bob Dylan con brani autografi. Passata la tempesta Dylan tornerà a dimostrare il proprio valore come autore di brani propri. Qui si cimentava per la prima volta con il repertorio Sinatra, portando all'estremo le proprie idee che già dal 2001, con Love and Theft, aveva iniziato ad esplorare, con brani composti in stile swing, jazzati e altro. Piaccia o meno, la visione musicale e poetica di Dylan si allontana sempre più dallo stile che lo aveva reso celebre e popolare, quello del folk-rock anni 60-70. Per cultori e per veri audiofili appassionati.  

Dario Twist of Greco