lunedì 10 maggio 2021

Auguries of Innocence (Un’overdose d’amore)


Shot of Love (1981)

Vedere un mondo in un granello di sabbia e un paradiso in un fiore selvatico. Tenere l'infinito nel palmo della mano e l'eternità in un'ora. 

Solo una sana e consapevole fede salva l'ascoltatore dalla negatività del giudizio critico, parafrasando Fornaciari. Il gospel è una questione di fede. Shot of Love, 21esimo disco in studio di Bob Dylan viene pubblicato il 10 agosto 1981. Ottenne la top ten nel Regno Unito, ma negli States non andò oltre la 33esima posizione in classifica. La produzione dell'album è affidata a Bumps Blackwell e Chuck Plotkin, uno degli uomini chiave in studio di registrazione di Bruce Springsteen. Nel disco lo si nota subito, c'è una moltitudine di musicisti e tecnici di talento. Da Ringo Starr a Tim Drummond, da Donald Dunn a Benmont Tench, da Ron Wood a Jim Keltner, da Steve Ripley a Carl Pickhardt. Questo è probabilmente uno dei lavori più fraintesi e sottostimati di Dylan, in termini assoluti. Qui si conclude la fase "religiosa" e si apre lo scenario "anni ottanta" del suo autore. Arrivati a questo punto Dylan si era costruito una reputazione per metà fatta da detrattori, haters e critici e per metà costituita da veri appassionati ed esperti della sua musica e delle sue canzoni. E' un disco da rivalutare e posizionare dove è giusto che stia, da ora in avanti. D'accordo: non sarà coeso e coerente come Infidels, non sarà cupo e compatto come Oh Mercy, ma resta una delle migliori opere realizzate dopo Blood on the Tracks e Desire e prima del grande ritorno di Time Out of Mind e "Love and Theft". Personalmente ritengo che il dovere del critico sia di vivisezionare e smontare un disco, per renderlo maggiormente fruibile a un più vasto pubblico. Di contro c'è però quello che fa un vero appassionato. E l'appassionato, lo dice la parola stessa: vive di passione. Nel caso di un lavoro che contiene una gemma come Every Grain of Sand, è facile capire da che parte stia il nostro punto di vista. Il mio approccio a questo lavoro si è rinnovato più volte nel tempo, tanto che per una strana casualità ne possiedo addirittura tre copie. La prima masterizzata con copertina fotocopiata in bianco e nero, la seconda cartonata e la terza presa per completare la discografia live in una confezione da cinque dischi che include Real LiveDylan & The Dead. In origine il primo vero approccio a questo disco avvenne con l' ascolto del Greatest Hits 3 e dell'antologico Biograph. Ho iniziato ad ascoltare Shot of Love con 2-3 brani e ritengo che questo resti ancora oggi, a distanza di 40 anni, uno dei migliori approcci possibili. Canzoni come Heart of Mine o The Groom's Still Waiting at the Altar, ci mostrano un autore ispirato e che musicalmente non si è certo fermato in termini di scrittura a quello che aveva prodotto durante i 18 anni passati. Si tratta di un lavoro di transizione, che condurrà il suo autore verso un nuovo percorso sonoro e di scrittura. Per molti non è altro che un disco di routine. Sappiamo bene che però Dylan nel corso della sua lunga carriera ha ricevuto molte critiche e recensioni preventive, e in questo caso la disparità tra le recensioni e il prodotto finale, ascoltato in un contesto retrospettivo, appare evidente. Sia chiaro, come il lavoro che lo ha preceduto, non stiamo parlando di rivalutarlo e metterlo tra i capolavori. Non di meno, questo non è affatto "il peggior album di Dylan". O come sostiene il cecchino Lester Bangs: " Quello che troviamo in Shot of Love è il lavoro dell'operaio a giornata". Tipico commento insulso e immaturo di chi il disco probabilmente non l'aveva nemmeno ascoltato per intero, figuriamoci compreso e  analizzato. Ancora Bangs: "Il problema è che il materiale non riserva nient'altro che una lettura superficiale, dato che la maggior parte dei brani risulta incompleta e non consequenziale." Davvero arduo comprendere da quale sentimento sia mosso il critico in tale invettiva, ma forse è il caso di passare oltre. Bob Dylan dirà di questo lavoro che la maggior parte delle critiche si concentra sul ruolo di Gesù e attribuisce il problema a Boy George e qualcosa di nuovo che sta montando in termini di trend e di nuovo approccio al pop rock. Vero o no, non trovare spunti di interesse in brani come Every Grain of Sand, In the Summertime, Lenny Bruce, Heart of Mine e la stessa title track, in un contesto odierno, appare davvero arduo. Ci troviamo davanti a un lavoro complesso, nuovo e con un sound che alla lunga resta un tentativo piuttosto sofisticato per un artista come Dylan. I cambi di accordi e la struttura musicale per certi versi si associano al futuro Empire Burlesque, ma è vero che il suo autore ha fatto centro conquistando pubblico e critica con canzoni dalla struttura e dai cambi di accordi piuttosto essenziali. Eppure in questa circostanza, merito dei musicisti coinvolti e specialmente del lavoro di Jim Keltner alla batteria e di Danny Kortchmar e Steve Ripley alle chitarre, possiamo sentire qualcosa simile alle sfumature di Thelonious Monk: il massimo livello di sofisticazione raggiunto da Dylan fino a Shadows in the Night del 2015. Resta il fatto che il Dylan del periodo Gospel ha un tiro e un groove pazzesco. La musica trasuda fuoco e zolfo, colori e luci sono accesi. È un delirio di bellezza (per chi vuole cogliere) abbagliante! Come abbiamo imparato però il Dylan allegro sovente crea disagio, rancore e antipatia nella critica militante. Il cantautore sa mettere d'accordo la critica quando si strugge e annichilisce la propria anima, ma quando il blues cede il passo alla gioia, il bravo recensore punta il dito e indica lo stolto Dylan. Trovare limiti e difetti in un autore 40enne che ha mostrato di essere in stato confusionale non è certo un merito e un sinonimo di competenza e di capacità critica. Per fortuna l'artista non si cura di ciò che pensa la critica, ma tira dritto per la propria strada. Sarà il tempo a decidere, ancora una volta. Il tempo qui dice che il disco contiene almeno un capolavoro assoluto, cioè Every Grain of Sand. E anche William Blake ce lo conferma.

La critica illuminata

È "forse il suo lavoro più sublime fino ad oggi", scrive Clinton Heylin, "la sintesi di una serie di tentativi di esprimere ciò che la promessa di redenzione ha significato per lui personalmente. Every Grain of Sand è una delle sue canzoni più intensamente personali, rimane anche una delle sue più universale. Descrivendo "il tempo della mia confessione, l'ora del mio bisogno più profondo", il brano segna la conclusione del suo periodo evangelico come autore di canzoni, qualcosa che la sua posizione in coda all’album riconosce tacitamente. Paul Nelson di Rolling Stone lo ha definito il Chimes of Freedom e Mr. Tambourine Man del periodo cristiano di Bob Dylan. Questo lavoro ha sicurezza e forza su tutta la linea, ma anche vulnerabilità. L'armonica meravigliosamente idiosincratica di Dylan ha trasformato in un archetipo che trafigge il cuore e inumidisce gli occhi. E, per una volta, i testi non ti deludono. Il cristianesimo dell'artista è palpabile e comprensibile. Per un momento o due, ti tocca, mentre i cancelli del paradiso si dissolvono in un'universalità che non ha nulla a che fare con la maggior parte dell'LP”. Paul Williams nel suo volume Bob Dylan Performing Artist The Middle Years afferma: "L'amore in Every Grain of Sand, sebbene saldamente radicato nell'esperienza di conversione di Dylan e nei suoi studi biblici, va immediatamente oltre il suo contesto per comunicare un profondo e provato spirito devozionale basato su esperienze universali. Dolore di autoconsapevolezza e senso di meraviglia o soggezione per la bellezza del mondo naturale. Tim Riley ha descritto Every Grain of Sand come "una preghiera che abita la stessa zona intuitiva di Blowin 'in the Wind, quasi un inno tramandato attraverso i secoli". Il critico Milo Miles ha scritto: "Questa è l'unica canzone di Dylan in 10 anni in cui esamina un paradosso della cultura pop (che le star leggendarie in particolare devono credere in ideali più grandi di loro) in modo più eloquente di qualsiasi altro artista. Anche Bruce Springsteen nel 1988 ha citato questo disco come uno dei suoi lavori migliori, stessa cosa che farà Elvis Costello, che lo inserisce nella lista dei 500 album essenziali per una vita felice. Forse il miglior brano di Dylan in termini assoluti. Per approfondire il discorso si consiglia di recuperare i Bootleg Series Vol. 1-3 e 13 (Trouble No More). Un’ultima cosa: questa è la copertina di Bob Dylan preferita da mio nipote Giorgio. Ascoltato a distanza di quarant’anni, Shot of Love sembra invecchiare piuttosto bene, come dell’ottimo whisky. E ora dite Amen. Amen!

"Ogni notte e ogni mattino alcuni nascono per la miseria. Ogni notte e ogni mattino alcuni nascono per il dolce piacere. Alcuni nascono per il dolce piacere, alcuni nascono per l'eterna notte."

Dario Twist of Fate

domenica 9 maggio 2021

Blonde on Blonde

Quel sottile, selvaggio suono mercuriale

Blonde on Blonde, è il settimo disco realizzato in studio da Bob Dylan la cui durata corrisponde a 72 minuti e 57 secondi. Buona parte dell’accompagnamento (e del vestito sonoro) di Blonde on Blonde venne garantito da musicisti di Nashville specializzati in sessioni di registrazione come Charlie McCoy e la futura star Joe South. Va detto che molti di loro non erano abituati a lavorare con musicisti di ambito rock, ma presero confidenza con questi pezzi complessi in modo piuttosto rapido, garantendo la giusta atmosfera, anche quando un brano come “Sad Eyed Lady” continuava ad andare, senza indicazioni sul momento in cui sarebbe finita. I musicisti di Nashville hanno dato ai testi di Dylan, tipicamente ambigui, il supporto più rilassato e solidamente musicale che abbiano mai avuto. Un mix notevole di liriche, che si muove tra la descrizione realistica e quella iper-realistica.

Bob Dylan dichiarò: “Il momento in cui sono arrivato più vicino al sound che sento nella mia mente è stato proprio durante le sessions di Blonde on Blonde. Si tratta di quel suono sottile, da spirito selvaggio. È metallico, oro brillante, qualsiasi cosa evochi.” Riuscite a trovare una definizione migliore di questa per descrivere questo capolavoro?

Che vada in malora il concetto di concept album: questo doppio album è una delle migliori raccolte di canzoni killer mai ascoltate per chi ha orecchie da intendere. Non ve lo dico io, è un dato oggettivo e insindacabile. Semmai il problema è diametralmente opposto: proprio come concept omogeneo il disco "fallisce". Si fa per dire, naturalmente. Il tema è l'amore anzi il canto anfetaminico di un giovane uomo alla ricerca di un posto nel mondo. Un tema che ancora oggi a distanza di quasi sessant’anni suona dannatamente attuale. C'è il disagio, il malessere del viaggio, spirituale e non. C'è il blues e c'è la ricerca interiore, c'è la beat generation e il suprematismo. C'è la grandezza e la spavalderia dell'essere giovani. Sentimento che Dylan ha continuato a coltivare e che ancora oggi si ostina a preservare. Un mio amico di pennino mi dice spesso che per restare un grande artista bisogna osare e se necessario andare a pisciare nei bassifondi dell'anima che ci inghiotte e che ghermisce questa sempiterna notte. Per comprendere dove termina il caos e inizia lo stato dell'arte bisogna però ascoltare gli outtakes contenuti in The Bootleg Series 12 The Cutting Edge. Serve audacia e virtù, serve quella passione che nel cuore della notte ti fa scrivere, comporre e suonare brani come Visions of Johanna, canzoni come Just Like a Woman. Delle prime sessions di New York verrà mantenuta nell’editing finale la registrazione del solo brano One of Us Must Know, dove va evidenziato l’ottimo lavoro della sezione ritmica a opera di Rick Danko e Bobby Gregg, del pianoforte di Paul Griffin e dell’organo Hammond di Al Kooper.

Dylan canta della dolce Marie, ma anche di Johanna e Louise e dedica il gran finale alla sua amata Sara Lownds, che diventa qui Sad Eyed of Lowlands. Sul fatto che il disco trabocchi di romanticismo e surrealismo, ci sono pochi dubbi. Canzoni d’amore che in modo differente sono la cifra stilistica di pezzi come Just like a Woman, I Want You, One of Us Must Know, 4th Time Around e Leopard-Skin Pill-Box Hat.

Hitchcock su Visions of Johanna

Per il poeta Andrew Motion Visions of Johanna è il miglior testo di canzone mai scritto, prova evidente del brillante uso del linguaggio da parte del suo autore; il pensiero del cantautore Robyn Hitchcock combacia alla perfezione con le dichiarazioni del Motion: “Visions of Johanna per me è la matrice. È da lì che provengo come autore di canzoni. Questo brano definisce le potenzialità di una canzone, il motivo per cui vale la pena cercare di scriverne. Bob Dylan con questo disco mi fece capire che questo era il lavoro che intendevo fare nella vita. Quando sarò grande voglio che il mio impiego sia scrivere pezzi come Visions of Johanna. Canzoni che nello spazio della stessa frase ti facciano ridere e piangere, in pratica”.

Basterebbe scrivere un brano come Visions of Johanna, ispirato allo stile di T.S. Eliot e forse in debito verso il Jack Kerouac, per dare peso e senso a una carriera da cantautore. Il tutto avviene dopo aver già dato alle stampe brani come Mr. Tambourine Man e Desolation Row, dopo aver creato quell’instabile suono al mercurio su figure retoriche audaci ed efficaci, metafore surrealiste e immagini folli e distorte, che solo in apparenza sono figlie dello sballo e del delirio. Cosa c'è di meglio che lasciarsi andare alla fantasia, all'immaginazione e al sentimento, quando hai poco più di 20-30 o anche 50 anni. Bob Dylan è un tipetto impertinente che ti dice cosa pensare, ma che non ha bisogno del tuo giudizio e del tuo supporto, è spavaldo e coraggioso e sa che non ci sono prigionieri da fare quando si è in missione per conto dell'arte, perché questo lavoro è arte impressa su bobina, non ci sono canzoni, non ci sono versi, arrangiamenti e accordi o tonalità. Basterebbe perdersi nei blues ancestrali raffinati e melliflui dell'organo di Al Kooper, delle soffiate urgenti di Dylan in una dolce e accogliente armonica e poi la crema dei musicisti di Nashville, che non sono ancora stati contaminati con il rock urbano e che per questo motivo contribuiscono a dare vita al capolavoro che sarà Blonde on Blonde.

Un vero capolavoro non ti conquista al primo ascolto e nemmeno al decimo. Un vero capolavoro si impone al 37esimo ascolto. Così è stato per me: in una notte di tempesta, dove tuoni e fulmini dominavano la notte irlandese e il cd volteggiava nel mio impianto di pochi euro, dopo una capatina a quel Virgin Store di Cork. Dio benedica quella commessa lenta che non aveva fretta di chiudere. E Dio benedica Dylan e la sua gioiosa macchina da guerra che non fa prigionieri né ti chiede un riscatto. La redenzione è nelle orecchie di chi vuole intendere e ha intenzione di portarsi avanti con l'ascolto. Dylan non ti invita a uscire con lui e non è nemmeno un buon amico, ma del resto i grandi artisti, i veri Maestri hanno bisogno di questo? Loro ti possono conquistare con uno sguardo, con un riff di Hammond o con una parola sussurrata in un brano, che sembra non avere mai fine.

Se vi sembrano lunghe le strofe di Visions of Johanna, allora non siete ancora giunti alla fine del secondo disco. Queste sono le quattro facciate con cui il rock accede ai piani alti dell'Accademia delle Belle Arti. Non fila tutto liscio, c’è qualche passo falso e un paio di momenti di esitazione. È un'opera capace di guidarvi nel viaggio al termine della notte. “È un biglietto di sola andata per la terra promessa” per dirla alla Bruce Springsteen. Ci sono brani dove il piano di Hargus "Pig" Robbins guida le danze come se fossimo a un galà in cui la bella dama attende che qualcuno la inviti al valzer finale; in altre circostanze l'organo di Al Kooper suona letteralmente la carica mentre la sezione ritmica è elastica, pronta, ma allo stesso tempo rilassata. Il suo autore dovrà sfogarsi per bene, prima di cedere il passo alla resa e alla rassegnazione di quella imperiosa ballata agrodolce che è Sad Eyed Lady of The Lowlands.

In un album, anzi due, dove il tempo è tutto o quasi, ci si abbandona ora a una suite che dura oltre dieci minuti. Il testo ci porta in luoghi che non sapevamo ancora di conoscere. Sarà il brano definitivo presente sul disco con cui Dylan verrà ricordato? Difficile dirlo visto che il Nostro continua a produrre musica e testi di livello formidabile. Da dove vengono queste canzoni? Dove ci conducono? Sono davvero la nuova Guida Michelin per la Gloria? Sono realmente il meglio che un musicista, poeta e menestrello possano concepire? Dylan non si definisce cantautore, ma non è nemmeno un musicista o un bluesman in senso classico. Eppure la musica suona secondo quella scuola e filosofia di pensiero. C'è chi parla di terzo capitolo di una ipotetica trilogia elettrica, ma a noi piace pensare che questo sia solo l'inizio di un viaggio che non è ancora terminato. Il momento iniziatico del Neverending Tour. Musica senza barriere e senza confini. Cavalcate elettriche, surrealismo e rock and roll. Musica maiuscola, comunque vogliate etichettarla. Ve ne servirà di nastro adesivo qui per mettere tutto assieme. Per incollare e appiccicare tutti i versi, le metafore, le immagini che questo disco può e deve rilasciare, nella migliore delle ipotesi. Non è Hendrix, non sono i Beatles (anche se alcune cose li ricordano), è libertà espressiva, di quelle che non senti più così spesso: perché nessuno dedicherebbe lo stesso sforzo, tutta la propria ispirazione per un semplice disco, anzi due.

La linea comica di Blonde on Blonde 

Una delle note dolenti della poetica e della forza dei testi di Dylan è rappresentata proprio dal suo sottile, fine, senso dell’umorismo e dal bisogno di non prendersi sul serio. Soprattutto negli album anni sessanta questo è uno dei tratti distintivi. Nonostante ciò quasi nessuno sembra accorgersene. Eppure in un lavoro come Blonde on Blonde, se si vuole davvero fare un’analisi testuale credibile diventa un tratto saliente, quasi fondamentale.  

Just like a woman, Rainy Day Women, Visions of Johanna, Stuck inside of Mobile e su tutte Leopard-Skin Pill-Box Hat, sono brani caratterizzati da un umorismo evidente. Questo non vuol dire che Dylan non fosse in grado di essere serio, ma parliamo di un giovane autore 25enne che sta ancora cercando il suo posto nel mondo musicale e nel tessuto sociale in cui vive. A volte un giovane vuole solo scherzare, spassarsela e giocare con gli amici. Leopard-Skin Pill-Box Hat è senza alcun dubbio un attacco verso un certo modello di donne, di classe sociale e di atteggiamento. Parliamo infatti di un autore molto vicino alla beat generation, con un modo di fare bohemièn, che attacca senza mezze misure uno dei simboli di una certa classe sociale, gente seriosa e pretenziosa. Per farci capire, il cappello a cui fa riferimento veniva indossato da personalità del calibro di Jackie Kennedy. Di contro però Dylan riesce a fare ironia e umorismo anche sulla sua stessa categoria, con atteggiamenti sfacciati, ma che non suonano mai del tutto gratuiti, amari o disperati. Un autore al comando, capace questa volta di puntare il dito contro tutto e tutti, anche contro sé stesso, se il caso dovesse richiederlo. È come una ruota sul punto di staccarsi dal carro, una matrice che in tanti hanno cercato di ricreare, il brano festaiolo che metti la domenica mattina per dare un tocco di umorismo a un giorno senza senso o senza sole. Con un numero di hit piuttosto cospicuo, ci sono brani che tendono a essere dimenticati. Tra questi però non può certo ritrovarsi, per il valore strettamente musicale, un pezzo come Stuck Inside of Mobile.

Continua qui: 


giovedì 6 maggio 2021

Fallen Angels (2016)

Fallen Angels (2016)


Fallen Angels, secondo capitolo dell'omaggio di Bob Dylan al Great American Songbook è una sorprendente raccolta di classici della canzone americana popolare che ricalca a grandi linee il manifesto programmatico a cui avevamo assistito due anni prima, con il predecessore Shadows in the Night. Trentasettesimo lavoro in studio, registrato con la stessa band che lo accompagna dal vivo, più l'aggiunta del chitarrista Dean Parks, per irrobustire la line-up, propone una selezione di dodici brani, undici dei quali erano stati in precedenza registrati e pubblicati da Frank Sinatra. L'eccezione è rappresentata da uno dei brani più coinvolgenti di questo disco: la traccia numero cinque, Skylark. Questo brano è una composizione a firma di Johnny Mercer e Hoagy Carmichael, del 1941.

Carmichael deve la propria fama a brani come "Stardust", "Georgia on My Mind", "The Nearness of You", "Heart and Soul" e “Baltimore Oriole”, brani scritti principalmente durante gli anni quaranta. Dello stesso co-autore di Skylark è anche il brano That Old Black Magic, firmato da Harold Arlen e Johnny Mercer. Per sfatare il luogo comune secondo cui Fallen Angels non rappresenterebbe una importante produzione all'interno della discografia di Bob Dylan, vorrei citare la recensione di Mat Snow, il quale sulle colonne di Mojo sostiene come Dylan in queste registrazioni ci consegni una specie di memoriale sentimentale, le quali apparentemente non hanno niente in comune con le sue canzoni elettrizzanti e moderne ma ben radicate in alcune composizione come Moonlight, Spirit on the Water, Soon After Midnight o Life is Hard.

Sembra scontato, eppure questo disco si fa notare per la bellezza e la limpidezza degli arrangiamenti, per la qualità della produzione e per la voce sempre più presente e dinamica, visto il materiale che va a trattare.

Andy Gill su The Independent ha scritto, "il tocco sobrio e la pastosa chitarra pedal-steel di Donnie Herron impongono uno stato d'animo country morbido ma colloquiale dietro l'elegante e stanco canto di Dylan".  Allo stesso modo, Jim Farber di Entertainment Weekly ha scritto: "Dylan si posa su queste parole con ironica delicatezza. La sua voce può essere roca e danneggiata da decenni di esibizioni, ma c'è bellezza nel suo carattere. Offrendo una interpretazione compassata di queste canzoni d’amore perduto e di passione ardente la malinconia dell'esperienza ". Helen Brown nella sua recensione (dopo avergli assegnato cinque stelle) per The Daily Telegraph ha elogiato le capacità vocali di Dylan nell'album, affermando: "Anche se alcune persone hanno sempre sostenuto che Dylan 'non sa cantare', la verità è che, come Sinatra, ha sempre avuto un talento straordinario per trasmettere un testo. Qui lo vediamo muoversi con disinvoltura sui versi di Johnny Mercer".

Per farla breve Fallen Angels è come una lezione di storia rilassata con tanti colpi di scena enigmatici che sovverte gli archetipi del romanticismo, dell’eroismo e delle connessioni interpersonali per rivelare qualcosa di più sinistro sulle intenzioni umane, il tutto racchiuso in una bellissima musicalità di primissimo ordine.

Non è così scontato per Bob Dylan realizzare suonare e cantare un lavoro così coeso, sobrio, concentrato e dinamico. Una sfida vinta a mani basse, con un repertorio solo apparentemente e superficialmente distante dalle sue corde. Sicuramente più significativo di tanti album pubblicati dai suoi colleghi maggiormente dotati come Willie Nelson, Rod Stewart, lo stesso Van Morrison o Linda Ronstadt.

Da veri appassionati del genere non possiamo non citare almeno i titoli di brani come "Polka Dots and Moonbeams", "All the Way", "All or Nothing at All", "That Old Black Magic" e la conclusiva ed eterna "Come Rain or Come Shine". Prodotto da Bob Dylan con lo pseudonimo di Jack Frost, questo disco è stato realizzato tra il 2015 e il 2016 nei Capitol Studios di Los Angeles ed è stato pubblicato per Columbia Records il 20 maggio 2016. 

Il pregiudizio verso questa operazione Sinatra lo delegittima rendendolo un disco difficile da scovare per chi non rientri nella categoria dell'appassionato del genere e del completista. Da rivalutare e riascoltare. Non a caso la rivista musicale Mojo lo inserisce tra i migliori 50 dischi del 2016, dove occupa la posizione numero 20. Giudizio che ci sentiamo di condividere e sposare in toto.

Dario Twist of Fate