Planet Waves (1974)
“Così canta la tua glorificazione del
progresso e della macchina del giudizio. La verità nuda è ancora proibita
dovunque possa essere vista.”
Discutere e
analizzare in termini retrospettivi alcuni dischi di Bob Dylan è una
buona occasione per mettere meglio a fuoco la sua produzione in studio.
Specialmente quando si tratta di commentare un album frainteso come Planet
Waves del 1974. I più anziani di voi certamente ricorderanno la pessima
abitudine di metà anni novanta di descrivere un artista e un prodotto artistico
come "commerciale". Probabilmente questo termine prese piede per via
del genere di musica dance, conosciuto nel nostro Paese proprio con il nome di Commerciale.
Ecco, questo album all'epoca della sua uscita venne bollato come "il
disco commerciale di Bob Dylan", mentre avrebbe potuto essere
uno dei suoi grandi ritorni. In effetti ci sono molte novità e qualche sguardo
al passato. Le due novità più rilevanti sono il fatto che questo disco venisse
prodotto e registrato nella West Coast, durante un momento dove la musica
californiana stava prendendo il sopravvento rispetto alla East Coast dove Dylan
si era fatto conoscere e si era affermato. La seconda novità riguarda
l'etichetta, non più Columbia, a Asylum Records, che significa in
pratica David Geffen ed Elliot Roberts, due nomi che non hanno
certo bisogno di presentazione. A queste due novità sostanziali bisogna inoltre
aggiungere un elemento che collega questo disco con gli anni sessanta di Dylan,
quindi un ritorno alle radici e al suo passato: Planet Waves vede come gruppo
di accompagnamento The Band. Nonostante il sodalizio artistico tra Dylan
& The Band risalga al 1965, questa è la prima volta e unica volta in
cui il cantautore registrerà in studio un disco con gli ex-Hawks. È
vero, c'era già stato The Basement Tapes, ma come sicuramente saprete
quello non era nato come un progetto ben definito e comunque non è stato registrato
in un vero studio. Le uniche sessions in studio con The Band sono quelle
poi scartate da Blonde on Blonde, che spinsero Dylan e il suo produttore
a lasciare New York per incidere a Nashville, ma quella è
un'altra storia.
Planet
Waves risente in termini
di accoglienza critica di una duplice ostilità nei confronti del suo autore.
Tuttavia il disco ottiene per la prima volta il numero uno in termini di
vendite per il mercato statunitense. Le critiche sono tendenzialmente
favorevoli, ma spesso fuori bersaglio. Si pensi ad esempio a questa
affermazione da parte di Ellen Willis del New Yorker: "Credo
che le parole siano intese come riempitivo, qui Dylan sta tentando di sottrarsi
alla sua reputazione di poeta per farci concentrare sulla musica".
Quella che
sembra una critica nemmeno così feroce, rispetto a quei buontemponi di Landau,
Marcus e Marsh, è in effetti una delle considerazioni più errate di sempre.
Prima di tutto Dylan non si reputa poeta e non ha mai affermato di scrivere per
dare maggior peso alle parole. Questa è il punto di vista della critica, che
durante gli anni abbiamo poi scoperto essere un po' impreparata sul discorso
puramente sonoro. In pratica è facile prendere un disco di Dylan e scrivere
qualche cartella sul presunto significato di questo e di quel testo. Che egli fosse
un autore sfuggente e un po' enigmatico ci sono pochi dubbi, ma resta il fatto
che nella maggior parte dei casi non abbia avuto un pari trattamento rispetto
ai suoi illustri colleghi e questo considerando la sua importanza e la carriera
longeva e ricca di successi, appare una questione difficile da comprendere, in
termini retrospettivi.
Planet
Waves non è quindi
il sequel di New Morning, nonostante sia la prima vera raccolta di brani
inediti pubblicata a tre anni di distanza da quel disco. Il valore dei testi e
delle canzoni non ha bisogno di alcuna difesa d'ufficio. A parte il successo di
Forever Young, diventata una delle canzoni simbolo del suo autore,
bisogna citare brani di spessore come Dirge, Wedding Song e Going
Going Gone. Di questo disco registrato durante il mese di novembre del 1973
bisogna dire che forse non è il suo lavoro più ispirato e coeso, ma contiene
almeno metà dei brani che sono sopra la media, come Hazel, Never Say
Goodbye e You Angel You. Certo, ci sono anche pezzi come On a
Night Like This che potevano essere risolti meglio, ma qui era importante
tornare sulla strada e riprendere da dove la giostra aveva lasciato esattamente
ben otto anni prima.
Eppure questo Planet Waves spicca come lavoro, in quanto diverso rispetto agli altri. Più apertamente personale: un dilemma pratico ed estetico, del suo autore nei confronti della consorte. Un buon disco, a tratti notevole, a tratti trascurabile, ma comunque gradevole. Lavoro ragguardevole, ma strambo. Forse l'elemento di disturbo, ingombrante è proprio The Band, da cui francamente chiunque sia appassionato di rock si aspetterebbe qualcosa in più. Per Jim Beviglia alcune esecuzioni risentono infatti del "pilota automatico" innestato da Levon Helm, Rick Danko, Garth Hudson, Richard Manuel e Robbie Robertson. Ci sono momenti in cui questo lavoro è semplicemente fantastico, altri in cui sembra un po' rigido e messo in circolazione in maniera un po' frettolosa. Premesso che oggi un disco così sarebbe acclamato come un capolavoro assoluto, bisogna escludere dal concetto di pilota automatico gli incastri e le dinamiche che fanno di Going Going Gone, di Forever Young, di Hazel e di altre tracce che si avvalgono invece di esecuzioni importanti, oggi storiche per la canzone rock seventies. Dylan sta per tornare, e se anche fosse in una fase strana e "commerciale", che male c'è?
Troviamo che il disco sia ben realizzato e con quattro, cinque brani che suonano tra i migliori di sempre realizzati in studio. Non tutti sanno che in questo lavoro c'è un omaggio e un debito verso uno degli autori chiave di Bob Dylan. Si tratta di Jack Kerouac e del suo meraviglioso Angeli di desolazione. Per chi fosse interessato consiglio la lettura del capitolo 15, prima parte, Desolazione nella solitudine. Detto questo, la cosa che ci crea un po' di rammarico, in questa occasione è la scelta del titolo. Nonostante Planet Waves sia un funzionale claim da copywriter, gli avremmo preferito il più suggestivo Ceremonies Of The Horsemen, una citazione dal brano del 1965 Love Minus Zero/No Limit. Il disco compie oggi 50 anni. Uscì infatti il 17 gennaio del 1974.
Ci sono colori i quali adorano la
solitudine, io non sono uno di loro. In quest'epoca di vetroresina sto cercando
una gemma. La sfera di cristallo non mi ha ancora mostrato niente. Ho pagato il
prezzo della solitudine, ma finalmente non ho più debiti.
Dario Greco
Sempre bravo-Dirge vale da solo l'album-
RispondiEliminaSempre bravo-Dirge vale da solo l'album-
RispondiElimina"Planet waves" mi piace tutto, dalla prima all'ultima canzone. Ottima la scoperta dell'influenza di Kerouac su Dylan.sono convinta che ci siano molti punti di contatto tra Dylan è alcuni scrittori beat. Ne ho evidenziato qualcuno, in una ricerca che è stata oggetto di una conferenza che ho svolto recentemente all'università della terza età di una cittadina vicino alla città dove vivo. Ho scoperto, con stupore, che Dylan suscita interesse tra i suoi coetanei e tra i giovani. Ottima recensione. Grazie. Carla
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