Quel sottile, selvaggio suono mercuriale
Blonde on Blonde, è il settimo disco realizzato in studio da Bob Dylan la cui durata corrisponde a 72 minuti e 57 secondi. Buona parte dell’accompagnamento (e del vestito sonoro) di Blonde on Blonde venne garantito da musicisti di Nashville specializzati in sessioni di registrazione come Charlie McCoy e la futura star Joe South. Va detto che molti di loro non erano abituati a lavorare con musicisti di ambito rock, ma presero confidenza con questi pezzi complessi in modo piuttosto rapido, garantendo la giusta atmosfera, anche quando un brano come “Sad Eyed Lady” continuava ad andare, senza indicazioni sul momento in cui sarebbe finita. I musicisti di Nashville hanno dato ai testi di Dylan, tipicamente ambigui, il supporto più rilassato e solidamente musicale che abbiano mai avuto. Un mix notevole di liriche, che si muove tra la descrizione realistica e quella iper-realistica.
Bob Dylan dichiarò: “Il momento in cui sono
arrivato più vicino al sound che sento nella mia mente è stato proprio durante
le sessions di Blonde on Blonde. Si tratta di quel suono sottile, da
spirito selvaggio. È metallico, oro brillante, qualsiasi cosa evochi.” Riuscite
a trovare una definizione migliore di questa per descrivere questo capolavoro?
Che vada in
malora il concetto di concept album: questo doppio album è una delle migliori
raccolte di canzoni killer mai ascoltate per chi ha orecchie da intendere. Non
ve lo dico io, è un dato oggettivo e insindacabile. Semmai il problema è
diametralmente opposto: proprio come concept omogeneo il disco
"fallisce". Si fa per dire, naturalmente. Il tema è l'amore anzi il
canto anfetaminico di un giovane uomo alla ricerca di un posto nel mondo. Un tema
che ancora oggi a distanza di quasi sessant’anni suona dannatamente attuale.
C'è il disagio, il malessere del viaggio, spirituale e non. C'è il blues
e c'è la ricerca interiore, c'è la beat generation e il suprematismo. C'è la
grandezza e la spavalderia dell'essere giovani. Sentimento che Dylan ha
continuato a coltivare e che ancora oggi si ostina a preservare. Un mio amico
di pennino mi dice spesso che per restare un grande artista bisogna osare e se
necessario andare a pisciare nei bassifondi dell'anima che ci inghiotte e che
ghermisce questa sempiterna notte. Per comprendere dove termina il caos e
inizia lo stato dell'arte bisogna però ascoltare gli outtakes contenuti in The
Bootleg Series 12 The Cutting Edge. Serve audacia e virtù, serve quella
passione che nel cuore della notte ti fa scrivere, comporre e suonare brani
come Visions of Johanna, canzoni come Just Like a Woman. Delle
prime sessions di New York verrà mantenuta nell’editing finale la registrazione
del solo brano One of Us Must Know, dove va evidenziato l’ottimo lavoro
della sezione ritmica a opera di Rick Danko e Bobby Gregg, del
pianoforte di Paul Griffin e dell’organo Hammond di Al Kooper.
Dylan canta della dolce Marie, ma anche di Johanna e Louise e dedica il gran finale alla sua amata Sara Lownds, che diventa qui Sad Eyed of Lowlands. Sul fatto che il disco trabocchi di romanticismo e surrealismo, ci sono pochi dubbi. Canzoni d’amore che in modo differente sono la cifra stilistica di pezzi come Just like a Woman, I Want You, One of Us Must Know, 4th Time Around e Leopard-Skin Pill-Box Hat.
Hitchcock su Visions of Johanna
Per il poeta
Andrew Motion Visions of Johanna è il miglior testo di canzone
mai scritto, prova evidente del brillante uso del linguaggio da parte del suo
autore; il pensiero del cantautore Robyn Hitchcock combacia alla
perfezione con le dichiarazioni del Motion: “Visions of Johanna per me è
la matrice. È da lì che provengo come autore di canzoni. Questo brano definisce
le potenzialità di una canzone, il motivo per cui vale la pena cercare di
scriverne. Bob Dylan con questo disco mi fece capire che questo era il
lavoro che intendevo fare nella vita. Quando sarò grande voglio che il mio
impiego sia scrivere pezzi come Visions of Johanna. Canzoni che nello
spazio della stessa frase ti facciano ridere e piangere, in pratica”.
Basterebbe
scrivere un brano come Visions of Johanna, ispirato allo stile di T.S.
Eliot e forse in debito verso il Jack Kerouac, per dare peso e senso
a una carriera da cantautore. Il tutto avviene dopo aver già dato alle stampe
brani come Mr. Tambourine Man e Desolation Row, dopo aver creato quell’instabile
suono al mercurio su figure retoriche audaci ed efficaci, metafore surrealiste
e immagini folli e distorte, che solo in apparenza sono figlie dello sballo e
del delirio. Cosa c'è di meglio che lasciarsi andare alla fantasia,
all'immaginazione e al sentimento, quando hai poco più di 20-30 o anche 50 anni.
Bob Dylan è un tipetto impertinente che ti dice cosa pensare, ma che non
ha bisogno del tuo giudizio e del tuo supporto, è spavaldo e coraggioso e sa
che non ci sono prigionieri da fare quando si è in missione per conto dell'arte,
perché questo lavoro è arte impressa su bobina, non ci sono canzoni, non ci
sono versi, arrangiamenti e accordi o tonalità. Basterebbe perdersi nei blues
ancestrali raffinati e melliflui dell'organo di Al Kooper, delle soffiate
urgenti di Dylan in una dolce e accogliente armonica e poi la crema dei
musicisti di Nashville, che non sono ancora stati contaminati con il
rock urbano e che per questo motivo contribuiscono a dare vita al capolavoro
che sarà Blonde on Blonde.
Un vero
capolavoro non ti conquista al primo ascolto e nemmeno al decimo. Un vero
capolavoro si impone al 37esimo ascolto. Così è stato per me: in una notte di
tempesta, dove tuoni e fulmini dominavano la notte irlandese e il cd
volteggiava nel mio impianto di pochi euro, dopo una capatina a quel Virgin
Store di Cork. Dio benedica quella commessa lenta che non aveva fretta di
chiudere. E Dio benedica Dylan e la sua gioiosa macchina da guerra che non fa
prigionieri né ti chiede un riscatto. La redenzione è nelle orecchie di chi
vuole intendere e ha intenzione di portarsi avanti con l'ascolto. Dylan
non ti invita a uscire con lui e non è nemmeno un buon amico, ma del resto i
grandi artisti, i veri Maestri hanno bisogno di questo? Loro ti possono
conquistare con uno sguardo, con un riff di Hammond o con una parola sussurrata
in un brano, che sembra non avere mai fine.
Se vi
sembrano lunghe le strofe di Visions of Johanna, allora non siete ancora
giunti alla fine del secondo disco. Queste sono le quattro facciate con cui il
rock accede ai piani alti dell'Accademia delle Belle Arti. Non fila tutto
liscio, c’è qualche passo falso e un paio di momenti di esitazione. È un'opera
capace di guidarvi nel viaggio al termine della notte. “È un biglietto di sola
andata per la terra promessa” per dirla alla Bruce Springsteen. Ci sono
brani dove il piano di Hargus "Pig" Robbins guida le danze
come se fossimo a un galà in cui la bella dama attende che qualcuno la inviti al
valzer finale; in altre circostanze l'organo di Al Kooper suona letteralmente
la carica mentre la sezione ritmica è elastica, pronta, ma allo stesso tempo rilassata.
Il suo autore dovrà sfogarsi per bene, prima di cedere il passo alla resa e
alla rassegnazione di quella imperiosa ballata agrodolce che è Sad Eyed Lady
of The Lowlands.
In un album, anzi due, dove il tempo è tutto o quasi, ci si abbandona ora a una suite che dura oltre dieci minuti. Il testo ci porta in luoghi che non sapevamo ancora di conoscere. Sarà il brano definitivo presente sul disco con cui Dylan verrà ricordato? Difficile dirlo visto che il Nostro continua a produrre musica e testi di livello formidabile. Da dove vengono queste canzoni? Dove ci conducono? Sono davvero la nuova Guida Michelin per la Gloria? Sono realmente il meglio che un musicista, poeta e menestrello possano concepire? Dylan non si definisce cantautore, ma non è nemmeno un musicista o un bluesman in senso classico. Eppure la musica suona secondo quella scuola e filosofia di pensiero. C'è chi parla di terzo capitolo di una ipotetica trilogia elettrica, ma a noi piace pensare che questo sia solo l'inizio di un viaggio che non è ancora terminato. Il momento iniziatico del Neverending Tour. Musica senza barriere e senza confini. Cavalcate elettriche, surrealismo e rock and roll. Musica maiuscola, comunque vogliate etichettarla. Ve ne servirà di nastro adesivo qui per mettere tutto assieme. Per incollare e appiccicare tutti i versi, le metafore, le immagini che questo disco può e deve rilasciare, nella migliore delle ipotesi. Non è Hendrix, non sono i Beatles (anche se alcune cose li ricordano), è libertà espressiva, di quelle che non senti più così spesso: perché nessuno dedicherebbe lo stesso sforzo, tutta la propria ispirazione per un semplice disco, anzi due.
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