mercoledì 3 febbraio 2021

Shadows in the Night

 “Realizzare questo disco è stato un autentico privilegio. Tutti conoscevamo molto bene questi brani. È stato fatto tutto dal vivo, forse in una o due registrazioni. Senza alcuna sovra incisione. Niente cuffie, niente cabina di registrazione per il cantante. Di cover ne sono state fatte abbastanza: seppellite. Quello che io e la mia band stiamo tentando è il procedimento inverso. Disseppellire i pezzi dalla tomba, per riportarli alla luce del giorno. Perché questa band non lavora con il favore delle tenebre, o meglio non sempre!” 

(Bob Dylan on “Shadows in the Night”)

Ora, ammetto di non aver seguito con grande interesse "il periodo Sinatra" di Bob Dylan, tanto che ho acquistato e ascoltato in tempo reale solo l'ultimo dei tre (o cinque) lavori: Triplicate, ma più che altro in seguito all'hype post Nobel. Nel 2014 e successivamente nei primi mesi del 2015, cioè sei anni fa, avevo da poco archiviato una delle mie parentesi musicali più intense, ma rovinose e fallimentari. Mi stavo reiventando, grazie anche al coinvolgimento di un amico, che mi aveva inserito in un discorso di selezione musicale, in giro per Cosenza e Rende. Confesso che questo Shadows in the Night non mi aveva proprio coinvolto e preso subito. Ci sono voluti anni e molti ascolti. Successe di peggio con il secondo, Fallen Angels che per quasi 4 anni non ho nemmeno ascoltato, e oggi mi rendo conto del grave sbaglio, visto che dei tre lavori dedicati al songbook americano noto come "Sinatra Era" resta attualmente il mio preferito.

Eppure, tutto inizia, si fa per dire, il 3 febbraio 2015, quando Dylan ha dato alle stampe questo 36esimo lavoro in studio: Shadows in the Night, composto da dieci tracce e nessun brano autografo, ovviamente, sequel del fortunato Tempest, che fino allo scorso 2020 resterà l'ultimo disco di Bob Dylan con brani autografi. Passata la tempesta Dylan tornerà a dimostrare il proprio valore come autore di brani propri. Qui si cimentava per la prima volta con il repertorio Sinatra, portando all'estremo le proprie idee che già dal 2001, con Love and Theft, aveva iniziato ad esplorare, con brani composti in stile swing, jazzati e altro. Piaccia o meno, la visione musicale e poetica di Dylan si allontana sempre più dallo stile che lo aveva reso celebre e popolare, quello del folk-rock anni 60-70. Per cultori e per veri audiofili appassionati.  

Dario Twist of Greco

2 commenti:

  1. salvo l'ascolto sporadico di qualche brano, anch'io li ho del tutto snobbati. Prima o poi mi "farò coraggio"...

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  2. Guarda devo dirti, che trovo alcune cose di Triplicate molto buone, ma non tutto, mentre il mio preferito è diventato Fallen Angels. Ha un solo difetto, doveva andare oltre Sinatra e fare una ricognizione a 360 gradi su quegli anni, quelle atmosfere e quei suoni. Ma un pezzo come Skylark, da solo vale tutto il disco. E non mi pare poco... ;)

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