Another Side of Bob Dylan (1964)
In posa militare, puntavo la mano
verso quei cani bastardi che insegnavano, senza preoccuparmi del fatto che
sarei diventato il mio nemico nel momento stesso in cui avrei cominciato a
pontificare. La mia esistenza guidata da battelli in confusione ammutinati da
poppa a prua. Ah, ma ero molto più vecchio allora, sono molto più giovane
adesso.
(Bob Dylan)
Non ci
voleva poi così tanto a capire che l'artista che pubblicò il suo terzo album
autografo (quarto in totale) era già una persona differente rispetto a quella
che aveva composto un anno primo il suo disco più impegnato e politico. Forse
il titolo non è il modo migliore per marcare la distanza e il cambio di passo,
ma Another Side of Bob Dylan è senza dubbio la più convincente fotografia di un
autore all'epoca 23enne che stava tentando di affrancarsi dall'immagine che gli
volevano costruire attorno. Oggi basta fare qualche ricerca in rete per trovare
una miriade di articoli, alcuni molto esaustivi, che tracciano la distanza tra
il disco precedente e tutto ciò che sarebbe arrivato, da adesso in poi. Con le
dovute differenze Another Side of Bob Dylan è molto più connesso e collegato
alla trilogia elettrica e non ai due album autografi che lo avevano preceduto.
In particolare troviamo testi e canzoni che hanno davvero molto poco a che
vedere con il folk revival di cui Dylan aveva condivido idee, grammatica
fondamentale e un certo radicalismo anni trenta. La netta distanza tra il brano
che chiudeva The Times They Are A-Changin' e questo nuovo lavoro, appare
evidente già dalle prime note e dal tono che accompagnano l'opening di All I
Really Want to Do. Bisogna essere ciechi e soprattutto sordi, per non capire
che è in atto un cambiamento epocale per l'autore di Blowin' in the Wind. Sia
chiaro: Dylan non rinnega e non tradisce niente e nessuno. È solo andato oltre;
ha gettato il cuore oltre l'ostacolo e ha vinto la sua battaglia personale. Qui
infatti il giovane cantautore diventa un vero artista, affrancandosi dai
movimenti e dal genere folk. Lo aveva detto a caratteri cubitali ed è bene
riaffermarlo qui, in chiave retrospettiva.
"Qui
dentro non ci sono brani che puntano il dito. Quei dischi li ho pubblicati e li
difendo, ma in parte erano fatti per essere ascoltati, perché segnavano a dito
tutto ciò che non va. Non voglio più scrivere per la gente, né fare discorsi.
D'ora in poi voglio solo scrivere dal profondo di me stesso."
Un manifesto
programmatico difficile da fraintendere. È vero che Bob Dylan tornerà su queste
parole e saltuariamente sarà ancora quella "voce di protesta" che
scrive "per la gente", ma è innegabile come con la trilogia composta
da Bringing it all back home, Highway 61 Revisited e soprattutto con il
capitolo finale, Blonde on Blonde, darà un taglio netto alle sue pagine
passate. My Back Pages, appunto. Queste undici tracce possono disorientare,
stordire e far gridare al traditore, ma sono il punto di vista di un giovane
autore nel fiore degli anni. Non più quello stile narrativo con cui si era
imposto, ma pura poesia astratta, dove trovano posto stati mentali impressionistici
come il seguente:
“Attraverso il folle e mistico martellare dell'incessante grandine picchiettante. Il cielo faceva esplodere i suoi poemi in nuda meraviglia che il tintinnare delle campane della chiesa soffiava lontano nella brezza, lasciando solo campane di fulmini e il loro tuono che colpiva per i cuori nobili, colpiva per il mite, colpiva per i guardiani e i protettori della mente e dietro al pittore indomito prima che venisse la sua ora e osservammo i lampeggianti rintocchi di libertà.”
Riascoltare oggi e perdonare qualche sbavatura e alcuni passaggi che girano forse a vuoto, significa dare una dimensione del lavoro di un musicista che in appena cinque anni contribuiva a rendere più netto il cambiamento con tutto quello che l'America, la popular song e la musica poteva rappresentare. Diverse forze stavano ridisegnando lo stile di Dylan.
Un autore sensibile che dirà al suo biografo Anthony Scaduto: “Sapevo che i Beatles puntavano nella direzione in cui la musica sarebbe andata. Non volevo snobbare gli altri, ma per me loro erano la cosa.” Non è semplice scrivere e commentare un lavoro che ha fatto la storia della canzone d'autore e che forse per Dylan è stato il passo più audace della sua carriera. Qui infatti non avviene ancora la svolta elettrica, ma il modo di suonare e di interpretare i propri brani è nettamente diverso, più pop, più orientato verso un modo nuovo di fare dischi. Le canzoni a modo loro, siano esse i grandi capolavori o episodi minori e forse trascurabili, svolgono il loro ruolo. Incredibile, ma vero Another Side of Bob Dylan venne registrato in un’unica sessione. C’è un aspetto che bisogna sottolineare, la voglia di divertirsi e di divertire di queste canzoni. Eppure dietro certi bozzetti frivoli, l’autore infila scene e immagini da Apocalisse, ed è questa la sua abilità, la grande cifra stilistica di un giovane e audace troubadour. Come sottolineano Ric Ocasek e Ike Reilly Dylan esegue tutte le canzoni accompagnandosi solo con la chitarra acustica. E in questa occasione si tratta di arrangiamenti in grado di supportare seriamente melodia, testi ed esibizione. Si è detto poche volte che è un chitarrista acustico formidabile, ma in questa occasione è importante ribadire il concetto.
Perché c'è un vero calderone di idee, immagini e suggestioni in titoli come Spanish Harlem Incident, Ballad in Plain D o Motorpsycho Nitemare, sono episodi unici nel canzoniere dylaniano, figlie di quei turbolenti e suggestivi anni sessanta. Proprio in Motorpsycho Nitemare Dylan trae ispirazione dall'universo cinematografico di due registi come Federico Fellini e soprattutto Alfred Hitchcock ribaltando i principi cardine di Psycho.
La canzone è infatti una parodia ispirata alle barzellette di commessi viaggiatori, dove il protagonista si presenta in una fattoria in cerca di un posto dove passare la notte, solo per essere attirato dalle tentazioni della figlia del contadino. Dylan sposa le trame di base del film e scherza per creare un racconto umoristico con un accenno politico. Oggi forse alcune cose potrebbero apparire un po' naif e acerbe, ma furono da apripista per quello che sarebbe arrivato dal disco successivo a seguire. Fatto non trascurabile il brano Mr. Tambourine Man, non presente nella versione finale del lavoro, venne composta ed eseguita in una prima versione proprio per Another Side of Bob Dylan.
La
critica lungimirante
David
Horowitz definì le canzoni un fallimento assoluto di gusto e di consapevolezza
autocritica. Dylan ammise nel 1978 che il titolo dell'album non era di suo
gradimento. "Ho pensato che fosse troppo banale", ha detto, "mi
ha creato un po' di problemi un titolo come questo".
Domanda da sempliciotto di periferia: "Era così difficile capire l'ironia di Dylan nel '64?"
Dici di cercare qualcuno che non sia mai debole ma sempre forte, per proteggerti e difenderti quando hai ragione o quando hai torto. Qualcuno che ti apra una a una tutte le porte, ma non sono io, babe.
Dario Twist of Fate
È un album "difficile' "another side", perché non si può facilmente etichettare, come, del resto il suo autore che, a 80 anni compiuti, sfugge ad ogni tentativo di ingabbiarlo dentro definizioni rassicuranti. A me pare che il messaggio più importante dell'album sia "la vita in bianco e nero è un'illusione". Come dargli torto? Messaggi altrettanto importanti : alla gente :"non aspettatevi da me battaglie politico-sociali. Non punterò più il dito contro nessuno"
RispondiEliminaMessaggio rivolto alla donna (suze rotolo?...forse) :" se cerchi quello che ti solleva quando cadi...non sono io quello, baby". Mi sembra evidente la svolta, esistenziale e politica in senso lato. Resta da sondare il poema, non musicato, che accompagna l'album. È ricco di suggestioni poetiche. Carla Cinderella
Era difficile per chi non voleva capire che un autore di 23 anni non voleva essere etichettato e stava usando altri metodi e approcci per scrivere testi e per musicarli. Alla lunga è stata la sua salvezza. Da questo disco in poi cambia passo la sua carriera. Fondamentale.
RispondiEliminaCompletamente d'accordo!! Carla
RispondiEliminaSul fatto che fosse stato difficile abbandonare certe atmosfere, ecc, non saprei dirti. Nel senso che ci hanno sempre raccontato la storia di Dylan consapevole, cosciente e politico. In realtà lui stesso non ha mai confermato, né coi fatti, né soprattutto con le canzoni. Credo faccia parte dello storytelling della casa discografica, del manager e dei cronisti dell'epoca. Ai sostenitori piaceva pensare di aver trovato la voce della loro generazione. Dylan è stato indubbiamente una voce, ma secondo me più personale e intima, di quanto non si voglia credere. Il vero Dylan, secondo me, nasce qui, con questo disco "difficile". Alla prossima, Carla! :)
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