The Freewheelin’ Bob Dylan (1963)
La cosa più
scioccante di questo disco è che si possono prendere anche i brani minori e
scriverne per ore e ore. Non c'è bisogno di azzannare e di aggredire alla
giugulare un'opera così bella, iconica e capace di resistere e sopravvivere al
lento scorrere del tempo. Già, il tempo! “My only friend, the end” dirà
qualche anno dopo uno sciamanico Jim Morrison. Bisogna riavvolgere il
nastro e ripartire da questa copertina iconica, una delle più importanti e
suggestive di una decade tanto importante come i sessanta. Uno scatto che è tutto
un dettaglio, un simbolo. Scende in strada Bob Dylan, con il tutto il suo
entusiasmo e non è da solo. Nel disco, tra i solchi di questo esordio, come
autore, è quasi sempre solo lui, con la sua incredibile penna, con le sue
parole, taglienti come forbici, in una notte buia come la pece. Ci sono dischi
che hanno un biglietto da visita migliore rispetto a The
Freewheelin' Bob Dylan?
A ben vedere
questo è uno dei sei dischi chitarra e voce, tanti ne realizzerà nel corso
della sua lunga carriera discografica. I primi quattro vengono realizzati
durante gli anni sessanta, mentre per i due successivi bisognerà attendere ben
trent'anni. Mi riferisco a Good As I Been To You del 1992 e a World
Gone Wrong del 1993.
Il disco
parte agile e fiero sulle note di chitarra di Blowin' in the Wind. Due
minuti e quarantotto secondo per consegnare la sua voce alla gloria e alla
storia di una decade, di un ideale, fallace, ma non per questo meno
significativo ed evocativo. Del resto nelle prime tre tracce non c'è segnale
alcuno di reso, di sconfitta. La seconda canzone è probabilmente tra le
migliori composizioni di sempre del suo autore. Si tratta di Girl from the North Country.
Non siete convinti? Basta ascoltare una delle innumerevoli cover realizzate di
questo classico immortale. Mentre lo fate ragionate su questo: l'autore e
l'interprete principale lo scrisse quando aveva appena 21 anni. Così, tanto per
dire. Dopo la rilettura del classico folk Nottamun Town, a cui Dylan
cambia il testo per farlo diventare Masters of War, si passa a due brani
meno noti, ma non per questo privi di valore e di significato come Down the
Highway e Bob Dylan's Blues.
Nel primo Dylan cita proprio l'Italia, nel verso "My
baby took my heart from me/ She packed it all up in a suitcase/ Lord, she took
it away to Italy, Italy" che naturalmente è dedicato e ispirato alla sua
relazione con Suze Rotolo, la stessa ragazza che lo abbraccia nello scatto di
copertina realizzato da Don Hunstein.
Bob Dylan's Blues è un concentrato di acume, umorismo e sfrontatezza, qualità che Dylan sfoggia con quel tipico orgoglio che è usuale durante la giovinezza. Gioventù che però scompare rapidamente per fare spazio al sermone di uno dei suoi primi capolavori a livello testuale: A Hard Rain's a-Gonna Fall. Un capolavoro senza macchia che ancora oggi ci fa pensare: - Ma da dove diavolo l'ha tirata fuori?!? Non a caso al pari di altri classici, Hard Rain diventa un punto saldo del suo repertorio dal vivo, capace di attraversare il tempo come un fendente in una notte senza stelle.
Il lato B
dell'album si apre con un altro capolavoro, sia per il testo che per la musica
e la melodia. Don't Think Twice, It's All Right. il titolo cita forse Elvis
Presley e sarà da ispirazione al Re, che lo inciderà qualche tempo dopo. Da
segnalare la bella versione country di Waylon Jennings, interprete che
assieme a Johnny Cash contribuirà a sdoganare negli ambienti dei puristi
del genere il talento puro del menestrello di Duluth. La melodia incantevole di
Dont' Think Twice apre alla seconda facciata di questo disco che consegna il
suo autore alla storia della musica popolare del Novecento. Non serve infatti
affermare che anche fosse terminata qui la carriera di Dylan, se ne parlerebbe
ancora oggi e in senso principalmente positivo e nostalgico.
Il resto dei
brani a parte la cover di Corinna, Corinna, presenta altre composizioni
significative come I Shall Be Free, che è una rilettura di Lead Belly,
così come Talkin' World War III Blues, che deve molto allo stile del suo
mentore dell'epoca, Woody Guthrie. Resta da dire di Oxford Town e
di Honey, Just Allow Me One More Chance. La prima è un'altra canzone
intelligente, ironica e di taglio decisamente satirico, come era solito fare in
questa fase della sua carriera. C'è un aspetto che viene spesso poco
considerato quando si parla del Dylan autore: la sua capacità di tracciare
bozzetti ironici e satirici. Eppure è una delle cose che dovrebbero colpire di
primo acchito l'ascoltatore. "Io e la mia ragazza, il figlio della mia
ragazza siamo stati accolti con i gas lacrimogeni. Non ho capito nemmeno che ci
siamo andati a fare, ce ne torniamo da dove siamo venuti." Honey, Just
Allow Me One More Chance è invece un tour de force vocale e performativo di
un giovane cantautore che avrebbe poi creato un marchio di fabbrica e contribuito
a rinnovare la tradizione del blues con le sue liriche al vetriolo e con una
penna che sgorga talento, sfacciataggine e coraggio da ogni poro. The Freewheelin'
Bob Dylan venne pubblicato il 27 maggio del 1963. La produzione del disco è
di John Hammond e Tom Wilson. È giustamente considerato tra i vertici assoluti
dell’autore e della musica popolare del Novecento. Ha contribuito ha delineare
un nuovo modo di scrivere e produrre canzoni d’autore, che vanno oltre il
singolo genere di riferimento. Dylan probabilmente non aveva ancora la License
to kill, ma di certo con la sua chitarra è stato in grado di battere i
fascisti, conquistando i cuori di chi sapeva ancora sognare.
Folgorante
e innovativo. La luce di questo lavoro, che per certi versi rappresenta il vero
esordio del Bob Dylan autore, non cesserà mai di brillare.
Dario Twist of Fate
Ciao Dario, grazie per il tuo commento che illustra con chiarezza e giusto, condivisibile entusiasmo, anche i brani meno noti di un disco che attraversa il tempo con la forza delle idee e la bellezza delle immagini, compresa quella, iconica, della copertina. Lasciami aggiungere al tuo commento impeccabile brevi considerazioni sulle due liriche più "letterarie" : "blowin in the wind" e "hard a rain". Nella prima c'è, secondo me, un richiamo ad un tema classico della letteratura americana, quello della strada, rivisitato dal giovane Dylan in termini universali e metaforici. La strada dell'incipit "how many roads must a man..."non è più la strada percorsa dai personaggi di tanti romanzi americani del Novecento, ma diventa la strada che ogni uomo deve percorrere per meritare di essere chiamato uomo.la forma dubitativa e la risposta che soffia nel vento suggeriscono che ogni uomo deve camminare lungo strade infinite per essere chiamato uomo e che l'umanità compiuta e perfetta è pura utopia. La risposta a tutte le altre domande che "soffia nel vento" richiama, secondo me, l'incipit di "Mexico city Blue", raccolta di poesie di Kerouac che Dylan conosceva fin dal 1959, anno della pubblicazione."hard a rain" è stata ispirata, secondo un recente saggio di portelli" da un'antica ballata irlandese presente, con numerose varianti, nella cultura popolare di vari paesi europei, compresa l'Italia.dylan l'ha rielaborata e l'ha resa oltremodo suggestiva con i riferimenti visionari all'attualità della minaccia nucleare incombente sull'umanità nel 1963. Quante considerazioni si potrebbero ancora fare.... grazie. Carla Cinderella
RispondiEliminaDisco della vita The Freewheelin' Bob Dylan. Su Hard Rain in realtà sto preparando un testo a parte, qui non ci stava perché avrebbe appesantito troppo il post già di sua natura retrospettiva. Su Blowin' in the Wind invece pur riconoscendo l'alto valore della composizione, non ho mai maturato un mio pensiero. Mai dire mai, però! Grazie mille per il commento e alla prossima.
RispondiEliminaDario Greco.