“I tibetani credono che vi sia uno stato di transizione tra la morte e la rinascita. La morte sarebbe fondamentalmente un periodo di attesa. Dopo poco tempo l'anima sarà accolta da un nuovo grembo. Nel frattempo essa restituisce a sé stessa una parte della divinità che ha perduto al momento della nascita.” (Rumore bianco, Don DeLillo)
Introduzione
“Il tempo è
un bambino che gioca, che muove le pedine; di un bambino è il regno.”
L’immagine usata da Eraclito per parlare del tempo accosta la leggerezza del
gioco, la casualità di un lancio di dadi all’inesorabilità del tempo e
all’enigma del suo svolgimento. L’uomo ha sempre rivolto un’attenzione
particolare al trascorrere del tempo ed è stato attratto dal futuro e dalla
possibilità di conoscerlo anticipatamente. Nell’antichità i greci usavano due
termini per definire il tempo: Chronos per indicare lo scorrere dei minuti e la
sua natura quantitativa e Kairos per indicare la natura qualitativa dello
stesso, ovvero l’abilità di fare la cosa giusta al momento opportuno. Nel mondo
moderno, il concetto di Chronos ha storicamente avuto una posizione dominante
su Kairos. La velocità di esecuzione di un compito è associata ad un aumento di
produttività ed efficienza. La rapidità di adattamento alle situazioni è un
indicatore della flessibilità organizzativa e strategica. L’essere in grado di
anticipare i concorrenti nel lancio di un prodotto è una misura della capacità
di innovazione. Queste dimensioni legate al tempo come Chronos restano
importanti per il successo di una persona o di una società, ma passano in
secondo piano rispetto alla dimensione temporale qualitativa espressa dal
concetto di Kairos.
«Abbiamo la
tendenza a vivere nel passato, ma questo riguarda la mia generazione”, ha
dichiarato qualche tempo fa Bob Dylan al New York Times parlando del suo brano
Murder Most Foul. «I giovani non hanno questa tendenza. Semplicemente non hanno
un passato, quindi tutto quello che sanno è quello che vedono e sentono, ed è
facile fargli credere qualsiasi cosa. Ma tra 20 o 30 anni saranno loro in prima
linea.». Sono parole espresse da un uomo che ha vissuto almeno un paio di vite,
artisticamente forse qualcuna in più. Poeta, cantore folk, troubadour,
innovatore fantasma di elettricità, esponente di spicco del movimento beat e
via dicendo. Non è facile trovare una sola e nuova definizione per questo
artista così prolifico, cangiante, capace di spiazzare pubblico e critico,
anche adesso, quando gli anni sono ormai più di 80. Ottant'anni di cui più di
50 vissuti al centro della scena musicale e non solo. Dylan infatti nel corso
del tempo si è dedicato anche ad altre forme e discipline artistiche, in alcuni
casi con un certo successo e seguito. Non è andata benissimo con il cinema, non
ha sicuramente eguagliato i suoi capolavori musicali con la pittura, ma è assai
raro imbattersi in un autore che scrive, canta, suona, realizza sculture, si
dedica alla produzione di whisky e non solo. Già il cinema, forse il suo sogno
inespresso e irraggiungibile. Quest'anno ricorrono 50 anni dall'anniversario di
Pat Garrett & Billy The Kid, il film di Sam Peckinpah per cui Dylan scrisse
la colonna sonora e interpretò un piccolo ruolo. Forse il film più importante a
cui ha preso parte. Sicuramente un titolo che per molti ha rappresentato
qualcosa, in ottica di western crepuscolare e contemporaneo.
Una
battaglia contro il tempo lineare e il suo scorrere implacabile e ingannevole,
contro le mode, la loro futilità, le ideologie vuote, le morali fasulle, gli
amori idioti, l’inutile lotta contro il destino e la falsità e la mediocrità al
potere, gli inganni e le manipolazioni che offuscano la mente e impediscono di
vedere cosa davvero è reale. Il tempo e la fine del mondo compaiono spesso
nelle liriche dei suoi brani. “Ma ero molto più vecchio allora, sono più
giovane ora” (My back pages), “Fammi sparire tra gli anelli di fumo della mia
mente, tra le rovine nebbiose del tempo” (Mr. Tambourine man), “Dentro i musei
viene messa sotto processo l’eternità’ (Visions of Johanna), “E se la Bibbia ha
ragione il mondo esploderà […] i prossimi sessanta secondi potrebbero durare
un’eternità’ (Things have changed), “Questa terra è interdetta, da New Orleans
fino a Gerusalemme” per approdare a Time out of mind, un disco del 1997,
costellato di canzoni quasi tutte evocanti un’atmosfera sepolcrale, un disco
che qualcuno ha tradotto con ‘poesia del tempo immemorabile’. Ma la lotta
contro il tempo è anche, da sempre, una lotta contro i tempi, contro il ritmo
delle canzoni, caratterizzate nel modo di cantare da rallentamenti,
accelerazioni improvvise e scarti imprevedibili a ogni esibizione dal vivo. Le
reinterpretazioni stanno lì a significare che il suo mondo artistico, poetico e
musicale, non può essere fissato una volta per tutte, perché in quel caso
sarebbe come morto. Si può discutere e ipotizzare se questa visione dell’arte e
del tempo sia influenzata da Nietzsche, Bergson e Proust o da Keats, uno dei
tanti suoi geni ispiratori, insieme a Blake, Ginsberg, Rimbaud e molti altri, o
sia semplicemente dovuta a vicende personali.
Per Bob
Dylan il concetto di tempo e di spazio è un qualcosa di mobile e questo ha
influenzato anche le sue canzoni e il modo di interpretarle. Non è un caso se
la parola Time e Times sia finita più volte sulla copertina dei suoi album, ma
non solo. In Blood on the Tracks, il tempo diventa un concetto assolutamente
relativo, astratto. Le canzoni infatti possono viaggiare e spostarsi, tra presente,
passato e forse futuro. Non è un caso se questo disco sia stato giudicato come
uno dei più intensi, riusciti e significativi. Appena tre anni dopo Dylan torna
sul concetto di tempo e lo fa con il brano No time to Think, presente su Street
Legal del 1978, ma non è solo questo ciò che emerge analizzando la sua opera.
Molto spesso si è parlato di canzoni che hanno come tema principale il sogno,
le cosiddette canzoni oniriche dylaniane. L'esempio più calzante è sicuramente
dato dal brano Series of Dreams, registrato nel 1989 per il disco Oh, Mercy, ma
scartato all'ultimo e riproposto nella prima raccolta ufficiale di inediti, The
Bootleg Series 1-3 del 1991.
In Rumore
bianco Don DeLillo fa dire a uno dei suoi protagonisti: "La questione del
morire si fa saggio strumento di memoria. Ci guarisce della nostra innocenza
nei confronti del futuro. Le cose semplici sono fatali, o è una
superstizione?" Oppure citando Ode all'usignolo di John Keats:
"Svanire e dissolvermi, per dimenticare per sempre quello che tu fra le
foglie non hai conosciuto mai, l'abbattimento, la febbre e l'inquietudine della
terra dove gli uomini odono l'uno dell'altro i gemiti; ove la paralisi fa
tremare gli ultimi melanconici capelli grigi, dove la giovinezza diventa
pallida e spettrale e muore.”
Considerazione
finale
Mi piace pensare a Bob Dylan, l'artista più che l'uomo, come a un personaggio uscito da un fumetto Marvel, in perenne lotta contro il tempo. Tempo che come sostenevano gli antichi greci, può essere al contempo Kairos e Chronos. Speculativamente, in base ai piani dell'arte, dell'ispirazione della Musa. Dylan guarda al passato anche quando deve scegliere la copertina del suo disco Tempest (2012). Una rielaborazione grafica di Alexander Längauer che raffigura un dettaglio della fontana scolpita da Carl Kundmann a Vienna tra il 1893 e il 1902. I quattro gruppi scultorei intorno a Pallade Atena raffigurano i quattro fiumi principali dell'Austria: il Vltava, l'Elba, l'Inn e il Danubio. Atena, dea guerriera e vergine, una delle più rispettate, ha varie funzioni: difende e consiglia gli eroi, istruisce le donne industriose, orienta i giudici dei tribunali, ispira gli artigiani e protegge i fanciulli. Era anche dea della sapienza e delle arti.
Per concludere vorrei citare il film Watchmen, tratto dall’omonima graphic novel di Alan Moore. Per Alan Moore e Dave Gibbons, Bob Dylan era la luce guida nell'oscurità, un artista che ha modellato un modo completamente diverso di fare le cose. Ed è interessante come il regista Zack Snyder abbia utilizzato il brano The Times They Are A-Changin' di Dylan, nella sequenza dei titoli di testa nella trasposizione cinematografica di Watchmen. Possiamo qui notare la consapevolezza del concetto di tempo (in una cornice storico) da parte di un giovane autore, che si stava imponendo al firmamento musicale dell’epoca. In una lotta personale e perentoria contro il tempo e lo spazio.
Signori: anche questo è Bob Dylan!
Dario Greco
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