Commento critico a "Pat Garrett & Billy The Kid"
Una breve
premessa storica
Nel 1871 per
tenere a freno i cow-boy che invadevano la città e usavano spesso la pistola,
il sindaco di Abilene nel Kansas, assunse con l’incarico di sceriffo, un
personaggio famoso: James Butler Hickok, conosciuto
come Wild Billy. Hickok era un tipico gunfighter, cioè un uomo che si
guadagnava da vivere sfruttando la propria abilità con la pistola e il suo
coraggio personale. Gli storici distinguono il gunfighter che affronta gli
avversari faccia a faccia in un leale show-down, dal gunman, ovvero l’assassino
prezzolato che uccide sparando alle spalle. Furono gunfighter diversi sceriffi
e fuorilegge di frontiera come Wyatt Earp, John Wesley Hardin e Billy the Kid.
Il Kid, secondo la leggenda, aveva commesso 21 omicidi, uno per ogni anno di
età. Tra i famosi gunman troviamo invece Pat Garrett, che come sceriffo uccise
a tradimento proprio Billy the Kid, consegnando il suo nome alla storia e alla
leggenda.
“Bloody
Sam” e la sua versione del mito di Billy the Kid
Immaginate
la scena: Bob Dylan in compagnia dello sceneggiatore Rudy Wurlitzer
si recano in Messico per convincere Peckinpah a scritturare Dylan per una
parte nel suo nuovo film. Giunti in tarda serata alla soglia dell’abitazione
sentono uno sparo e scorgono una cameriera che fugge terrorizzata. Entrando
sentono un ulteriore sparo, prima di trovare il regista nella sua stanza, mezzo
nudo di fronte a uno specchio a figura intera spaccato. Aveva una pistola in
una mano e una bottiglia di tequila nell’altra. Dylan e Peckinpah si scambiano
qualche battuta e successivamente Wurlitzer spiega al regista che il cantautore
vorrebbe partecipare al film su Billy the Kid. Inutile dire che Dylan rimane
stregato dal fascino da fuorilegge di Bloody Sam, come veniva chiamato Peckinpah.
Riuscite
a pensare a un regista più iconico di David Samuel Peckinpah?
Se il nome non vi dice molto, pensate che si tratta dell’autore di film come The Wild Bunch, Getaway! Cane di paglia, The Ballad
of Cable Hogue, L’ultimo buscadero, Voglio la testa di Garcia, La croce di
ferro e Convoy. Un regista importante non solo per aver dato un’impronta
significativa al Revisionist Western, quanto per la sua vena provocatoria, geniale
e imprevedibile. Non a caso registi come Haneke, Von Trier, Campion e Lanthimos,
ma i fratelli Coen, Tarantino e Malick, devono qualcosa (in certi casi molto) al regista di Fresno. Si fa fatica a citare gli attori, gli sceneggiatori e i direttori della fotografia che hanno
collaborato con Peckinpah nel corso della sua carriera. Quattordici opere, di
cui giusto dieci di grande successo e/o di forte impatto culturale, più un
esordio come sceneggiatore non accreditato per L’invasione degli ultracorpi di
Don Siegel.
I suoi film
utilizzavano una rappresentazione visivamente innovativa ed esplicita
dell'azione e della violenza, nonché un approccio revisionista al genere
western. Le opere di Peckinpah trattano del conflitto tra valori e ideali, nonché
della corruzione e della violenza nella società umana. I personaggi sono
solitari o perdenti che desiderano essere onorevoli, ma sono costretti a
scendere a compromessi per sopravvivere in un mondo di nichilismo e brutalità.
La personalità combattiva di Peckinpah, segnata da anni di abuso di alcol e
droghe, ha influenzato la sua eredità professionale. La produzione di molti dei
suoi film includeva battaglie con produttori e membri della troupe,
danneggiandone la reputazione e la carriera, durante la sua vita. Potrebbe
bastare questo per rendere Sam Peckinpah un
autore di culto, ma c’è dell’altro di cui finora per una forma di ritrosia e di
timore reverenziale non abbiamo parlato. Si tratta dell’esordio di un musicista
nelle vesti di attore. No, non è James Taylor e nemmeno Johnny Cash, ma se vi
cito Kris Kristofferson allora si potrebbe
accedere una lampadina? Ora, trattare questo argomento significa bypassare tante
cose importanti accedute tra gli anni Sessanta e i primi Settanta.
Tagliando la testa al gallo facciamo ancora un nome, necessario: quello dello sceneggiatore e scrittore Rudy Wurlitzer. Uno scrittore che veniva paragonato a Thomas Pynchon, che aveva già collaborato con Roger Corman e Monte Hellman. Non solo, aveva già scritto una sceneggiatura che prevedeva come attori cantanti e musicisti, tra cui proprio James Taylor. Il film è Two-Lane Blacktop che successivamente ispirerà Bruce Springsteen per la realizzazione di uno dei sui album più cinematografici e riusciti della sua carriera: Darkness on the Edge of Town. Disco non a caso giudicato una sorta di omaggio al western crepuscolare di Leone e Peckinpah. Wurlitzer, nativo di Cincinnati, Ohio, abitava a New York ed era diventato amico di un altro importante cantautore. Si trattava naturalmente di Bob Dylan e il resto a questo punto, è storia.
Nonostante il suo carattere
non facile Sam Peckinpah ingaggia proprio Dylan per realizzare la colonna
sonora del suo nuovo film che si girerà in Messico, nella città di Durango. L’avventura a
Durango si intitola Pat Garrett & Billy The Kid,
titolo cult per gli amanti del cinema e della buona musica. Storia incentrata
sul rapporto di contrastata e tragica amicizia, che ha dato spunto a molti film
spesso ben accolti dal pubblico. Ora nonostante Peckinpah fosse un cineasta
controverso e raramente leggero, questa sua opera risulta tra le più
accessibili della sua filmografia. Ritratto malinconico della fine di un’epopea
leggendaria, ricca di nobili sentimenti. La vera grandezza del film sta nel
fatto che si inserisce nel contesto del western revisionista di Arthur Penn e
Robert Altman, dato che ne condivide la filosofia e la struttura estetica e
formale. In Pat Garrett & Billy The Kid, la morte non è glorificata. È
dappertutto, ed è davvero tragica, orribile.
Bob Dylan Soundtrack
“John Wesley
Harding era un amico dei poveri, andava in giro con una pistola in entrambe le
mani, aprì molte porte dappertutto nel Paese, ma non fece mai del male a un
uomo onesto.” (B.D.)
Ho fatto questa doverosa premessa perché non ha alcun senso parlare della colonna sonora, senza un robusto riferimento cinematografico. Il disco forse è più conosciuto del film stesso ed è composto da dieci tracce, di cui due canzoni e sei brani strumentali. Una di queste canzoni, Billy, è ripetuta tre volte, mentre l’altra, Knockin’ on Heaven’s Door non ha bisogno di presentazione. Nemmeno a farlo apposta Rolling Stone ha stroncato questa operazione definendola “inetta, amatoriale e imbarazzante”. Arrivati a questo punto della retrospettiva dylaniana perdonerete il mio atteggiamento a volte sarcastico e sprezzante verso la critica musicale del tempo. Una critica che sovente manca di lungimiranza e di obiettività, aspetto che sarebbe fondamentale per un professionista, ma che oggi fa ridere e non poco. A questo bisogna inoltre aggiungere il fatto che queste parole siano state pronunciate da Jon Landau, che di lì a poco avrebbe “scoperto” un rocker e un autore come Bruce Springsteen! Ma questa è decisamente un’altra storia. Per chi volesse approfondire il discorso Pat Garrett & Billy The Kid, oltre a recuperare il bel film interpretato da James Coburn e Kris Kristofferson, mi sento di consigliare il bootleg Peco’s Blues. Questo disco (non ufficiale) contiene le sessioni complete realizzate da Dylan e restituisce l’integrità del progetto. È una vera chicca per completisti, ma vale la pena ascoltarlo almeno una volta, anche perché contiene una canzone altrimenti inedita.
Difficile esprimere un giudizio sulla colonna sonora, dato che perlopiù si tratta di brani strumentali che fanno da accompagnamento al film, mentre le due canzoni presenti sono entrambe notevoli e importanti per ragioni speculari. A parte il brano di apertura, Main Title Theme (Billy) mi piace ricordarne un altro. “Bunkhouse Theme”, una delle cose più dolci che Dylan abbia mai inciso. Il brano ha un aspetto sentimentale, una sorta di bellezza semplice, simile al barocco russo, che lo fa spiccare all’interno della colonna sonora e del repertorio dylaniano. Anche “Final Theme” è un pezzo incantevole, compiutamente bello e guidato dal flauto. Dove si staglia un lugubre coro di accompagnamento mortuario. Perché la soundtrack realizzata di Dylan è una sorta di requiem, per quello che non è stato, ma poteva essere. Piaccia o meno, nel corso del tempo ha guadagnato un proprio posto nella storia della musica popolare. Bisogna infine spendere qualche parola sul brano più celebre, la traccia numero sette di questo album. La canzone fu incisa lo stesso mese (gennaio ’73) in cui fu dichiarato il cessate il fuoco in Vietnam, ponendo fine al coinvolgimento degli USA in quel lungo conflitto. Un brano che si intona con lo stesso stato d’animo dell’America. Elegiaca, nel suo movimento discendente e perfetto, si tratta di un testo composto da due quartine più un ritornello, sempre uguale. Un motivo semplice da memorizzare, che ebbe non a caso grande successo, nel corso del tempo. Chi vi scrive è a conoscenza del fatto che in Italia in molti considerano la versione di Knockin’ on Heaven’s Door dei Guns ‘N Roses superiore rispetto all’originale di Dylan. Evito di esprimere un parere, anche perché viviamo in un mondo dove la conoscenza, la competenza e la capacità analitica non sempre sono considerate aspetti importanti e/o positivi. Ad esempio a Jon Landau dopo l’esperienza di critico musicale venne data una seconda opportunità come produttore di Bruce Springsteen. Questo significa che nella vita molte cose sono possibili, ma non tutte le cose. Landau, dopo aver sparato cazzate per anni sul rock, riuscì a riscattarsi, producendo dischi epocali ed epici come Born to Run, The River e Darkness on the Edge of Town.
Bob Dylan ha superato la delusione del flop di Pat Garrett & Billy The Kid e ha continuato a barcamenarsi tra dischi di mestiere e qualche raro capolavoro. Diciamo che a lui interessava entrare a contatto con un mondo che sentiva suo, come quello del western e del cinema d’autore. Dopo questa esperienza scriverà album ispirati a quel periodo come Desire, Knocked Out Loaded e molto tempo dopo Together Through Life e Tempest.
Ora per chi fosse interessato ad approfondire il legame tra Dylan e il mito dei fuorilegge e cow-boy, consiglio l’ascolto supportato dalla lettura dei testi del disco del 1967, John Wesley Harding. Si tratta di un lavoro che la critica dell’epoca ebbe difficoltà a inquadrare, ma che a distanza di cinquant’anni possiamo considerare come uno dei dischi più riusciti e concept del cantautore nordamericano. Naturalmente non è un album rock né tantomeno psichedelico. Non regala nemmeno grandi momenti di energia, pur contenendo due classici dylaniani come All Along the Watchtower e I’ll Be Your Baby Tonight. Brani che sono stati ripresi da artisti come Jimi Hendrix, Robert Palmer, Linda Ronstadt ed Emmylou Harris. Dylan tesse questo allegorico arazzo del fuorilegge che prende le armi contro il mondo degli uomini e delle idee, cercando redenzione e libertà; alla fine trova la salvezza tra le braccia del suo vero amore, così come in Knockin’ on Heaven’s Door lo sceriffo aiutante di Pat Garrett, trovava invece la morte.
Purtroppo
anche Sam Peckinpah trova la morte, quasi come un personaggio di uno dei suoi film,
il 28 dicembre 1984. Per fortuna prima che il suo “pupillo” tornasse
al cinema con il disastroso Hearts of Fire diretto da Richard Marquand e
interpretato da Rupert Everett e Fiona Eileen Flanagan.
Testo a cura di Dario Greco
N.B.
Uno speciale ringraziamento ad Alessandro Aloe per la consulenza storica.
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