mercoledì 25 ottobre 2023

World Gone Wrong - Good as I been to You


Good as I been to You - World Gone Wrong (1992-1993)

Per analizzare in modo strutturato gli album folk e tradizionali pubblicati da Bob Dylan durante i primi anni novanta bisogna fare  prima qualche passo indietro. Per una maggiore comprensione della sua vicenda artistica, della scena musicale turbolenta e fertile, di quel decennio appena iniziato, ma che già aveva mostrato vento di cambiamento. In effetti c'era stato più di uno squillo da parte delle nuove leve musicali e di una generazione che si sarebbe presa con autorevolezza le luci della ribalta. 

Bisogna partire proprio da quel programma televisivo di enorme successo e impatto che fu appunto l'Unplugged, ma anche lo stesso palinsesto di MTV potrebbe aiutarci a compiere una ricognizione efficace e polifonica. Dire che Bob Dylan alla soglia del nuovo millennio era un artista senza più molto da dire è un luogo comune da sfatare con ogni mezzo, legale e illegale. Stiamo parlando di un autore e di un interprete che aveva influenzato almeno una generazione di autori ora maturi e imposti sul mercato discografico, i cui prodotti di grandissima qualità erano destinati a durare nel tempo. Si pensi ad esempio a gente come Tom Petty, che raccolse proprio a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta il testimone, così come lo stesso Bruce Springsteen, Tom Waits, ma anche gli Pearl Jam e in special modo Eddie Vedder, proprio come Bono Vox degli U2. Gli U2 nel 1988 resero omaggio alla musica statunitense che li aveva ispirati, nella loro lunga cavalcata verso il successo planetario. Senza soffermarsi troppo sul singolo artista, band o chitarrista, il lascito di Dylan era evidente e influente. Basti citare un singolo successo dei Guns ‘N’ Roses come la rilettura di Knockin' on Heaven's Door, brano che porta la formazione capitanata da Slash e da Axl Rose ai vertici delle classifiche e dei gradimenti di un pubblico stratificato ed eterogeneo.

Eppure Bob Dylan non veniva certo da un decennio facile e ricco di successi e gratificazioni discografiche. È vero che aveva prodotto e pubblicato durante gli anni ottanta due dei suoi album migliori e di maggior successo come Infidels del 1983 prodotto da Mark Knopfler dei Dire Straits (altra band profondamente ispirata e in debito nei confronti di His Bobness) e soprattutto il più recente successo di Oh, Mercy prodotto stavolta dal mago del suono (U2, Robbie Robertson, Peter Gabriel) Daniel Lanois. Il polistrumentista canadese aveva infatti stravolto e modernizzato gli arrangiamenti delle canzoni di Dylan, aiutandolo e dirigendolo verso una nuova visione di consapevolezza e di brillantezza essenziale del sound. Dylan negli anni ottanta sembrava sempre più perso e arroccato sulle proprie convinzioni. A detta della critica non era altro che un ferro vecchio del rock e del folk. Nessuno acquistava e ascoltava più la sua musica, in un decennio dove il concetto fatalista dell'usa e getta aveva preso il sopravvento. Del resto fu un decennio per niente facile per le vecchie glorie della musica d'autore, come possiamo vedere dando uno sguardo ad artisti come lo stesso Neil Young, Van Morrison e altri. In particolare però Dylan era colpevole di un delitto capitale: aveva pubblicato almeno due album nella seconda metà degli anni ottanta che la critica e il pubblico aveva salutato come i suoi peggiori lavori dai tempi di Self Portrait. Come sempre la storia e il tempo sono galantuomini, ma anche tra il suo zoccolo duro di sostenitori questi dischi non erano affatto piaciuti.

La resurrezione però ancora una volta è dietro l'angolo. Proprio nell'anno peggiore, quello in cui diede alla stampe il fiacco Down in the Groove, dove anche i critici e il pubblico più affezionato salva forse 2-3 canzoni, come la pimpante e allegra "Silvio", Dylan torna alla luce e lo fa con quello che gli riesce meglio da quando si è imposto nei circuiti folk newyorkesi dei primi anni sessanta: torna a esibirsi dal vivo con una certa continuità e autorevolezza. Non che prima fosse fermo, anzi, era reduce da almeno due tour con band che rispondono ai nomi di Tom Petty and the Heartbreakers e dei Grateful Dead di Jerry Garcia. Circola in questo periodo un bel live su Youtube di un Dylan in spolvero che divide il palco con Garcia & Co. Oh, Mercy e in parte Under the Red Sky, il sequel del 1990, bilanciano quindi gli insuccessi di Knocked Out Loaded e di Down in the Groove, ma c'è un problema. E non è affatto un dettaglio da poco. A Dylan, autore tra i più imponenti degli ultimi 25-30 anni mancano ora le canzoni, o meglio i pezzi giusti per restare a galla, vendere qualche disco e continuare a esibirsi in concerti e festival.

A questo punto l'idea appare chiara. Un ritorno alle origini di menestrello e di folksinger. Del resto non era forse lui il Wonder Boy degli anni sessanta, il principe della scena newyorkese che si impose al pubblico e convinse il grande talent scout John Hammond a metterlo sotto contratto con la Columbia Records? Era lui e ogni tanto forse gli piace ricordarselo. Con questi due album che non contengono nessun brano autografo, ma che si avvalgono di nuovi e squillanti arrangiamenti, Bob Dylan torna alle atmosfere pacate e acustiche dei suoi esordi. I dischi forse non sono dei capolavori, ma basta ascoltare anche solo i brani scartati, gli outtakes che verranno pubblicate nel tempo per stabilire le giuste gerarchie su chi sia ancora una volta il principe e il maggior interprete della scena folk e tradizionale Made in Usa. Basta ascoltare il brano Mary and the Soldier contenuta nel Bootleg Series Vol. 8 - Tell Tale Signs per capire chi resta uno degli interpreti più efficaci in termini di Contemporary folk music. Oppure per chi non concepisce e non digerisce i dischi dedicati al Great American Songbook, consiglierei di recuperare la sua versione di You Belong to me, la classica ballata romantica, portata al successo da Ella Fitzgerald, Patti Page e Dean Martin. Il brano eseguito da Bob Dylan e presente nella colonna sonora del film di Oliver Stone è una outtakes di Good as I Beene to You del 1992. Oggi, a distanza di quasi 30 anni, possiamo facilmente affermare come World Gone Wrong e appunto il sopra citato Good as I Beene to You siano qualcosa in più che esercizi di stile o dischi di livello accettabile. Sono una testimonianza di un artista che decide quale strada seguire, contro i propri interessi commerciali, contro quello che le radio e il sistema discografico imponeva. C'è chi in quegli anni si era permesso il lusso di "consigliare" a Dylan di ritirarsi. Bene, a distanza di 29 anni Dylan continua a fare la sua musica per il suo pubblico, senza compromessi e senza bisogno di chiedere permesso e scusa a nessuno.

A questo punto vi pongo la domanda che Soffia nel Web: chi era il vero artista grunge negli anni ‘90?


Dario Twist of Fate


sabato 21 ottobre 2023

New Morning (andammo a vedere il Drugo)

- Eh, dimmi, come ti vanno le cose? 
- Qualche strike e qualche palla pesa.
- Come ti capisco!

- Ah. Grazie, Gary. Beh tu stammi bene. Torno alla partita.
- Certo. Prendila come viene.
- Sì. sì. 
- So che lo farai.
- Sicuro, Drugo sa aspettare.

Secondo un modo di pensare convenzionale, è più semplice scrivere di argomenti che ci appartengono e che ci stanno maggiormente a cuore. Personalmente ritengo sia un luogo comune da sfatare. New Morning di Bob Dylan è uno dei motivi per cui mi sono avvicinato a questo autore. Era il 1998 e al cinema usciva il film dei fratelli Coen, Il grande Lebowski. Io avevo diciannove anni e mi trovato a Roma quando la pellicola venne distribuita in Italia. Purtroppo tra le città dove il film uscì non c'era Cosenza, quindi dovetti aspettare che venisse riproposto per una rassegna di cinema d'essai in seconda visione.

Ero già un discreto appassionato di film e tra i miei preferiti c'erano proprio i Coen assieme a Kubrick, Scorsese, Lynch, Polanski e Quentin Tarantino. Dei Coen avevo amato e mandato a memoria i vari Arizona Junior, Barton Fink, Blood Simple e soprattutto Fargo. Non sapevo niente di questo nuovo film, ma appena vidi il suo manifesto intuii che aveva del potenziale per essere qualcosa di diverso, nuovo, divertente e stimolante, almeno per uno come me. Di Bob Dylan sapevo che era un grande autore di testi e di canzoni, ma non lo ascoltavo ancora, o meglio, conoscevo quei 15-20 pezzi che per cultura personale e distratta, mi era capitato di beccare, in film, nei passaggi radio o in trasmissioni tv a tema musicale tipo Help di Red Ronnie. Ok, sto divagando. Flashforward: ho visto e rivisto Il Grande Lebowski e grazie a una VHS mando a memoria il brano che accompagna i titoli di testa del film. Si tratta di The Man in Me. Un pezzo "minore" di Dylan, solo che qui non sembra il cantante che aveva imparato a distinguere. È un cantante diverso, con un piglio allegro, quasi ironico. Da qui in poi gradualmente cado nel vortice e nel pentolone come un gallo da combattimento in preda al folk-blues. Grazie a un amico comune recupero un po' di LP e mi metto sul mio giradischi Philips che in quel momento fa ancora il suo sporco lavoro. Ascolto quindi dischi come Infidels, Nashville Skyline, Another Side of Bob Dylan e soprattutto New Morning. BOOM! Mi piacevano già alcune cose come Eric Clapton, Sting, R.E.M., Neil Young e aveva iniziato ad appassionarmi a Bruce Springsteen grazie a dischi come The River e Born to Run. Però l'effetto che mi fece un disco sulla carta tranquillo e "minore" come New Morning di Bob Dylan, pubblicato il 21 ottobre del 1970, me lo fecero poche cose. Da lì fu una ricorsa matta per reperire tutti i dischi, le musicassette e i cd possibili di Dylan. Ricordo che mio fratello aveva registrato una trasmissione su Rai 3, Schegge, dove c'era una porzione di uno speciale tv del 1976, HARD RAIN. Un vero battesimo del fuoco sacro dylaniano per me.

New Morning non avrà il passo dei capolavori anni sessanta e non sarà un disco che cambiò la storia della musica, ma cambiò la mia vita, ed è per questo che ve ne parlo con sentimento e a cuore aperto che sgorga emozione, ricordo, rabbia e tensione. Prima di tutto non ci sono brani troppo lunghi. Quindi se uno è leggermente curioso se lo può ascoltare e riascoltare anche 3-4 volte al giorno. Questo è un approccio che mi direte si può applicare anche ad altri dischi, non solo di Dylan, ma di tutto il pop minimale fini sessanta e inizio settanta. Purtroppo però non sono un fan di Cat Stevens o di James Taylor e scoprirò Elton John solo diverso tempo dopo. Conoscevo già Joe Cocker e quando recuperai alcune sue cose mi fece piacere ascoltare la sua versione un po' reggae di The Man in Me. Oggi so che questo disco nasce da diversi approcci, tra cui la composizione di una colonna sonora teatrale per un pièce di Archibald MacLeisch dal titolo Scratch. Leggo con piacere uno dei capitoli più ispirati di Chronicles - Volume 1, dedicato proprio a questo disco di transizione.

Tuttavia per essere un album meditativo e di transizione, New Morning ti colpisce e ti abbaglia. Non ci sono riempitivi, le canzoni sono ben eseguite e arrangiate. C'è Al Kooper assieme a uno stuolo di musicisti e sessionmen di primordine e per l'ultima volta il suo autore viene prodotto dal capace e tranquillo Bob Johnston. Si torna a New York negli studi B ed E della Columbia con un pugno di brani coerenti. Non ci sono le stravaganze hipster degli anni sessanta, ma troviamo comunque il bell'affresco beat di If dogs run free, una canzone del repertorio maggiore come If Not for You, che vanta alcune cover illustri come quella di George Harrison e di Bryan Ferry, oltre la title track, la già citata The Man in me e un nucleo di canzoni che vanno ad arricchire il songbook dylaniano dopo le prove incerte (a livello di critica) di Nashville Skyline e soprattutto di Self Portrait. Personalmente sono trascorsi più di vent'anni da quando la puntina del mio giradischi si poggiò su New Morning, ma lo ascolto come allora e ne traggo piacere. Durante gli anni il valore di questi dischi di transizione è notevolmente aumentato, grazie a cover, antologie e all'uscita del Bootleg Series Vo. 10 Another Self Portrait. Di questo disco ci sono canzoni che porto nel cuore: Went to See the Gypsy, che si ipotizza fosse un omaggio a Elvis, e poi ancora, Three Angels e Sign on the Window. Ricordo di aver assistito al soundcheck del cantautore Mimmo Locasciulli, dylaniano doc, il quale per scaldarsi e per provare microfono e voce eseguiva all'epoca questo pezzo. Ecco, questi sono quei ricordi marchiati a fuoco nella memoria. Tatuaggi sonori che il tempo non cancellerà mai, finché ci sarà spazio per raccontare la poetica di un disco brillante e solare come New Morning di Bob Dylan. Non un capolavoro, ma qualcosa di più di un amuleto portafortuna per il sottoscritto.

Dario Twist of Fate  


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