venerdì 27 dicembre 2024

Another Side of Bob Dylan


Another Side of Bob Dylan (1964)

In posa militare, puntavo la mano verso quei cani bastardi che insegnavano, senza preoccuparmi del fatto che sarei diventato il mio nemico nel momento stesso in cui avrei cominciato a pontificare. La mia esistenza guidata da battelli in confusione ammutinati da poppa a prua. Ah, ma ero molto più vecchio allora, sono molto più giovane adesso.

 (Bob Dylan) 

Non ci voleva poi così tanto a capire che l'artista che pubblicò il suo terzo album autografo (quarto in totale) era già una persona differente rispetto a quella che aveva composto un anno primo il suo disco più impegnato e politico. Forse il titolo non è il modo migliore per marcare la distanza e il cambio di passo, ma Another Side of Bob Dylan è senza dubbio la più convincente fotografia di un autore all'epoca 23enne che stava tentando di affrancarsi dall'immagine che gli volevano costruire attorno. Oggi basta fare qualche ricerca in rete per trovare una miriade di articoli, alcuni molto esaustivi, che tracciano la distanza tra il disco precedente e tutto ciò che sarebbe arrivato, da adesso in poi. Con le dovute differenze Another Side of Bob Dylan è molto più connesso e collegato alla trilogia elettrica e non ai due album autografi che lo avevano preceduto. In particolare troviamo testi e canzoni che hanno davvero molto poco a che vedere con il folk revival di cui Dylan aveva condivido idee, grammatica fondamentale e un certo radicalismo anni trenta. La netta distanza tra il brano che chiudeva The Times They Are A-Changin' e questo nuovo lavoro, appare evidente già dalle prime note e dal tono che accompagnano l'opening di All I Really Want to Do. Bisogna essere ciechi e soprattutto sordi, per non capire che è in atto un cambiamento epocale per l'autore di Blowin' in the Wind. Sia chiaro: Dylan non rinnega e non tradisce niente e nessuno. È solo andato oltre; ha gettato il cuore oltre l'ostacolo e ha vinto la sua battaglia personale. Qui infatti il giovane cantautore diventa un vero artista, affrancandosi dai movimenti e dal genere folk. Lo aveva detto a caratteri cubitali ed è bene riaffermarlo qui, in chiave retrospettiva.

"Qui dentro non ci sono brani che puntano il dito. Quei dischi li ho pubblicati e li difendo, ma in parte erano fatti per essere ascoltati, perché segnavano a dito tutto ciò che non va. Non voglio più scrivere per la gente, né fare discorsi. D'ora in poi voglio solo scrivere dal profondo di me stesso."

Un manifesto programmatico difficile da fraintendere. È vero che Bob Dylan tornerà su queste parole e saltuariamente sarà ancora quella "voce di protesta" che scrive "per la gente", ma è innegabile come con la trilogia composta da Bringing it all back home, Highway 61 Revisited e soprattutto con il capitolo finale, Blonde on Blonde, darà un taglio netto alle sue pagine passate. My Back Pages, appunto. Queste undici tracce possono disorientare, stordire e far gridare al traditore, ma sono il punto di vista di un giovane autore nel fiore degli anni. Non più quello stile narrativo con cui si era imposto, ma pura poesia astratta, dove trovano posto stati mentali impressionistici come il seguente:

“Attraverso il folle e mistico martellare dell'incessante grandine picchiettante. Il cielo faceva esplodere i suoi poemi in nuda meraviglia che il tintinnare delle campane della chiesa soffiava lontano nella brezza, lasciando solo campane di fulmini e il loro tuono che colpiva per i cuori nobili, colpiva per il mite, colpiva per i guardiani e i protettori della mente e dietro al pittore indomito prima che venisse la sua ora e osservammo i lampeggianti rintocchi di libertà.”

Riascoltare oggi e perdonare qualche sbavatura e alcuni passaggi che girano forse a vuoto, significa dare una dimensione del lavoro di un musicista che in appena cinque anni contribuiva a rendere più netto il cambiamento con tutto quello che l'America, la popular song e la musica poteva rappresentare. Diverse forze stavano ridisegnando lo stile di Dylan. 

Un autore sensibile che dirà al suo biografo Anthony Scaduto: “Sapevo che i Beatles puntavano nella direzione in cui la musica sarebbe andata. Non volevo snobbare gli altri, ma per me loro erano la cosa.” Non è semplice scrivere e commentare un lavoro che ha fatto la storia della canzone d'autore e che forse per Dylan è stato il passo più audace della sua carriera. Qui infatti non avviene ancora la svolta elettrica, ma il modo di suonare e di interpretare i propri brani è nettamente diverso, più pop, più orientato verso un modo nuovo di fare dischi. Le canzoni a modo loro, siano esse i grandi capolavori o episodi minori e forse trascurabili, svolgono il loro ruolo. Incredibile, ma vero Another Side of Bob Dylan venne registrato in un’unica sessione. C’è un aspetto che bisogna sottolineare, la voglia di divertirsi e di divertire di queste canzoni. Eppure dietro certi bozzetti frivoli, l’autore infila scene e immagini da Apocalisse, ed è questa la sua abilità, la grande cifra stilistica di un giovane e audace troubadour. Come sottolineano Ric Ocasek e Ike Reilly Dylan esegue tutte le canzoni accompagnandosi solo con la chitarra acustica. E in questa occasione si tratta di arrangiamenti in grado di supportare seriamente melodia, testi ed esibizione. Si è detto poche volte che è un chitarrista acustico formidabile, ma in questa occasione è importante ribadire il concetto. 

Perché c'è un vero calderone di idee, immagini e suggestioni in titoli come Spanish Harlem Incident, Ballad in Plain D o Motorpsycho Nitemare, sono episodi unici nel canzoniere dylaniano, figlie di quei turbolenti e suggestivi anni sessanta. Proprio in Motorpsycho Nitemare Dylan trae ispirazione dall'universo cinematografico di due registi come Federico Fellini e soprattutto Alfred Hitchcock ribaltando i principi cardine di Psycho.

La canzone è infatti una parodia ispirata alle barzellette di commessi viaggiatori, dove il protagonista si presenta in una fattoria in cerca di un posto dove passare la notte, solo per essere attirato dalle tentazioni della figlia del contadino. Dylan sposa le trame di base del film e scherza per creare un racconto umoristico con un accenno politico. Oggi forse alcune cose potrebbero apparire un po' naif e acerbe, ma furono da apripista per quello che sarebbe arrivato dal disco successivo a seguire. Fatto non trascurabile il brano Mr. Tambourine Man, non presente nella versione finale del lavoro, venne composta ed eseguita in una prima versione proprio per Another Side of Bob Dylan.

La critica lungimirante

David Horowitz definì le canzoni un fallimento assoluto di gusto e di consapevolezza autocritica. Dylan ammise nel 1978 che il titolo dell'album non era di suo gradimento. "Ho pensato che fosse troppo banale", ha detto, "mi ha creato un po' di problemi un titolo come questo".

Domanda da sempliciotto di periferia: "Era così difficile capire l'ironia di Dylan nel '64?"

Dici di cercare qualcuno che non sia mai debole ma sempre forte, per proteggerti e difenderti quando hai ragione o quando hai torto. Qualcuno che ti apra una a una tutte le porte, ma non sono io, babe.

Dario Greco Writer

giovedì 19 dicembre 2024

Highway 61 Revisited

 

Highway 61 Revisited (1965)

How does it feel, How does it feel, To be on your own, Like a complete unknow, Like a rolling stone?  

Highway 61 Revisited è uno dei dischi spartiacque della storia del rock. Solo che quando uscì il concetto stesso di rock, senza roll, non era ancora stato delineato e messo a fuoco. Non solo: c'è da compiere diversi passi indietro, sostenendo come all'epoca, molti dei nostri eroi e miti musicali, non si erano ancora manifestati, o non stavano lottando per ottenere successo. In effetti prima di quel 30 agosto 1965, c'erano solo Dylan (non ancora affermato in ambito di musica elettrificata) i Beatles, gli Stones (che erano poco più di una promettente blues band), gli Animals e i Kinks. Basta così. Una lista breve, concisa. Dopo le cose sarebbero invece cambiate, un po' per tutti, inclusi i fruitori di musica pop rock. Le ragioni? Semplici. Questo disco oltre a contribuire a gettare le basi dell'ascolto di un 33 giri conteneva due brani la cui durata era superiore ai sei minuti. Uno di questi fece la storia del rock. Si tratta di Like a Rolling Stone. Dylan può piacere oppure no, ma questo classico della popular music resterà per sempre nel tempo e negli annali. E non è semplice resistere al tempo e a un autore così importante e influente. La canzone che diede il titolo al disco è formidabile nella sua sintesi, sotto il profilo sonoro, quanto sotto quello testuale. Cosa c’è di più innovativo e al contempo classico di mettere in scena un dramma di ispirazione biblico dove troviamo Dio e Abramo in un surreale dialogo che ha come sfondo proprio la Highway 61. Si tratta in effetti di una vera strada che collega il Minnesota con New Orleans, passando per Chicago, St. Louis e Memphis. Ed è di cruciale importanza sottolineare come per il giovane autore questa strada che conduce a Sud fosse di ispirazione come metafora della musica blues e delle radici sonore e artistiche di cui Dylan si è sempre detto affascinato. Una sorta di trovatore e di antropologo un po’ naif, ma proprio per questo capace di coniugare il proprio pensiero musicale con un modo nuovo di fare musica, che fino a questo punto in pochi avevano davvero esplorato e tentato di portare alla luce. È un lavoro di sintesi, che a un orecchio poco allenato potrebbe apparire rozzo e poco definito. In realtà Dylan e i musicisti coinvolti diedero vita a un lavoro maiuscolo per la forma canzone e per i limiti stessi del genere in termini di crossover. Tuttavia il merito, nuovamente va suddiviso tra il suo autore e i protagonisti che presero parte a questo capolavoro. Come era già successo pochi mesi prima, ma stavolta con maggiore continuità, Dylan realizza un lavoro in studio elettrico. Coinvolge infatti un gruppo di musicisti che lo affiancano contribuendo in modo sostanziale alla riuscita dei brani. In cabina di regia subentra Bob Johnston a Tom Wilson, che aveva prodotto i primi dischi di Dylan, incluso quello della svolta elettrica, Bringing it all back home. Stavolta però le cose vanno in modo diverso, nel senso che ci sarà più spazio e campo per la sperimentazione e soprattutto per l'improvvisazione. Secondo alcuni sarà il caos a regnare sovrano in tutte le sessions, ma il risultato finale ci dice qualcosa di differente. Ci dice che questo è probabilmente il più grande disco mai realizzato in carriera da Bob Dylan.

“Non sarò mai più capace di fare un disco migliore di questo. Highway 61 è troppo buono, c'è un sacco di roba che io vorrei ascoltare, lì dentro", disse lo stesso Dylan al suo biografo Anthony Scaduto.

Nove tracce dove l'unica più debole From a Buick 6 è un roco e teso up-tempo in chiave blues che nel contesto farà da collante tra It Takes a Lot to Laught e Ballad of a Thin Man, brano indebitato nei confronti di Ray Charles con un testo killer e un riff di organo memorabile, uno dei tanti colpi vincenti messi a segno in questo lavoro da Al Kooper, sì proprio lui, quello che non poteva sedersi dietro l'Hammond per eseguire il famoso suono che contribuirà al successo del singolo Like a Rolling Stone. Dylan però oltre che essere in stato di grazia compositiva, ha anche due ferri di cavallo sotto le suole delle scarpe. In quel momento qualsiasi cosa tocchi, diventa oro! Come lo sappiamo? Basti ascoltare il Bootleg Series Vol.12 The Cutting Edge. Storta va, deritta vene, sembra essere il suo motto. Oggi con la critica revisionista tutto questo potrebbe essere bollato come dilettantismo, infatti durante il 2020 se la memoria non mi inganna nessuno è andato vicino dal realizzare un disco lontanamente accostabile ad Highway 61 di Dylan, ma questa è un'altra dannata questione! 

Oh, Dio disse ad Abramo "Sacrificami un figlio" Abe disse "Amico, mi prendi in giro? "Dio disse "No", Abe disse "Cosa?" Dio disse "Puoi fare come vuoi Abe ma la prossima volta che mi vedi arrivare sarà meglio che teli" Allora Abe disse "Dove vuoi che avvenga questo omicidio?" Dio disse "Sulla Highway 61"

Cornice storica in cui venne registrato l'album

Anticipato dal singolo Like a Rolling Stone, pubblicato il 20 luglio 1965, Highway 61 Revisited estende la formula che si era già sentita su Bringing it all back home. A differenza del suo predecessore, con il quale condivide la base degli arrangiamenti blues, che determina almeno la metà del disco, qui trovano spazio un certo gusto per il pop, il doppio shuffle, ritmi discendenti stile Ray Charles e rock and roll. L’atmosfera e le vibrazioni dell’album riescono a catturare quello che stava accadendo durante quegli anni. Un suono umano e ruvido, come una copertina di Life, un discorso dove il senso di sfida e di consapevolezza si fa audace, visto che l’autore consapevolmente punta il dito verso tutto e tutti.

Secondo Joe Henry questo disco può essere paragonato a Citizen Kane di Welles e sul fronte musicale a incisioni come West End Blues e Now’s the Time, cambiando tutto quello che è venuto dopo. Per Bruce Springsteen “Quel colpo di rullante risuonò come se qualcuno avesse sfondato a calci la porta della tua mente. Un colpo di batteria che schiude un mondo, crea una storia che si fa leggenda. Secondo Uncut si tratta dell’evento culturale che ha cambiato il mondo. In questo disco c’è una aggressività di suono che segna un cambiamento deciso di rotta, dove a differenza di Bringing it all back home viene privilegiato un suono sporco, sbilenco, con gli strumenti molto vicini tra loro. Un aspetto questo, che se negli anni sessanta poteva risultare un errore, oggi ne fa aumentare il valore intrinseco. Il merito è in parte di Dylan e in parte del gruppo che lo accompagna. Qui troviamo infatti musicisti come Harvey Brooks, Sam Lay, ma soprattutto Mike Bloomfield e Al Kooper. Contribuisce solo per il brano Desolation Row, il pluristrumentista di Nashville, Charlie McCoy. Un breve film di 11 minuti e 18 secondi, secondo Tony Glover. È come se Billy Wilder venisse incontro allo stile surreale di Luis Bunuel.     

Le cover di rilievo nel tempo

Pochi dischi contengono canzoni che sono state reinterpretate da altri artisti come Highway 61. Citiamo qui solo gli artisti e le versioni più importanti per questioni di spazio. Jimi Hendrix non ha mai nascosto l’influenza di questo disco e la prova arriva dalla sua versione di Like a Rolling Stone. Brano che è stato eseguito, tra gli altri, da David Bowie, Rolling Stones, Bruce Springsteen, John Mellencamp, Johnny Winter e Judy Collins. Vanno poi ricordate le cover di artisti del calibro di Nina Simone, Neil Young, Grateful Dead, Billy Joel, PJ Harvey e Linda Ronstadt, tra gli altri. 

Considerazioni finali su Highway 61 Revisited

Non è il valore dei singoli brani o la somma di questo importante album a renderlo così celebrato nel tempo. Secondo il produttore e musicista Joe Henry, interpellato da Jon Bream per discutere di Highway 61: "Qui sembra di ascoltare persone che saltano fuori da un microfono. Questo avviene nei momenti migliore e nei solchi di un disco di valore assoluto. Il suono è totalmente elettrico e vivo, non si tratta di un documento con sigillo. Spesso Highway 61 mi fa questo effetto. Sembra che si stia ancora evolvendo, perché noi ascoltatori siamo così coinvolti, da evolverci mentre lo stiamo ascoltando. Non mi suona ancora come un progetto musicale concluso del tutto." Naturalmente tale dichiarazione va letta in un senso del tutto positivo che valorizza e aumenta le quotazioni di un disco che ha fatto e continua a fare epoca, nel contesto del rock d'autore. È innegabilmente uno dei lavori migliori di uno degli autori più influenti della storia musicale popolare del Novecento. Piaccia o meno, questo resta un dato oggettivo e fuori da ogni discussione di rilievo in campo musicale, testuale e di cornice storica. In attesa che venga scalzato dai nuovi autori di musica popolare e rock. Li attendiamo fiduciosi al varco, con la medesima aggressività che Dylan ha mostrato nelle liriche e nei suoi del suo capolavoro, Like a Rolling Stone.

Ezra Pound e T.S. Eliot combattono nella torre di comando mentre cantanti di calipso li deridono e pescatori porgono fiori tra le finestre del mare dove amabili sirene nuotano e nessuno deve preoccuparsi troppo di questo vicolo della desolazione.

Dario Greco Writer

mercoledì 18 dicembre 2024

Il potere della parola: Bob Dylan a ruota libera

The Freewheelin’ Bob Dylan (1963)

 

La cosa più scioccante di questo disco è che si possono prendere anche i brani minori e scriverne per ore e ore. Non c'è bisogno di azzannare e di aggredire alla giugulare un'opera così bella, iconica e capace di resistere e sopravvivere al lento scorrere del tempo. Già, il tempo! “My only friend, the end” dirà qualche anno dopo uno sciamanico Jim Morrison. Bisogna riavvolgere il nastro e ripartire da questa copertina iconica, una delle più importanti e suggestive di una decade tanto importante come i sessanta. Uno scatto che è tutto un dettaglio, un simbolo. Scende in strada Bob Dylan, con il tutto il suo entusiasmo e non è da solo. Nel disco, tra i solchi di questo esordio, come autore, è quasi sempre solo lui, con la sua incredibile penna, con le sue parole, taglienti come forbici, in una notte buia come la pece. Ci sono dischi che hanno un biglietto da visita migliore rispetto a The Freewheelin' Bob Dylan?

A ben vedere questo è uno dei sei dischi chitarra e voce, tanti ne realizzerà nel corso della sua lunga carriera discografica. I primi quattro vengono realizzati durante gli anni sessanta, mentre per i due successivi bisognerà attendere ben trent'anni. Mi riferisco a Good As I Been To You del 1992 e a World Gone Wrong del 1993.

Il disco parte agile e fiero sulle note di chitarra di Blowin' in the Wind. Due minuti e quarantotto secondo per consegnare la sua voce alla gloria e alla storia di una decade, di un ideale, fallace, ma non per questo meno significativo ed evocativo. Del resto nelle prime tre tracce non c'è segnale alcuno di reso, di sconfitta. La seconda canzone è probabilmente tra le migliori composizioni di sempre del suo autore.  Si tratta di Girl from the North Country. Non siete convinti? Basta ascoltare una delle innumerevoli cover realizzate di questo classico immortale. Mentre lo fate ragionate su questo: l'autore e l'interprete principale lo scrisse quando aveva appena 21 anni. Così, tanto per dire. Dopo la rilettura del classico folk Nottamun Town, a cui Dylan cambia il testo per farlo diventare Masters of War, si passa a due brani meno noti, ma non per questo privi di valore e di significato come Down the Highway e Bob Dylan's Blues.

Nel primo Dylan cita proprio l'Italia, nel verso "My baby took my heart from me/ She packed it all up in a suitcase/ Lord, she took it away to Italy, Italy" che naturalmente è dedicato e ispirato alla sua relazione con Suze Rotolo, la stessa ragazza che lo abbraccia nello scatto di copertina realizzato da Don Hunstein.

Bob Dylan's Blues è un concentrato di acume, umorismo e sfrontatezza, qualità che Dylan sfoggia con quel tipico orgoglio che è usuale durante la giovinezza. Gioventù che però scompare rapidamente per fare spazio al sermone di uno dei suoi primi capolavori a livello testuale: A Hard Rain's a-Gonna Fall. Un capolavoro senza macchia che ancora oggi ci fa pensare: - Ma da dove diavolo l'ha tirata fuori?!? Non a caso al pari di altri classici, Hard Rain diventa un punto saldo del suo repertorio dal vivo, capace di attraversare il tempo come un fendente in una notte senza stelle.

Il lato B dell'album si apre con un altro capolavoro, sia per il testo che per la musica e la melodia. Don't Think Twice, It's All Right. il titolo cita forse Elvis Presley e sarà da ispirazione al Re, che lo inciderà qualche tempo dopo. Da segnalare la bella versione country di Waylon Jennings, interprete che assieme a Johnny Cash contribuirà a sdoganare negli ambienti dei puristi del genere il talento puro del menestrello di Duluth. La melodia incantevole di Dont' Think Twice apre alla seconda facciata di questo disco che consegna il suo autore alla storia della musica popolare del Novecento. Non serve infatti affermare che anche fosse terminata qui la carriera di Dylan, se ne parlerebbe ancora oggi e in senso principalmente positivo e nostalgico.

Il resto dei brani a parte la cover di Corinna, Corinna, presenta altre composizioni significative come I Shall Be Free, che è una rilettura di Lead Belly, così come Talkin' World War III Blues, che deve molto allo stile del suo mentore dell'epoca, Woody Guthrie. Resta da dire di Oxford Town e di Honey, Just Allow Me One More Chance. La prima è un'altra canzone intelligente, ironica e di taglio decisamente satirico, come era solito fare in questa fase della sua carriera. C'è un aspetto che viene spesso poco considerato quando si parla del Dylan autore: la sua capacità di tracciare bozzetti ironici e satirici. Eppure è una delle cose che dovrebbero colpire di primo acchito l'ascoltatore. "Io e la mia ragazza, il figlio della mia ragazza siamo stati accolti con i gas lacrimogeni. Non ho capito nemmeno che ci siamo andati a fare, ce ne torniamo da dove siamo venuti." Honey, Just Allow Me One More Chance è invece un tour de force vocale e performativo di un giovane cantautore che avrebbe poi creato un marchio di fabbrica e contribuito a rinnovare la tradizione del blues con le sue liriche al vetriolo e con una penna che sgorga talento, sfacciataggine e coraggio da ogni poro. The Freewheelin' Bob Dylan venne pubblicato il 27 maggio del 1963. La produzione del disco è di John Hammond e Tom Wilson. È giustamente considerato tra i vertici assoluti dell’autore e della musica popolare del Novecento. Ha contribuito ha delineare un nuovo modo di scrivere e produrre canzoni d’autore, che vanno oltre il singolo genere di riferimento. Dylan probabilmente non aveva ancora la License to kill, ma di certo con la sua chitarra è stato in grado di battere i fascisti, conquistando i cuori di chi sapeva ancora sognare.

Folgorante e innovativo. La luce di questo lavoro, che per certi versi rappresenta il vero esordio del Bob Dylan autore, non cesserà mai di brillare.

Dario Greco


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sabato 14 dicembre 2024

Bringing It All Back Home (1965)

Bringing It All Back Home (1965)

Bob Dylan nel 1965 sente che è giunto il momento di compiere uno strappo necessario con il mondo del folk, ambiente che lo aveva eletto giustamente Principe, per il livello di popolarità, destrezza e qualità artistiche mostrate in pochi anni di attività musicale professionale. Ma Dylan non era solo questo, come stavano per apprendere in moltissimi. È facile oggi giudicare un disco che all'epoca fu un vero spartiacque, capace di commuovere, scuotere, creare hype, polemica, mettere tutti d'accordo e scalare le classifiche di vendita come mai era riuscito a ottenere con i lavori precedenti. Chi non c'era non può capire, si dice. Possiamo quindi immaginare cosa è stato poggiare sul piatto del proprio giradischi il lato A di questo imperdibile capolavoro. Ed è proprio nel lato A che il Dylan autore ed esecutore riserva le sorprese più imprevedibili. Pronti via e si parte con il teso blues rock di Subterranean Homesick Blues. Un testo inarrivabile, anche per lo stesso autore, ma una musica nuova, fresca, violenta che non vuole fare sconti e offrire rifugio dalla tempesta.

Ma facciamo un passo indietro. L'anno prima Bob Dylan aveva dato alle stampe il suo quarto lavoro, Another Side of Bob Dylan, dove per la prima volta si poteva sentire una ricerca da parte dell'autore di intercettare umori e stili musicali più al passo coi tempi, rispetto alle produzioni precedenti. Qui bisogna però aprire il Vaso di Pandora e mettere le cose in chiaro. Bob Dylan non è mai stato un interprete puramente folk. Perfino nei due dischi che andrà a incidere negli anni novanta, che non contengono nessun brano autografo il suo stile personale, finirà per emergere e per mostrare la propria rilettura di classici del folk, del blues e della musica popolare scozzese, irlandese e statunitense. Ci sono quindi dei falsi miti e degli errori di valutazione che prima o poi la critica militante dovrà assumersi l'onere di correggere.

Da questo momento in poi però anche per chi si ostina a trovare e a vedere i semi della tradizione del folklore nelle liriche e nelle tessiture sonore degli album del Nostro, dovrà ammettere che qualcosa è cambiato. Perché lo scarto in avanti di brani come Subterranean Homesick Blues, Maggie's Farm, Outlaw Blues, On the Road Again e Bob Dylan's 115th Dream è fin trovo evidente e programmatico, anche per i molti critici e cultori del genere folk che certamente avevano mostrato problemi di acufene e bisogno imminente di un bravo otorinolaringoiatria.

Le session si tennero tra il 13 e il 15 gennaio del 1965 nei Columbia Studio A e B. Questo è l’ultimo disco interamente prodotto da Tom Wilson, il quale guida una squadra dove spiccano le note di un nucleo eterogeneo e compatto di musicisti.

Li citiamo tutti qui di seguito:

Steve Boone – bass guitar - Al Gorgoni – guitar - Bobby Gregg – drums - 

Paul Griffin – piano, keyboards - John P. Hammond – guitar - Bruce Langhorne – guitar - 

Bill Lee – bass guitar on "It's All Over Now, Baby Blue" - Joseph Macho, Jr. – bass guitar - 

Frank Owens – piano - Kenny Rankin – guitar -  John Sebastian – bass guitar

 Bill Lee è il padre del futuro cineasta Spike Lee e suona il suo basso su uno dei pezzi che sono rimasti di più di questo album: It's All Over Now, Baby Blue. Perché se è vero che i pezzi con un vestito sonoro che possono spiazzare maggiormente, non bisogna certo trascurare altri e alti episodi come Mr. Tambourine Man, Gates of Eden, It's Alright Ma (I'm Only Bleeding) Love Minus Zero/No limit e She Belongs to Me. Come facilmente intuibile in questo disco non c'è posto né spazio per brani riempitivi. Ogni singola nota e verso ha motivo di esistere. Bisogna dire qualcosa anche del lavoro di artwork della copertina realizzata da Daniel Kramer, che per certi versi apre la stagione della psichedelia e della sperimentazione. Il disco musicalmente è un pugno assestato alla musica pop, con il vigore di un 24enne che sapeva bene da dove veniva, ma soprattutto dove voleva arrivare. Anthony De Curtis ha scritto: "Nel giro di 14 mesi abbiamo Another Side of Bob Dylan, Bringing it all back home e Highway 61 Revisited. Un livello ancora oggi semplicemente sorprendente, come del resto l'evoluzione da un album all'altro è straordinaria."

Di questo disco è importante dire che ha rappresentato una svolta per la carriera del suo autore, visto che contiene il primo singolo a entrare nella top 40. E se è vero che il rauco rock elettrico di Dylan causò sgomento tra i vecchi fan del folk, è necessario stabilire come questo lavoro gli procurerà più seguaci di quanti ne perderà lungo la strada. Da un punto di vista programmatico questo album apre la porta a quello che sarà il Leitmotiv della carriera di Bob Dylan: spiazzare il suo pubblico. Dargli sempre qualcosa di diverso, di inatteso, capace di creare vertigine, sgomento e shock. Bringing it all back home venne pubblicato il 22 marzo 1965. Alla luce dell'ultimo disco di brani autografi, Rough and Rowdy Ways, 39esimo lavoro in studio del 2020, possiamo affermare che ancora oggi a quasi 80 anni di vita e 59 di carriera discografica, Dylan continua a stupire, sorprendere e dividere il pubblico e la critica. Non sarà il più grande cantante della storia forse, ma la sua stella è certamente quella più sfavillante e duratura di tutti i tempi. 

Dario Greco Writer

venerdì 13 dicembre 2024

Bob Dylan: l'eponimo che segna il debutto del menestrello

 



Bob Dylan (album eponimo del 1962)

Nessuno, forse nemmeno il grande talent scout John Hammond poteva prevedere quello che sarebbe accaduto, in chiave retrospettiva dopo quel 1962. 

Eppure è proprio da questa data, 19 marzo 1962 che bisogna iniziare, se si vuole ripercorrere in maniera coerente e completa la vicenda artistica di Bob Dylan. Dai primi timidi tentativi di scrittura, che sono appunto contenuti in questo esordio. I brani autografi sono due: Talkin' New York e soprattutto Song to Woody, dedicata proprio al suo mito, Woody Guthrie, la principale fonte di ispirazione per questo acerbo cantautore. Eppure nel disco si sente anche altro, inclusi brani che faranno da lì a breve la fortuna dei loro esecutori. Pensiamo ad esempio a un pezzo come House of the Risin' Sun, che di lì a breve avrebbe fatto la fortuna di Eric Burdon e dei suoi Animals. Ci sono poi altre canzoni che meritano una citazione e una analisi più approfondita, come ad esempio Baby Let Me Follow You Down, brano tradizionale, come lo era anche House of Risin' Sun, arrangiato da Eric Von Schmidt, che resterà però appiccicato a Dylan per lunghissimo tempo.

Che dire di You're No Good? Brano che di fatto rappresenta il primo vero approccio che si possa fare in maniera filologica con la musica di Bob Dylan. Il pezzo che apre il disco è una composizione di Jesse Fuller e mostra tutte le fragilità e le speranze di questo giovane chitarrista e interprete che aveva fatto tanta strada per arrivare in quel di New York per coronare il suo sogno di musicista. Certe volte la vita è davvero strana, come racconterà molto tempo dopo nel suo mirabile memoriale, Chronicles - Volume Uno.

Dylan arriva a New York City in un freddo mattino d'inverno del 1961, per farsi strada tra le amicizie e i salotti radical-chic del Café Wha, del Gerde's Folk City e del Gaslight.

Bastano dunque due sessioni di registrazioni che daranno vita a 36 minuti e 54 secondi di musica, per questo importante esordio per la musica d'autore nordamericana. Eppure in quel 1962 tutto questo sarà riservato davvero a pochissimi fruitori. Il disco infatti, pur avvalendosi di una etichetta importante come la Columbia non venderà moltissimo prima del 1964, quando però il fenomeno Dylan sarà già esploso a livello mediatico specialmente negli Stati Uniti. Arriverà alla 13esima posizione nel Regno Unito, tre anni dopo la sua pubblicazione. Nemmeno la critica musicale gli riserva un trattamento di favore, ma non sarà l'unica volta in cui un nuovo disco di Bob Dylan verrà rivalutato a distanza di tempo. Del resto questa è la condizione che un musicista imperfetto e personale deve imparare a gestire. Bob Dylan non ha mai convinto tutto il pubblico e la critica, non è un cantante perfetto, né un chitarrista eccezionale, ma sopperisce con la personalità, il gusto e il carisma innato, queste carenze congenite.

Il suo disco d'esordio, ascoltato oggi, costituisce un modello di paragone importante, rispetto a quello che avrebbe realizzato nel tempo, alla sua maturità artistica, vocale e musicale. Eppure è davvero incredibile non soffermarsi sui tratti distintivi e sulle qualità di questo esordio. Non sappiamo bene se il merito sia da spartire con chi gli aveva insegnato gli arrangiamenti di certi brani, fatto sta che oggi tutti quei nomi sono solo ricordi sbiaditi, mentre la stella di Dylan splende nel firmamento in maniera sempre più potente e brillante, segno che il tempo è galantuomo con gli uomini di ingegno, di talento e di passione. E Bob Dylan possedeva e possiede tutte queste qualità, se ci consentite di esprimere un giudizio. 


Dario Twist of fate

Illustrazione originale di Elena Artese

mercoledì 11 dicembre 2024

Dylan and I (Un'altra curva nella memoria)

DYLAN & I (TIME PASSES SLOWLY)

Approfitto di questo momento di pace apparente, quiete prima della tempesta, per vuotare il sacco. In maniera definitiva. Non è stato facile, almeno per chi vi scrive, diventare un appassionato di musica. Sarà che non ero nato nel posto giusto, forse avrò sbagliato a scegliere famiglia. Oppure ho frequentato persone che non mi facevano sentire parte di qualcosa, parlo in termini esclusivamente musicali, sia chiaro. Fatto sta che prima dei 16-17 anni, che poi coincide con le premature cotte, sbandate per ragazze irraggiungibili, inarrivabili, non era ancora scattata la scintilla tra me e la musica. Ascoltavo canzoni, quello sicuramente, ma non pensavo di essere portato per diventare un vero e grande appassionato. Preferito i libri, preferivo i film, la scrittura, la contemplazione. A pensarci bene in effetti, ancora oggi preferisco scrivere, leggere, guardare film. Ma non è questo il punto. Il punto è che in una zona segreta e oscura, scattò qualcosa dentro me. Un qualcosa di selvaggio e arcaico, di sacro e profano. Un movimento, un suono, un'idea. L'idea che ci sono canzoni che possono contribuire a rendere la tua vita meno faticosa, meno brutta, meno priva di significato, forse. Lo chiamavamo rock, ma non sapevamo bene che cosa fosse di preciso. Era il 1996 quando ascoltai per la prima volta con cognizione una musicassetta di Sting, un disco dei R.E.M. e qualcos'altro degli U2, Red Hot Chili Peppers. Molto buoni, ma forse c'era dell'altro per me. Arrivai perciò a Eric Clapton, a Neil Young e di conseguenza anche a Bruce Springsteen, agli Stones. Mancava ancora qualcosa. Un ulteriore tassello, quello che oggi viene definito un upgrade: il salto di qualità. Per me è stato ascoltare Biograph, Greatest Hits vol. 3, Blood on the Tracks, Like a Rolling Stone e Blonde on Blonde. Sissignora, sto parlando di lui! Del mio primo, indimenticabile, ascolto delle canzoni di Bob Dylan. Ricordo ancora la prima cassettina. All Along the Watchtower, Forever Young, Mr. Tambourine Man, Blowin' in the Wind, Knockin' on Heaven’s Door e qualche altro brano. Sono state sufficienti poche canzoni, ed è stato sufficiente leggere altri titoli. You're a Big Girl Now. Non conoscevo bene l'inglese, ma fin lì ci arrivavo, inoltre conoscendo un po' Fabrizio De André sapevo che Avventura a Durango fosse una cover di un brano di Dylan. E mi piaceva.

Me lo feci bastare per un pezzo. Poi, facendo un salto in avanti, ricordo di aver ascoltato uno dei volumi di Biograph, credo fosse il terzo. Altro scarto e conseguente esplosione cambriana. Come un trip del Grande Lebowski, che appena un anno dopo avrei visto al cinema, ascoltando per la prima volta un altro pezzo forte come The Man In Me. I vinili prestati dal papà di un amico, ed ecco anche Infidels, Nashville Skyline, Another Side of Bob Dylan. Non tutti mi presero, come invece fece la colonna sonora di Pat Garrett & Billy The Kid, come il primo clamoroso ascolto di Ballad of a Thin Man. Come Highway 61 Revisited. Poi venne il giorno di Blood on the Tracks, e più o meno nello stesso periodo, di Time Out of Mind, di "Love and Theft", dell'Unplugged. Avrò fumato non sono quanta marjuana ascoltando questi dischi, ok, erano in formato CD, ma mi piace comunque chiamarli DISCHI. Perché Dylan è uno che suona, produce e pubblica ancora oggi dischi. Ricordo un viaggio a Roma con l'ascolto prolungato, sostenuto di Before the Flood. Avrò consumato quel nastro a furia di ascoltarlo. E mi piaceva. E mi piacevo. Scrivevo e leggevo, ascoltando Bob Dylan, adesso! 

Sono trascorsi non meno di 25 anni da quando mi sono appassionato a questo genere di canzoni. Andando avanti ho scoperto Lou Reed e mi sono innamorato del sound di The Band. Ho ascoltato ancora e meglio Neil Young, ho scoperto Tom Waits, ma questo prima di diventare un fan totale, sfegatato di Van Morrison. Ecco forse quello è stato il mio ultimo salto nel vuoto, ma è decisamente un'altra storia. Una storia fantastica. Come quella dei primi ascolti di ogni disco di Bob Dylan. Inclusi quelli del periodo Sinatra, incluso Modern Times, l'estate del primo live di Dylan a Cosenza. Altra storia, altro biglietto, stesso regalo. I due concerti del 2007 di Torino e Milan, poi il lungo viaggio in Irlanda, con Bob Dylan, Springsteen e Van Morrison portati nel cuore. E la rivalutazione di Mark Knopfler solista. E ancora Bob Dylan, sempre Dylan. Poi Malta, poi ancora Cosenza, il sentimento ritrovato e infine perduto, il giro del Partyzan, dove quasi nessuno ascoltava Dylan e poi Tempest, un periodo piuttosto duro, difficile, travagliato, marcato. Ma ancora Bob Dylan, sempre Dylan. Non era finita, non è certo finita qui 'sta storia. Solamente un piccolo ricordo, un'altra curva nella memoria. Un po' come avere 17-18-28-38 anni. Come averne quasi 46. Come aver superato un'altra crisi esistenziale ed emotiva. Come ascoltare un 45 giri di Bob Dylan, naturalmente. Questo e molto altro ancora è Dylan per me. Questo e molto altro esprime il concetto di Dylan & I.

"È passato così tanto tempo da quando una sconosciuta ha dormito nel mio letto. Guarda come dorme dolcemente, quanto devono essere belli i suoi sogni. In un'altra vita deve aver posseduto il mondo, o essere stata fedelmente sposata a qualche virtuoso re che scriveva salmi al chiaro di luna."

Dario Greco


- SITUAZIONISMO DYLANIANO - 

DYLAN & I (TIME PASSES SLOWLY)