venerdì 16 dicembre 2022

Datemi un'altra tazza di caffè così potrò tornare in tour

 Commento critico sull'album Desire (1976) 


Desire è il disco più importante di Bob Dylan degli anni settanta. O meglio, è quello che si avvicina di più all'idea che abbiamo di un autore in cerca di ispirazione, di tematiche forti che possano in qualche modo ricongiungere con quella che era stata la parte più intensa della sua carriera musicale. Sulla scia del successo di Blood on the Tracks, Bob Dylan aveva acquisito più forza, sulla scena della musica popolare, di quanta ne avesse mai avuta dalle fine dei Sessanta. Anche la sua presenza sui media era tornata su valori ottimali, come non accadeva dal 1966, in pratica. Questo ritorno di fortuna venne consolidato dal tour con la Rolling Thunder Revue, episodio di cui scriveremo più diffusamente, in un altro contesto e in separata sede. Arrivati a questo punto della retrospettiva critica ci sembra doveroso affermare come alcune collaborazioni inattese avevano indirizzato buona parte della musica più innovativa di Dylan. Desire non fa eccezione a questo tipo di contesto e di questa visione musicale estesa e condivisa. Va anche detto come prima di questo lavoro Dylan raramente aveva condiviso la composizione con altri autori. Album da primo posto in classifica, Desire ebbe il merito di mettere d'accordo, una volta per tutte, critica e pubblico come raramente succederà da qui in avanti nella produzione in studio del Nostro. Oggi se non è tenuto nella stessa considerazione di Blood on the Tracks, che lo aveva preceduto solo di 12 mesi, poco ci manca. Non è certo un caso se questo disco è presente in molte classifiche dei migliori dischi di sempre, degli anni settanta e naturalmente in quella specifica del suo autore, dove occupa una posizione di assoluta rilevanza. È tra i cinque dischi che hanno venduto di più; in Canada, Regno Unito e Stati Uniti ha raggiunto la cifra di due milioni e duecentomila copie. 

Desire è il disco dei nomi, degli arrangiamenti improvvisati, di un flusso creativo caotico e consapevole. Le canzoni sembrano composte e assemblate a nuclei da tre-quattro. Ed è un prodotto che andrà bene sia in termini di vendite, sia sotto il profilo della critica. Senza dubbio rientra ancora oggi tra le cose più riuscite, apprezzate e amate sia dai dylaniani che da un pubblico più generalista. Non mancano ovviamente le critiche, una tra tante quella di Lester Bangs, che non ha mai nascosto la sua avversione verso il cantautorato impegnato e non (basti citare il suo pezzo James Taylor deve morire) che in questo caso spunta dalle retrovie per impallinare Dylan, ma soprattutto per muovere critiche verso il co-autore Jacques Levy. Per chi fosse interessato ad approfondire consigliamo la lettura del testo Deliri, desideri e distorsioni, Il flirt di Bob Dylan con il Mafia Chic. Non è un criminale, è solo un incompreso, dove naturalmente il territorio d'analisi e lo spunto critico si basa su uno dei testi più controversi di Dylan, fino a quel momento: Joey, dedicato a Joey Gallo, aka Crazy Joe, killer e mafioso di New York, appartenente alla famiglia Profaci-Colombo. Personalmente trovo piuttosto coerente l'operato di Bob Dylan, che nella sua lunga carriera ha sempre fatto la scelta giusta, schierandosi dal lato sbagliato della legge, con buona parte di tossici deliranti e invasati testimoni di Geova. La lezione appresa dal suo mentore Woody Guthrie che cantava di Pretty Boy Floyd dovrebbe chiarire qual è il giusto punto di osservazione di un menestrello folk. La domanda da porre oggi a Lester Bangs per noi è la seguente: - La canzone popolare deve cantare (e celebrare) Jesse James, Charles Arthur Floyd e Crazy Joe, oppure incensare il Federal Bureau of Investigation?


Spieghiamo meglio. Il mestiere di Dylan è quello di scrivere, suonare e cantare canzoni. Ora, se questo non gli riesce sempre bene, è un discorso e va argomentato. Però molti critici durante gli anni sessanta e settanta avevano il vezzo di stroncare spesso lavori senza argomentare e senza una comprensione testuale e musicale adeguata.

Desire come tutti i maggiori lavori che lo hanno preceduto gode di questo metro di giudizio. Sicuramente è un disco con alcuni evidenti difetti. Non tutto fila liscio sempre, sia a livello musicale che dei contenuti. Eppure leggere oggi certe parole da parte di un decano della critica musicale come Robert Christgau fanno sorridere o tremare i polsi. Il critico qui va oltre il suo territorio di competenza, mettendo in dubbio la buonafede di Dylan, ancora una volta. Eppure smontare un lavoro come Desire oggi suona davvero poco professionale e risibile. Non si tratta di simpatia o di essere estimatori, ma di essere equi. Spesso i critici non lo sono. Questo disco merita quindi una revisione storica e un riposizionamento tra i classici dylaniani. C'è poi un punto che mi preme sollevare. Non si è mai parlato della volontà di Dylan di realizzare un disco perfetto, come suoni, come registrazione e come concept. Se state cercando questo tipo di qualità, avete sbagliato disco e autore. Passate oltre e non ve ne pentirete.

Bob Dylan non è Roger Waters e non è nemmeno Springsteen, Pete Townshend o Brian Wilson. Non stiamo parlando di un musicista maniacale e perfezionista. Semmai è stato un produttore distratto, che non ha valorizzato al meglio il proprio materiale. I casi in oltre 50 anni di attività discografica sono numerosi. Quante volte da qui in poi scarterà brani validi e potenziali hit? Allora il discorso è un altro, mi pare di capire. Però dire che su Desire non vi sia libertà espressiva, intensità, realismo e quella capacità di rendere interessanti personaggi e situazioni bislacche, è un altro paio di maniche. 

In astrologia la carta dell'imperatrice rappresenta Mercurio in Gemelli; per altri, è sottoposta a Venere. Ha una corrispondenza cabalistica con la lettera G, gimel dell'alfabeto ebraico. Potrebbe essere del tutto casuale la scelta di inserire proprio questa carta in un disco dove i temi sono davvero molteplici, se non fosse per il fatto che Dylan nel disco precedente aveva utilizzato il fante di cuori proprio nel titolo di uno dei brani più narrativi come Lily, Rosemary and the Jack of Hearts e se nel disco successivo il brano di apertura, Changing of the Guards non contenesse riferimenti diretti sempre a due carte dei tarocchi, come il re e la regina di spade. Del resto già durante gli anni sessanta aveva citato personaggi ascrivibili al mondo dei tarocchi e delle carte da gioco, come in Gates of Eden e in All Along the Watchtower. Più andrà avanti, dopo Desire, più questi riferimenti al Poema della regina di Saba diventeranno più presenti ed evidenti. Tuttavia Desire può essere considerato il disco che apre a un nuovo ciclo di composizioni, proseguendo sul canovaccio che già era stato mostrato in Planet Waves e soprattutto in Blood on the Tracks. Dylan torna a essere enigmatico e ambiguo, grazie a testi abilmente costruiti per avere più significati e più chiavi possibili di interpretazione.

Disco se possibile latino, dove per la prima volta si sente un sound tipicamente zigano, europeo, e non a caso questo album avrà molto successo oltre che negli Stati Uniti anche in altri Paesi, dimostrando come il linguaggio universale della musica possa colmare e sopperire le barriere linguistiche, in anticipo rispetto alla tendenza della World Music più marcatamente anni ottanta e novanta. Diciassettesimo disco in studio, Desire viene pubblicato il 5 gennaio 1976, diventando uno dei maggiori successi di Bob Dylan di tutti i tempi. Per molti rappresenta assieme al suo predecessore Blood on the tracks il vero ritorno del suo autore e il disco di maggior impatto dai tempi di Blonde on blonde e Highway 61 Revisited.

One More Cup of Coffee (Valley Below)

Durante una vacanza nel sud della Francia Dylan assiste all’annuale pellegrinaggio dei rom a Saintes-Maries-de-la-Mer, nella cui cattedrale sono conservate le spoglie della loro santa protettrice, detta Sara la Nera. Dylan ha dichiarato di avere scritto il brano durante quest’esperienza ma che, pur essendone probabilmente stato influenzato, la canzone (e in particolare l'espressione valley below, la valle sottostante) probabilmente riguarda altri luoghi. Desire unisce quindi il Messico, New York City, il sud della Francia e l'Africa. È un disco itinerante, nomade, zigano.

"Oh zigano, dall'aria triste e appassionata che fai piangere il tuo violino fra le dita. Suona ancora come una dolce serenata mentre pallido, nel silenzio ascolterò questo tango, che in una notte profumata, il mio cuore ad un altro cuore incatenò."

 

Ognuno ha il pubblico che merita - Una nota dolente

Quasi nessuno nel 1976 aveva voglia di fare sconti a Dylan. Motivo per cui un brano “leggero” e divertente come Mozambique, stravagante e accattivante, viene frainteso. Per Paul Williams è uno dei brani di Dylan che possono contare su una musica meravigliosa, inventiva, che dà piacere che tuttavia non riesce a raggiungere l'intensità e l'unità delle altre canzoni perché i testi sono un po' troppo vaghi e distanti mentre per Clinton Heylin si tratterebbe di una canzoncina tirata su dal fondo del barile, orribile, uno dei punti deboli di un disco il cui compito era quello di rilanciare la carriera del suo autore. La melodia ha ricevuto più elogi dei testi, essendo appunto sobria, giocosa e valida, senza contare gli interventi del violino a opera di Scarlet Rivera.

La Band di Desire

Per chi fosse interessato ad approfondire su questo disco consigliamo la lettura del libro On the road with Bob Dylan, uno dei resoconti più brillanti, audaci e appassionati mai scritti sul rock e sulla musica anni settanta. Il suo autore, Larry Sloman, ha vissuto a stretto contatto con la band di supporto di Dylan, che è poi la stessa base su cui venne inciso Desire. Oltre alla già citata Scarlet Rivera, il cui suono del violino contribuisce a rendere Desire unico nel suo canone, per quanto riguarda la produzione in studio di Dylan, merita un elogio la sezione ritmica composta da Rob Stoner al basso e da Howard Wyeth alla batteria. Nel disco si sente poi il bel lavoro ai cori realizzato da Emmylou Harris (futura star del country) Ronee Blakley che si unirà al tour Rolling Thunder Revue, e da Steven Soles. Alle caotiche e disordinate sessions prendono parte anche Eric Clapton, Luther Rix, Vinnie Bell e Dominic Cortese, al mandolino e alla fisarmonica. Resta uno dei gruppi di supporto di Dylan più importanti, non solo per quanto riguarda il lavoro in studio, ma soprattutto perché questo nucleo sarà quello del Rolling Thunder Revue. Sappiamo bene che il loro lavoro fino al 2002, anno di pubblicazione del Bootleg Series V resterà nascosto ai più. Oggi però, alla luce delle ultime pubblicazioni, tra cui lo splendido e completo Bob Dylan – The Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings pubblicato nel 2019, possiamo finalmente ascoltare un Dylan in forma splendida. Non a caso per molti il disco Desire rappresenta la punta dell'iceberg di un performer in stato di grazia.


Dario Twist of Fate


Illustrazione originale di Elena Artese

4 commenti:

  1. Ottimo commento! "Desire" è un album strepitoso, come lo erano Dylan e i suoi più stretti amici e collaboratori della Rolling. Il violino di scarlet Rivera è speciale, soprattutto in "Oh sister", ma, per me, è impossibile fare la hit dell'album, perché contiene brani tutti bellissimi e coinvolgenti. Carla Cinderella

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  2. Desire gran disco, picaresco e girovago, come pezzi per me Joey e Isis su tutti. Però l'apice dylaniano degli anni '70 è Blood on the Tracks, o no?

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  3. Non saprei scegliere tra questi due capolavori di Dylan. più autobiografico e meditativo "Blood on the tracks", più dinamico e intriso dello spirito d'avventura della Rolling "desire", se non che, l'ultima canzone, tutta dedicata a Sara sembra voler riavvolgere il nastro della Rolling per tornare ad una pace coniugale che non tornerà più... due album bellissimi per musica e parole. Carla Cinderella

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  4. Il mio preferito è Blood on the tracks. Mi chiamo non a caso Dario Twist of fate. 😎🎧❤🤩

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