sabato 31 dicembre 2022

Il sodalizio artistico tra Dylan, Harrison, Petty, Orbison & Lynne


Bob Dylan & The Traveling Wilburys Project 

“L’epoca in cui ogni mio concerto era occasione di grandi sommovimenti aveva già subìto una brusca frenata, ormai si era fermata. Troppe volte mi ero dato la zappa sui piedi. Bisogna saper onorare gli impegni, non sprecare il proprio tempo e quello degli altri. Non era sparito dalla scena, ma la strada si era ristretta, si era quasi interrotta e invece avrebbe dovuto essere ben larga. Dentro di me c’era una persona scomparsa che dovevo ritrovare. In natura c’è un rimedio per tutto ed era lì che di solito andavo a cercare il mio. Magari mi ritiravo su una casa galleggiante, sperando di sentire un’antica voce, avanzando lentamente l’imbarcazione tirava a riva su una spiaggia riparata, di notte, in mezzo alla natura, popolata da alci, orsi e cervi tutto attorno a me. Non molto distante avvertivo la presenza di un lupo grigio, quiete sere d’estate ad ascoltare il richiamo della strolaga. Mi sentivo finito, un rottame vuoto, consumato. Dovunque io sia, sono un trovatore degli anni settanta, un relitto del folk-rock, un fabbro di parole dei tempi andati, il falso capo di stato di una nazione che nessuno conosce. Finito nel pozzo senza fondo dell’oblio culturale.” (Bob Dylan, Chronicles Volume One)

C’è un momento in cui bisogna essere obiettivi: i colorati e frivoli anni ottanta raramente sono stati un periodo felice per Bob Dylan. Specialmente a partire dal 1985 il cantautore americano è apparso un po’ opaco e fuori forma, rispetto ai suoi elevatissimi standard. Tuttavia dopo la pubblicazione di Down in the Groove, album che merita ugualmente una rivalutazione critica e una contestualizzazione differente, Dylan torna a produrre dischi capaci di intercettare e di coinvolgere nuovamente il suo network, facendo addirittura gridare al miracolo e al capolavoro. Si tratta di Oh, Mercy, prodotto da Daniel Lanois e pubblicato il 18 settembre 1989. Che cosa aveva riportato il cantautore sulla retta via dell’ispirazione come non avveniva da tempo?

Le risposte possono essere molte. Formalmente Dylan apre quello che in seguito sarà chiamato NET, Never Ending Tour il 7 giugno 1988. Appena un anno prima si era unito ai Grateful Dead per un breve tour, di cui possiamo ascoltare il live ufficiale Dylan & The Dead, pubblicato a febbraio del 1989, mentre facendo un ulteriore passo indietro si torna al 1986, anno del True Confessions Tour con Tom Petty and The Heartbreakers. L’esperienza dal vivo con The Heartbreakers come backing band si concluderà l’anno seguente con il Temples in Flames Tour. Tra un tour e l’altro Dylan diede alle stampe Knocked Out Loaded e il già citato Down on the Groove. Knocked Out Loaded segue per certi versi il più meritevole Empire Burlesque, album del 1985 che vede tra i musicisti impiegati alcuni elementi degli Heartbreakers come Howie Epstein, Mike Campbell e Benmont Tench. Il tastierista di Tom Petty aveva iniziato la collaborazione con Dylan già con Shot of Love del 1981 e in seguito prenderà parte anche alle sessions di Rough and Rowdy Ways, 39esimo lavoro in studio pubblicato lo scorso 2020. Anche Mike Campbell prenderà parte a un disco di Bob Dylan come unico elemento degli Heartbreakers. Sono sue le chitarre che caratterizzeranno un disco solido e coeso come Together Through Life, 33eesima prova in studio del cantautore americano.

Avevo fatto diciotto mesi di tournée con Tom Petty and The Heartbreakers, che sarebbe stata l’ultima. Mi sentivo tagliato fuori da ogni forma di ispirazione. Tom stava dando il meglio di sé e io stavo dando il peggio. Non riuscivo a superare gli ostacoli, tutto era pezzi. Il mio momento era passato. Adesso con Petty si trattava di arrivare alla fine del mese, dopo di che avrei detto basta. Ero ormai sulla china discendente e se non ci stavo attento rischiavo di ritrovarmi a gridare al muro, pieno di furia e con la bava alla bocca. Lo specchio aveva fatto un giro su stesso grazie al quale vedevo nel mio futuro: un vecchio attore che rovista nei bidoni della spazzatura fuori dal teatro dove un tempo aveva trionfato. Avevo scritto e inciso tantissime canzoni, ma non ne suonavo molte. Mantenevo le apparenze, ma per quanto mi sforzassi, i motori non si mettevano in moto. Benmont Tench, uno dei musicisti della band di Tom Petty, mi chiedeva sempre di inserire diversi pezzi nello spettacolo, ma io tiravo fuori qualche povera scusa per non provarle. Dopo essermi affidato così tanto all’istinto, questo si era trasformato in un avvoltoio che mi stava lentamente dissanguando. Anche la spontaneità era diventata una capra pazza. I miei covoni non erano stati legati tanto bene al suolo e io cominciavo ad avere paura del vento. La tournée era divisa in parti e durante uno dei tempi morti Elliott Roberts mi aveva trovato dei concerti con i Grateful Dead. (Bob Dylan, Chronicles Volume One)

La collaborazione tra Dylan e Tom Petty (band inclusa) caratterizza la seconda parte degli anni ottanta. Insieme i due scrivono Jammin’ Me e Got My Mind Made Up che finiranno rispettivamente su Let Me Up (I’ve Had Enough) e su Knocked Out Loaded. Ora senza nulla togliere ai brani scritti in collaborazione, è indubbio che il meglio di questo featuring venne realizzato attraverso le esibizioni live del 1986 e del 1987. Per nostra fortuna però il caso vorrà che le strade di Bob Dylan e di Tom Petty si incroceranno ancora, anche se mancherà l’apporto degli Heartbreakers.

Dario Greco

- FINE PRIMA PARTE -


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