sabato 31 dicembre 2022

Il sodalizio artistico tra Dylan, Harrison, Petty, Orbison & Lynne


Bob Dylan & The Traveling Wilburys Project 

“L’epoca in cui ogni mio concerto era occasione di grandi sommovimenti aveva già subìto una brusca frenata, ormai si era fermata. Troppe volte mi ero dato la zappa sui piedi. Bisogna saper onorare gli impegni, non sprecare il proprio tempo e quello degli altri. Non era sparito dalla scena, ma la strada si era ristretta, si era quasi interrotta e invece avrebbe dovuto essere ben larga. Dentro di me c’era una persona scomparsa che dovevo ritrovare. In natura c’è un rimedio per tutto ed era lì che di solito andavo a cercare il mio. Magari mi ritiravo su una casa galleggiante, sperando di sentire un’antica voce, avanzando lentamente l’imbarcazione tirava a riva su una spiaggia riparata, di notte, in mezzo alla natura, popolata da alci, orsi e cervi tutto attorno a me. Non molto distante avvertivo la presenza di un lupo grigio, quiete sere d’estate ad ascoltare il richiamo della strolaga. Mi sentivo finito, un rottame vuoto, consumato. Dovunque io sia, sono un trovatore degli anni settanta, un relitto del folk-rock, un fabbro di parole dei tempi andati, il falso capo di stato di una nazione che nessuno conosce. Finito nel pozzo senza fondo dell’oblio culturale.” (Bob Dylan, Chronicles Volume One)

C’è un momento in cui bisogna essere obiettivi: i colorati e frivoli anni ottanta raramente sono stati un periodo felice per Bob Dylan. Specialmente a partire dal 1985 il cantautore americano è apparso un po’ opaco e fuori forma, rispetto ai suoi elevatissimi standard. Tuttavia dopo la pubblicazione di Down in the Groove, album che merita ugualmente una rivalutazione critica e una contestualizzazione differente, Dylan torna a produrre dischi capaci di intercettare e di coinvolgere nuovamente il suo network, facendo addirittura gridare al miracolo e al capolavoro. Si tratta di Oh, Mercy, prodotto da Daniel Lanois e pubblicato il 18 settembre 1989. Che cosa aveva riportato il cantautore sulla retta via dell’ispirazione come non avveniva da tempo?

Le risposte possono essere molte. Formalmente Dylan apre quello che in seguito sarà chiamato NET, Never Ending Tour il 7 giugno 1988. Appena un anno prima si era unito ai Grateful Dead per un breve tour, di cui possiamo ascoltare il live ufficiale Dylan & The Dead, pubblicato a febbraio del 1989, mentre facendo un ulteriore passo indietro si torna al 1986, anno del True Confessions Tour con Tom Petty and The Heartbreakers. L’esperienza dal vivo con The Heartbreakers come backing band si concluderà l’anno seguente con il Temples in Flames Tour. Tra un tour e l’altro Dylan diede alle stampe Knocked Out Loaded e il già citato Down on the Groove. Knocked Out Loaded segue per certi versi il più meritevole Empire Burlesque, album del 1985 che vede tra i musicisti impiegati alcuni elementi degli Heartbreakers come Howie Epstein, Mike Campbell e Benmont Tench. Il tastierista di Tom Petty aveva iniziato la collaborazione con Dylan già con Shot of Love del 1981 e in seguito prenderà parte anche alle sessions di Rough and Rowdy Ways, 39esimo lavoro in studio pubblicato lo scorso 2020. Anche Mike Campbell prenderà parte a un disco di Bob Dylan come unico elemento degli Heartbreakers. Sono sue le chitarre che caratterizzeranno un disco solido e coeso come Together Through Life, 33eesima prova in studio del cantautore americano.

Avevo fatto diciotto mesi di tournée con Tom Petty and The Heartbreakers, che sarebbe stata l’ultima. Mi sentivo tagliato fuori da ogni forma di ispirazione. Tom stava dando il meglio di sé e io stavo dando il peggio. Non riuscivo a superare gli ostacoli, tutto era pezzi. Il mio momento era passato. Adesso con Petty si trattava di arrivare alla fine del mese, dopo di che avrei detto basta. Ero ormai sulla china discendente e se non ci stavo attento rischiavo di ritrovarmi a gridare al muro, pieno di furia e con la bava alla bocca. Lo specchio aveva fatto un giro su stesso grazie al quale vedevo nel mio futuro: un vecchio attore che rovista nei bidoni della spazzatura fuori dal teatro dove un tempo aveva trionfato. Avevo scritto e inciso tantissime canzoni, ma non ne suonavo molte. Mantenevo le apparenze, ma per quanto mi sforzassi, i motori non si mettevano in moto. Benmont Tench, uno dei musicisti della band di Tom Petty, mi chiedeva sempre di inserire diversi pezzi nello spettacolo, ma io tiravo fuori qualche povera scusa per non provarle. Dopo essermi affidato così tanto all’istinto, questo si era trasformato in un avvoltoio che mi stava lentamente dissanguando. Anche la spontaneità era diventata una capra pazza. I miei covoni non erano stati legati tanto bene al suolo e io cominciavo ad avere paura del vento. La tournée era divisa in parti e durante uno dei tempi morti Elliott Roberts mi aveva trovato dei concerti con i Grateful Dead. (Bob Dylan, Chronicles Volume One)

La collaborazione tra Dylan e Tom Petty (band inclusa) caratterizza la seconda parte degli anni ottanta. Insieme i due scrivono Jammin’ Me e Got My Mind Made Up che finiranno rispettivamente su Let Me Up (I’ve Had Enough) e su Knocked Out Loaded. Ora senza nulla togliere ai brani scritti in collaborazione, è indubbio che il meglio di questo featuring venne realizzato attraverso le esibizioni live del 1986 e del 1987. Per nostra fortuna però il caso vorrà che le strade di Bob Dylan e di Tom Petty si incroceranno ancora, anche se mancherà l’apporto degli Heartbreakers.

Dario Greco

- FINE PRIMA PARTE -


venerdì 30 dicembre 2022

John Wesley Harding: il rock biblico secondo Bob Dylan

 

Mi ritiro dalle scene per produrre rock biblico

Durante il dicembre 1967 Bob Dylan diede alle stampe il suo ottavo lavoro discografico, John Wesley Harding

Prodotto da Bob Johnston e registrato nuovamente a Nashville, con un ristretto gruppo di musicisti, dove ritroviamo Charlie McCoy al basso, Kenneth Buttrey alla batteria e la pedal steel guitar di Pete Drake in due brani. Il resto lo fa Dylan che suona chitarra, piano e armonica. E' un lavoro diverso rispetto ai tre dischi elettrici che l'hanno preceduto. Anche a livello testuale e tematico vi sono differenze sostanziali. Troviamo in questo contesto dodici brani, sei per facciata, dove la traccia più lunga, The Ballad of Frankie Lee and Judas Priest non va oltre i 5 minuti e 35 secondi.

Da quando il suo autore ha iniziato a produrre dischi autografi, non era mai accaduto che desse alle stampe un numero cospicuo di canzoni tanto brevi. In un paio di occasioni scendiamo sotto la soglia dei due minuti e mezzo, segno che qualcosa era cambiato nella scrittura. Del resto questo lavoro arriva dopo l'incidente motociclistico e dopo che Blonde on Blonde aveva concluso la prima parte della sua carriera musicale. La cosa incredibile sta nel fatto che Dylan non torna indietro alle incisioni che lo avevano mostrato al pubblico. Il disco è una virata sul country e contribuisce a gettare le basi per il concetto del back to the roots, di cui oggi si continua a parlare. Nonostante i suoi testi siano stati altre volte influenzati da riferimenti biblici, in particolare The Times They Are a-Changin' del 1964, in questa occasione possiamo davvero parlare del primo disco di rock biblico della storia. Anche stavolta il tempo viene in nostro soccorso, in un contesto di analisi retrospettiva, ma dobbiamo tentare di immedesimarci su cosa volesse dire dare alle stampe alle soglie del 1968 un disco così "conservatore" e nel contempo capace di andare oltre i fronzoli e la psichedelia imperante di quel momento particolare.

Questo è un disco che è rimasto, mostrando il suo valore nel tempo e per il tempo. Non si tratta di limitarsi a citare un classico come All Along the Watchtower, che certamente merita un posto privilegiato non solo per ciò che riguarda il suo autore, ma per la storia della canzone rock. È un disco seminale e importante per il suo autore in primis e poi per l’intero trend della canzone d'autore. Da questo momento in poi prenderà piede e si delineerà un nuovo stile di composizione dei brani, il quale dimostra come Dylan tornando sulle scene, sia capace di dettare una linea da seguire. Certo, lo farà altre volte, ma qui ha ancora la forza e la tenacia della giovinezza. I dodici brani che compongono l’album, tra citazioni bibliche e modi di dire del linguaggio parlato, sono tutti esemplari e daranno idee a una schiera di artisti e musicisti, di diverso genere, che andranno ad attingere a questo tipo di canzoni. Da Jimi Hendrix a Patti Smith, da The Black Keys ai Judas Priest, che prenderanno il loro nome proprio dal brano di Dylan, gli esempi ancora una volta si sprecano. In pratica siamo di fronte a un lavoro coeso, ispirato e musicalmente brillante nella sua dichiarata semplicità. Non è un caso se questo disco è considerato un album di svolta. L’artista che torna a pubblicare dopo un anno e mezzo è molto diverso. Questi brani sono sogni che si rivelano, in qualche luogo del passato, per il loro minimalismo centrato, da autentico cecchino della canzone. Ora, se è vero che i sogni sono dal principio un elemento importante per la scrittura dylaniana, è evidente come qui vi sia una predominante indeterminatezza piena di simboli e di significato. Le canzoni hanno la capacità di aprirsi in molte direzioni e di essere letti secondo differenti prospettive interpretative. Un lavoro innovativo e sorprendente, specialmente se messo in relazione alla semplicità degli arrangiamenti eseguiti con una strumentazione così scarna e al contempo particolare. C’è qui una vera rinascita, che arriva attingendo in modo consapevole dalle sorgenti del materiale originale.

Si gioca di sottrazione, ma questo non significa produrre un lavoro lontano anni luce dalla trilogia Bringing /Highway 61/Blonde, semmai si parla di dare un degno seguito a una fase caratterizzata da capolavori di livello eccezionale. Le preferenze, escludendo i due brani chiave, All Along the Watchtower, vero fulcro del disco e la conclusiva I’ll Be Your Baby Tonight, che già anticipa nei toni Nashville Skyline, sono del tutto personali e soggettive. La title track è senza dubbio una canzone semplice e ispirata. Si passa così a una sequenza come As I Went Out One Morning, I Dreamed I Saw St. Agustine, Drifter’s Escape, Dear Landlord e Down Along the Cove, che mostrano un Dylan capace come interprete e come scrittore. La voce funzionale e duttile rispetto al valore dei brani fa un tutt’uno con la sezione ritmica che accompagna questo disco in modo adeguato. Come se non bastasse si tratta di uno degli album meglio invecchiati, a livello musicale, viste le scelte minimali e bucoliche. Siamo infatti dalle parti dell’alt country contemporaneo. Oggi possiamo ascoltare le belle incisioni alternative presenti sul volume antologico The Bootleg Series 15 – Travelin’ Thru per farci un quadro più esaustivo e per riprendere in mano questo grande affresco minimale che è John Wesley Harding.  

Dedicare un disco al Vecchio Testamento potrebbe forse sembrare una cosa eccessiva, oggi. Eppure in un decennio turbolento e un po' folle come gli anni sessanta, sembra quasi un'idea innocente e una metafora di protesta, come quella dei molti personaggi che affollano queste canzoni e le sue liriche. Dylan era ancora al top e la sua ispirazione parte proprio dalla Bibbia fino a raccontare di fuorilegge, di amori e follia, tutti temi cari all’autore. Sembra una sorta di profeta sceso dalla montagna per narrare le sue dure verità. Un comportamento che oggi potrebbe sembrare eccentrico ed esagerato, ma che sembra essere in linea con il personaggio di quel momento. Una ricerca di spiritualità che avrebbe accompagnato il suo autore nel corso della sua lunga e ricca carriera. Per fortuna in questa occasione molte critiche furono lungimiranti e obiettive, indicando questo come uno dei suoi dischi migliori, seppur diverso, all'interno di una discografia che fino a quel momento non aveva mostrato ancora alcun segno di cedimento, a livello di ispirazione e di furore poetico. Citiamo, tra le altre cose, "l'omaggio" al poeta Wystan Hugh Auden di As I Walked Out One Evening. Dylan nella sua As I Went Out One Morning canta di un uomo che offre una mano a una donna in catene, ma si rende conto che lei vuole più di quello che offre e che intendeva fargli del male. Appare un personaggio identificato come Tom Paine, il quale "le ordina di arrendersi" e si scusa con il narratore per le azioni della donna.

Gli scivoloni sarebbero arrivati a breve, ma durante quell'ultima settimana del 1967 Dylan e la Columbia poterono ancora una volta usufruire di una critica attenta, obiettiva e capace. Le cose sarebbero repentinamente mutato, ma non è questo il momento. La Bibbia è la stoffa con cui sono fatti i suoi testi migliori, come questi. Come ci ricorda Northrop Frye, si tratta del Grande Codice della letteratura occidentale. Bob Dylan che conosceva queste sfumature già nel corso della sua giovinezza, continuerà a farne tesoro lungo una ricca carriera costellata da successi, quasi tutti meritati, a nostro parere.

Non il capolavoro definitivo in cui il pubblico sperava, ma un tassello fondamentale per quello che sarebbe venuto nei decenni successivi. Fondamentale per la carriera del suo autore. Dico bene?

Dario Twist of Fate

Bob Dylan: il 2022 in "pillole"


Il 2022 di Bob Dylan in "pillole"

- Il 3 marzo Bob Dylan riparte in tour da Phoenix, Arizona, dopo due anni di assenza di performance dal vivo, a causa della pandemia (Covid-19).

- Il 19 marzo "festeggia" 60 anni del suo debutto discografico con Columbia Records. 

- (Aprile) T Bone Burnett produce una nuova versione di Blowin' in the Wind, distribuita in esclusiva sul nuovo format chiamato Iconic Original. Bob Dylan per l'occasione canta una nuova versione del brano.

- Il 10 maggio viene inaugurato il Bob Dylan Center di Tulsa, Oklahoma.

- (Maggio) Viene rilasciato il remake del video di Subterranean Homesick Blues a cui partecipano artisti di vario genere e ambito, tra cui musicisti e registi cinematografici.

- (Novembre) Bob Dylan pubblica il suo quarto libro The Philosophy of Modern Song. Si tratta di un volume illustrato che è composto da 66 brevi saggi dedicati alle sue canzoni preferite.   

- (Dicembre) Dylan rilascia una lunga e dettagliata intervista pubblicata sul Wall Street Journal.

- (Dicembre) Al Maxxi di Roma viene inaugurata la prima mostra monografica europea dedicata alla produzione di arte visiva di Bob Dylan. 

- (Gennaio 2023) Viene pubblicato il 17esimo volume di The Bootleg Series, con il titolo di Fragments, incentrato sulle sessioni e sulle incisioni live del disco capolavoro del 1997, Time Out of Mind, prodotto da Daniel Lanois con la partecipazione dello stesso Dylan. Il volume verrà pubblicato in diversi formati, tra cui uno deluxe composto da cinque dischi e uno "standard" che ne contempla invece due. Nella raccolta troveremo un nuovo remix dell'album che vinse nel 1998 tre Grammy Awards.


mercoledì 28 dicembre 2022

Down in the Groove (1988)


Ugliest Bob in the World

Scrive Joel Selvin, critico musicale del San Francisco Chronicle: “Bob Dylan ha fatto parecchi cattivi dischi. Ora i cattivi dischi sono il frutto del tentativo di realizzare buoni album. Bob Seger e Tom Petty probabilmente non hanno mai fatto dischi cattivi. Ma non hanno realizzato neanche un grandissimo album nella loro longeva attività discografica. Hanno prodotto invece buoni, ottimi dischi. Sul fatto che Knocked Out Loaded possa essere considerato il suo peggior album, ci sarebbe parecchio da discutere. Possiamo però pacificamente riconoscere che si tratti di uno dei sui peggiori 10 lavori in studio. Magari non è il peggiore in assoluto, ma di certo sta a fondo classifica.”

Ho scelto di iniziare questo commento retrospettivo dedicato a Down in the Groove, facendo un piccolo passo indietro. Premetto che questo non sarà un pezzo semplice da scrivere e di conseguenza neppure da leggere e da fruire, specialmente da dispositivo mobile. Il punto è che trovo davvero troppo semplice e riduttivo bollare questi dischi (che sono giustamente considerati minori) come se fossero cose di poco conto, nella carriera di un artista importante, unico e geniale come Bob Dylan. Specialmente perché questo specifico disco, pubblicato il 30 maggio 1988, segna in un certo senso la conclusione degli “anni ottanta” per il suo autore. Anni ottanta, tra virgolette, perché a questa definizione attribuiamo la fase più oscura, sottostimata e gestita male, dal cantautore statunitense. Eppure il 1988 per chi conoscerà un minimo la vicenda umana e la carriera professionale di Dylan, mostra una svolta fondamentale, in termini retrospettivi. Il motivo è piuttosto evidente. Appena 8 giorni dopo la pubblicazione di Down in the Groove, (disco di cui parlerò più avanti) il suo autore decide di partire per un nuovo tour. 

E il tour è quello che oggi conosciamo come NET: Never Ending Tour.

Secondo alcune tesi, questa tournée durerà 135 date, ma per molti non è ancora terminata. A causa del Covid-19, Dylan è stato fermo ai box 2 anni, ma appena ha avuto la possibilità, è tornato in giro, con un tour mondiale che avrà termine (si ipotizza) nel 2024. Scaramanzia e cabala a parte, da quel 1988, Dylan è tornato a interpretare il ruolo di assoluto protagonista nei live acts. Piaccia o meno, questa è la data a cui fare riferimento. Questo è il disco che segna una nuova tappa, fondamentale. Sotto un certo punto di vista la carriera dell’artista deve molto a quello che comprensibilmente è considerato il suo lavoro peggiore. Non sono qui per interpretare l’avvocato del diavolo, dato che nemmeno mi piace questo album, ma gli andrebbe riconosciuta una qualità intrinseca, che forse nemmeno i lavori più incensati della critica possiedono. Rolling Stone, così tanto per cambiare, nel 2007 attribuisce a Down in the Groove la scomoda etichetta di peggior disco di Dylan. Come afferma Alan Light, critico newyorkese, se sei un vero appassionato o uno studioso della carriera di Dylan, questo è il lavoro più ingannevole, ragione per cui è comprensibile trovare i brutti dischi tanto interessanti. Perché ci raccontano qualcosa in più della storia. E dopo aver esaminato quello che viene prima, dopo e durante (in questo caso) anche un album difettoso è ancora importante.

Diciamo che con Dylan è possibile frammentare e unire il corpus discografico, ma resta il fatto che è il totale, la somma delle differenti parti, che diventa interessante rispetto alla specificità dei singoli dischi. Abbiamo già raccontato di quel magnifico e proverbiale colpo di coda che è stato Oh, Mercy, disco prodotto e firmato da Daniel Lanois nel 1989, ma troviamo che in questa occasione sia più interessante e divertente vedere in che modo i cattivi dischi sono cattivi, che cosa hanno rappresentato all’epoca, come vanno giudicati e catalogati adesso. Oltretutto per chi non lo conoscesse, stiamo parlando di un disco che dura appena 30-32 minuti. Che Dylan negli anni ottanta fosse artisticamente apatico è questione di opinioni, ma il fatto che avesse rallentato nel ritmo compositivo è invece un dato di fatto.

Down in the Groove certifica questo aspetto, visto che troviamo nella raccolta di brani solo quattro canzoni autografe, di cui due sono scritte a quattro mani con Robert Hunter. Il paroliere dei Grateful Dead tornerà più avanti a comporre assieme a Dylan Together Through Life, album del 2009. Non solo: uno dei quattro brani autografi è un outtake risalente a Infidels, disco del 1983. Si tratta di Death is not the end, brano che verrà riproposto più avanti da Nick Cave, il quale darà alla canzone una seconda vita e una certa dignità artistica che forse nella versione originale non possiede.

Forse non bisognerebbe limitarsi ad analizzare unicamente i brani autografi, dove comunque troviamo "Silvio", canzone che mette in evidenza un Dylan performer divertito e divertente, che ribadisce una delle sue qualità a molti forse un po' nascosta. Quella rara capacità di essere autore divertente e interprete spigliato e agile. Già l’agilità considerata unicamente come qualità e virtù, aspetto secondario e poco valutato per un autore che in passato aveva composto brani epici e monumentali come Desolation Row, Lily, Rosemary and the Jack of Hearts o Sad Eyed Lady of the Lowlands. Ho scelto proprio queste tre canzoni, tra le tante, perché sommando la durata si arriva a trentuno minuti. La stessa durata di questo trascurabile Down in the Groove. Album che contiene appunto quattro brani autografi, tra cui la terribile Ugliest Girl in the World, senza dubbio la peggiore canzone scritta dal cantautore.

Scrive Calvino nelle sue Lezioni americane: "La rapidità dello stile e del pensiero vuol dire soprattutto agilità, mobilità, disinvoltura, tutte qualità che si accordano con una scrittura pronta alle divagazioni, a saltare da un argomento ad un altro, a perdere il filo cento volte e ritrovarlo dopo cento giravolte." Dylan, autore di canzoni conosce bene il significato di rapidità e disinvoltura. Sono queste le ragioni per cui la sua penna è sempre occupata, il suo piede sempre svelto, parafrasando Forever Young. "Silvio" ci mostra che il Dylan autore e quello performer godono di buona salute, in questo 1988. Ed è pur vero come il disco mostri un cantautore in evidente difficoltà compositiva. Era dal lontano 1970, anno in cui pubblica Self Portrait, che Dylan non pubblica un disco infarcito di cover, brani tradizionali o composizioni di altri autori. Eppure qualcosa si smuove. Perché sotto il nome di Traveling Wilburys, pubblica assieme a George Harrison, Tom Petty, Roy Orbison e Jeff Lynne, uno dei suoi più grandi successi commerciali del periodo. Un altro colpo di coda, nel quale spiccano brani come Tweeter and the Monkey Man, Congratulations e Dirty World. Così quella che potrebbe risultare l’ennesima parentesi, di fatto getterà le basi per un nuovo, ennesimo ritorno, in grande stile. Archiviati questi goffi tentativi di collaborazioni con Grateful Dead, Tom Petty, Stones e addirittura con membri dei Sex Pistols, (nel brano Sally Sue Brown, figura nei crediti il chitarrista Steve Jones) Dylan torna ancora una volta a casa.

Attingendo dalla migliore vena compositiva, darà alle stampe un disco maturo, triste e concentrato come Oh, Mercy. Perché la festa degli anni ottanta volge al termine. Inizia una nuova decade dove il Political World avrà ancora bisogno dei versi di Bob Dylan. Come diceva (più o meno) Franco Battiato nella canzone: Mister Tamburino, non ho voglia di scherzare, rimettiamoci la maglia, i muri stanno per crollare!


Dario Greco



martedì 27 dicembre 2022

Nashville Skyline (1969)

Nashville Skyline (1969)

 

Greetings from Nashville, Tennessee!

Nella sua lunga produzione discografica, Bob Dylan ha prodotto 39 album in studio, molti dei quali non sono certo dei capolavori. Nashville Skyline non rientra tra questi, eppure è uno dei suoi lavori più divertenti, leggeri e frizzanti. La produzione vira in modo evidente verso il country, quel tipo di musica che oggi viene giustamente chiamata Americana. È un lavoro che ricevette una buonissima accoglienza da parte del pubblico, arrivando al primo posto nel Regno Unito e al terzo in Usa. Siamo certi che forse nel corso del tempo, sia stato amato e apprezzato anche in Italia, visto che è citato da autori come De Gregori e Baglioni e se pochi brani furono considerati tra le sue composizioni più memorabili, bisogna considerare il successo da classifica ottenuto dal singolo Lay Lady Lay. Questo brano era stato scritto in origini per la colonna sonora del film Midnight Cowboy con Dustin Hoffman e Jon Voight. Tuttavia la canzone venne scartata e gli fu preferita invece Everybody's Talkin' di Fred Neil, interpretata da Harry Nilsson, che ebbe un successo straordinario. Per la prima volta Dylan incide un brano strumentale, The Nashville Rag, stesso discorso sul fronte dei duetti: il disco si apre con la riproposizione a due voci di un suo classico contenuto nel secondo disco, Girl from the North Country. Il duetto con Johnny Cash è memorabile e per lungo tempo resteranno inedite le altre tracce eseguite assieme, oggi finalmente raccolte nel Bootleg Series Vol. 15 Travelin' ThruÈ interessante notare come l'album sembri continuare laddove il precedente si era concluso. 

I'll Be Your Baby Tonight chiudeva il precedente John Wesley Harding, mostrando la via per la nuova direzione musicale che l'autore avrebbe percorso con il suo lavoro successivo, Nashville Skyline appunto. Una cosa che balza subito all'occhio e all'orecchio di questo nono album, rilasciato il 9 aprile del 1969, le cui sessioni guidate dal produttore Bob Johnston si tennero proprio nella capitale dello Stato del Tennessee tra il 12 e il 21 febbraio dello stesso anno, è la durata. Disco snello e agile, non solo non arriva a trenta minuti, come durata complessiva, ma fatto più unico che raro, non contempla brani troppo strutturati nei testi e nella durata, appunto. Si pensi che la traccia più lunga, non va oltre i tre minuti e quarantatré secondi, mentre quella più breve, Country Pie, dura appena un minuto e trentanove. Pensiamo che ciò avviene molto prima rispetto all'urgenza del punk-rock (genere che non c'entra nulla con questo disco) e che risulta insolita, visto che Dylan ha pubblicato brani celebri e importanti che arrivano anche a dieci minuti di durata.

Tra gli episodi più significativi bisogna citare oltre alla prima traccia, eseguita in duetto con l'amico e collega Johnny Cash, almeno altre quattro tracce: I Therew It All Away, Lay Lady Lay, il pezzo che è rimasto di più del disco, Tell Me That It Isn't True, con un arrangiamento solido e brillante, scelta piuttosto particolare per gli standard dylaniani del periodo e la chiusura, affidata alla stupenda Tonight I'll Be Staying Here With You, brano che avrà una seconda vita durante il tour della Rolling Thunder Revue nel 1975.

Nashville Skyline ha il difetto di essere un album allegro e brillante, per certi versi molto erotico e sensuale. Dotato di un timbro vocale differente, che può spiazzare al primo ascolto, visto che Dylan aveva dichiarato di aver smesso di fumare in quel periodo, secondo Marshall Chapman è un disco sexy, dove è la semplicità della musica a rendere tutto così potente. Sembra che Dylan stia cercando di semplificare mantenendo un basso profilo da signorotto di campagna, tornando alla terra, tagliando la legna e seguendo l'esempio di Walden di Henry David Thoreau e delle Foglie d'erba di Walt Whitman.

Eppure l'uomo che registra Nashville Skyline si avvale di alcuni musicisti locali che rispondono ai nomi di Norman Blake, Kenneth Buttrey, Charlie Daniels, Bob Wilson, Charlie McCoy, Pete Drake e Carl Perkins. Per chi conosce la musica in modo più approfondito, qui verrebbe da esclamare, giustamente: - Alla faccia del disco minore! 

Subito dopo la pubblicazione di Nashville Skyline gli studi di registrazione e i musicisti utilizzati da Dylan diventeranno molto gettonati e richiestissimi. E probabilmente senza questo album, giudicato a torto o a ragione un disco minore, non ci sarebbe stato Harvest di Neil Young, o meglio, non sarebbe stato quel grande successo di critica e pubblico che il disco ha ottenuto. Non ci sembra affatto una questione marginale, a ben vedere.  

Dario Greco

venerdì 23 dicembre 2022

Gli ottant'anni di Mr. Bob Dylan

Ci sono coloro i quali adorano la solitudine, io non sono uno di loro, in quest'era di vetroresina sto cercando una gemma. La sfera di cristallo lì sul muro non mi ha ancora mostrato nulla, ho pagato il prezzo della solitudine ma finalmente non ho più debiti. (Bob Dylan)

Tre mesi fa, senza rendermi conto mi imbarcavo in questa retrospettiva critica dedicata alla produzione in studio di Bob Dylan. Trentanove album, oltre 50 anni di musica, attraversando epoche, stili e generi differenti. È stata un'impresa non da poco. In effetti è stato utile in certi frangenti distaccarsi, svuotare la mente e fare tabula rasa rispetto ad alcuni preconcetti che in oltre 20 anni di ascolto si erano accumulati. Il risultato è la riscoperta di un artista che ha influenzato almeno un paio di generazioni di musicisti, ma che raramente è riuscito a entrare nei cuori e nelle menti del suo pubblico. Una storia professionale, dove i bassi superano abbondantemente gli alti, ma del resto quando produci, scrivi e registri musica per oltre 50 anni: il rischio c'è, eccome. Eppure ci sono lavori (meno riusciti) a cui mi sono molto affezionato, in questa ricognizione, all'interno di un percorso analitico necessariamente a ritroso.

Ho ritrovato canzoni, suoni, temi che avevo messo da parte. Dimenticato, forse mai esplorato e conosciuto in maniera adeguata. Ora ho terminato questo ciclo e posso andare avanti, oltre Bob Dylan. Ammesso che oltre Dylan, Van Morrison, Edward Hopper, Tom Waits, Jack Kerouac, Paul Auster, Saul Bellow, Martin Scorsese, Henry Miller, Franz Kafka, The Band e Neil Young, vi sia davvero qualcosa di valido da scoprire, conoscere e analizzare. Ho qualche dubbio, ma resto positivo e fiducioso. Qualcosa, prima o poi, capace di attirare la mia attenzione salterà fuori. 

Buona lettura, buona vita e buon viaggio, se vi va!

Link di lettura: https://bobdylanthestudioalbumsreview.blogspot.com/

"Così canta la tua glorificazione del progresso e della macchina del giudizio, la verità nuda è ancora proibita dovunque possa essere vista. La Signora Fortuna, che risplende su di me, ti dirà dove sono. Odio me stesso per averti amato, ma sopravvivrò." (Bob Dylan)

Scritto durante la primavera 2021


- SITUAZIONISMO DYLANIANO -

domenica 18 dicembre 2022

Blood On The Tracks, Bob Dylan (1975)



Blood On The Tracks (1975)

Acclamato da critici e fans come uno dei miglior lavori in studio di Bob Dylan, questo album è la prova di coraggio e della definitiva maturità avvenuta del grande songbook dylaniano. Uno dei dischi di riferimento degli anni settanta e forse uno dei migliori album di cantautorato rock di tutti i tempi.

Qualcuno ha scritto:“E' un album costruito sul tema della delusione amorosa, e la sua esecuzione, quasi totalmente chitarra e voce, può, ad un primo ascolto, far pensare ad un lavoro amatoriale. Ed è questo l'esito al quale vuole pervenire Dylan, per il quale le origini sono riferimento perenne, mai rinnegate dalle svolte rock”.

In Blood On The Tracks il tema universale è l’uomo: alla ricerca di se stesso, di una donna, di un desiderio e con una malinconia da scacciare lontano. Forse in Africa, forse nella provincia americana, sempre “sulla strada, diretto verso un altro incrocio”...

Ispirato dal maestro di pittura Norman Raeben, Dylan ritrae un affresco di rara potenza e suggestione lirica. Un lavoro capace di descrivere sentimenti universali quali redenzione, destino ineluttabile, viaggio, e soprattutto il desiderio di rifugio dal dolore. Non ultima la consapevolezza del rimpianto. Il tema della rinuncia, che per dirla alla Francesco Guccini porta sempre con sé una buona dose di malinconia e di tristezza. Tangled Up In Blue, canzone che apre il disco è una dichiarazione d’intenti all'arma bianca. Una storia ricca di dettagli, frame e fughe laterali, come una periferica Interstate 35W del Minnesota.

Blood on the tracks è anche un’ opera in due atti: New York Sessions e Minnesota Sessions.

Uno dei punti di forza del disco è proprio questa riscrittura dei brani. Testo e musica. Sono proprio pezzi come Tangled Up In Blue e Idiot Wind a trarne maggiore giovamento e vigore, formale e strumentale. Brani che possiamo ascoltare anche nelle versioni spoglie presenti su Bootleg Series 1-3.

Partiamo proprio dalle chitarre barocche di Tangled up in blue, con quel avvilupparsi e sciogliersi in preziosi intarsi, capaci di arricchire anche il senso stesso delle parole. Notevole, in tal senso, è la sequenza di note che apre il brano richiamando direttamente Like A Rolling Stone. Non si tratta di una semplice riscrittura agiografica, dato che qui Dylan è letteralmente consapevole di riscrivere la sua storia. Ci racconta con verismo il mestiere di musicista come se questo fosse un sogno effimero, suonando canzoni che vibrano, quanto il blues e il folk che lo hanno ispirato.

Il genio di Dylan risiede nel dualismo caratterizzato da canzoni vigorose eppure semplici. Blood On The Tracks è un disco che si può eseguire per intero accompagnandosi solo con chitarra e armonica. Nonostante questo l'album funziona anche e soprattutto riproposto in chiave elettrica. Pensate alla poderosa resa di brani quali Shelter From The Storm, Idiot Wind e You‘re A Big Girl Now, tratte dal live Hard Rain.

Simple Twist Of Fate, elegante dramma notturno per chitarra, basso e armonica. Essenziali pennate sostenute da morbide volute di basso, su cui si fa strada lentamente il lamento dell'armonica. Siamo di fronte ad uno dei migliori testi dylaniani in assoluto. Con un fatalismo da vivere su un materasso umido di lanugine e lacrime di pioggia.

La frase d’armonica in You‘re A big Girl Now è un lamento a cuore aperto per un dolore impossibile da spiegare. Il critico Paul Williams definisce questo assolo “primitivo” ed efficace nel far da contraltare all'elegante e inusuale tappeto sonoro. Idiot Wind, invettiva dai toni shakespeariani sul tema del tradimento, è il solo brano ad avere una struttura lineare di strofa-ritornello-strofa. Dominata dalla voce grintosa di Dylan, e impreziosita dall’organo di Gregg Inhofer e dalle percussioni di Bill Berg.

Lily, Rosemary and the Jack of Hearts è la sintesi di immagini pittoriche narrate con toni da cinema western e surreali atmosfere di biscazzieri e bettole del secolo scorso, che ricordano da vicino alcuni film diretti da Robert Altman. If You See her Say Hello, si apre coi dolci ricami delle chitarre di Dylan, Odegard e Weber. Una malinconica epopea di separazioni, ricordi e amori lontani, forse anche più di un continente.

Shelter From The Storm, è probabilmente il brano che vale il disco, se non la carriera di un cantautore, forse anche due, in certi casi... Non si tratta banalmente di una narrazione dell'amore per una donna, ma della ricerca di un punto che va sempre oltre ogni apparente méta, e di cui ogni cosa diventa in qualche modo simbolo. E’ la Bellezza l'ideale che il cuore di Dylan insegue nella sua corsa senza fine. Il tormento più terribile è quello di scoprire che, nel tentativo di costruire la propria felicità, si è finito col distruggere con le proprie mani la misteriosa promessa di compimento che si era intravista. E allora non resta che riprendere nuovamente il viaggio. Ancora Paul Williams ci viene in soccorso, per descrivere un brano di rara e unica bellezza e magnificenza.

Blood On The Tracks è il disco più profondo, sofferto, che più di tutti colpisce nell'intimo chi ascolta, e chi sa ascoltare. Qui le emozioni sgorgano dure, improvvise, vive, come da una ferita: quella che Blood On The Tracks lascerà nel vostro cuore. Un lamento sofferto ma mai privo di dignità, sempre fiero, virile. Disco arcigno e a tratti indomabile, a volte invece più placido e rassegnato, come per la conclusiva Buckets of Rain. 

Un album dove la linea del tempo viene volutamente destrutturata secondo la lezione del maestro Raeben e che ci riporta ad atmosfere degne del cinema di Altman, Bresson o Peckinpah.

L’eroe non celebrato di Blood On The Tracks resta il bassista Tony Brown, che per aver partecipato alla realizzazione di questo disco meriterebbe un posto di riguardo nella storia della popular music. Ancora una storia di side-man dimenticati che varrebbe almeno un articolo e un racconto a sé.

La rivista Rolling Stone piazza Blood On The Tracks al sedicesimo posto nella classifica degli album più belli di sempre. E' un disco che ci restituisce il pathos e la "concentrazione" del Dylan anni sessanta. Un lavoro che ascoltato a distanza di quasi 40 anni possiede ancoraun fuoco, un'energia e un flusso di creatività che difficilmente è possibile riscontrare nella storia della popular music.

venerdì 16 dicembre 2022

Datemi un'altra tazza di caffè così potrò tornare in tour

 Commento critico sull'album Desire (1976) 


Desire è il disco più importante di Bob Dylan degli anni settanta. O meglio, è quello che si avvicina di più all'idea che abbiamo di un autore in cerca di ispirazione, di tematiche forti che possano in qualche modo ricongiungere con quella che era stata la parte più intensa della sua carriera musicale. Sulla scia del successo di Blood on the Tracks, Bob Dylan aveva acquisito più forza, sulla scena della musica popolare, di quanta ne avesse mai avuta dalle fine dei Sessanta. Anche la sua presenza sui media era tornata su valori ottimali, come non accadeva dal 1966, in pratica. Questo ritorno di fortuna venne consolidato dal tour con la Rolling Thunder Revue, episodio di cui scriveremo più diffusamente, in un altro contesto e in separata sede. Arrivati a questo punto della retrospettiva critica ci sembra doveroso affermare come alcune collaborazioni inattese avevano indirizzato buona parte della musica più innovativa di Dylan. Desire non fa eccezione a questo tipo di contesto e di questa visione musicale estesa e condivisa. Va anche detto come prima di questo lavoro Dylan raramente aveva condiviso la composizione con altri autori. Album da primo posto in classifica, Desire ebbe il merito di mettere d'accordo, una volta per tutte, critica e pubblico come raramente succederà da qui in avanti nella produzione in studio del Nostro. Oggi se non è tenuto nella stessa considerazione di Blood on the Tracks, che lo aveva preceduto solo di 12 mesi, poco ci manca. Non è certo un caso se questo disco è presente in molte classifiche dei migliori dischi di sempre, degli anni settanta e naturalmente in quella specifica del suo autore, dove occupa una posizione di assoluta rilevanza. È tra i cinque dischi che hanno venduto di più; in Canada, Regno Unito e Stati Uniti ha raggiunto la cifra di due milioni e duecentomila copie. 

Desire è il disco dei nomi, degli arrangiamenti improvvisati, di un flusso creativo caotico e consapevole. Le canzoni sembrano composte e assemblate a nuclei da tre-quattro. Ed è un prodotto che andrà bene sia in termini di vendite, sia sotto il profilo della critica. Senza dubbio rientra ancora oggi tra le cose più riuscite, apprezzate e amate sia dai dylaniani che da un pubblico più generalista. Non mancano ovviamente le critiche, una tra tante quella di Lester Bangs, che non ha mai nascosto la sua avversione verso il cantautorato impegnato e non (basti citare il suo pezzo James Taylor deve morire) che in questo caso spunta dalle retrovie per impallinare Dylan, ma soprattutto per muovere critiche verso il co-autore Jacques Levy. Per chi fosse interessato ad approfondire consigliamo la lettura del testo Deliri, desideri e distorsioni, Il flirt di Bob Dylan con il Mafia Chic. Non è un criminale, è solo un incompreso, dove naturalmente il territorio d'analisi e lo spunto critico si basa su uno dei testi più controversi di Dylan, fino a quel momento: Joey, dedicato a Joey Gallo, aka Crazy Joe, killer e mafioso di New York, appartenente alla famiglia Profaci-Colombo. Personalmente trovo piuttosto coerente l'operato di Bob Dylan, che nella sua lunga carriera ha sempre fatto la scelta giusta, schierandosi dal lato sbagliato della legge, con buona parte di tossici deliranti e invasati testimoni di Geova. La lezione appresa dal suo mentore Woody Guthrie che cantava di Pretty Boy Floyd dovrebbe chiarire qual è il giusto punto di osservazione di un menestrello folk. La domanda da porre oggi a Lester Bangs per noi è la seguente: - La canzone popolare deve cantare (e celebrare) Jesse James, Charles Arthur Floyd e Crazy Joe, oppure incensare il Federal Bureau of Investigation?


Spieghiamo meglio. Il mestiere di Dylan è quello di scrivere, suonare e cantare canzoni. Ora, se questo non gli riesce sempre bene, è un discorso e va argomentato. Però molti critici durante gli anni sessanta e settanta avevano il vezzo di stroncare spesso lavori senza argomentare e senza una comprensione testuale e musicale adeguata.

Desire come tutti i maggiori lavori che lo hanno preceduto gode di questo metro di giudizio. Sicuramente è un disco con alcuni evidenti difetti. Non tutto fila liscio sempre, sia a livello musicale che dei contenuti. Eppure leggere oggi certe parole da parte di un decano della critica musicale come Robert Christgau fanno sorridere o tremare i polsi. Il critico qui va oltre il suo territorio di competenza, mettendo in dubbio la buonafede di Dylan, ancora una volta. Eppure smontare un lavoro come Desire oggi suona davvero poco professionale e risibile. Non si tratta di simpatia o di essere estimatori, ma di essere equi. Spesso i critici non lo sono. Questo disco merita quindi una revisione storica e un riposizionamento tra i classici dylaniani. C'è poi un punto che mi preme sollevare. Non si è mai parlato della volontà di Dylan di realizzare un disco perfetto, come suoni, come registrazione e come concept. Se state cercando questo tipo di qualità, avete sbagliato disco e autore. Passate oltre e non ve ne pentirete.

Bob Dylan non è Roger Waters e non è nemmeno Springsteen, Pete Townshend o Brian Wilson. Non stiamo parlando di un musicista maniacale e perfezionista. Semmai è stato un produttore distratto, che non ha valorizzato al meglio il proprio materiale. I casi in oltre 50 anni di attività discografica sono numerosi. Quante volte da qui in poi scarterà brani validi e potenziali hit? Allora il discorso è un altro, mi pare di capire. Però dire che su Desire non vi sia libertà espressiva, intensità, realismo e quella capacità di rendere interessanti personaggi e situazioni bislacche, è un altro paio di maniche. 

In astrologia la carta dell'imperatrice rappresenta Mercurio in Gemelli; per altri, è sottoposta a Venere. Ha una corrispondenza cabalistica con la lettera G, gimel dell'alfabeto ebraico. Potrebbe essere del tutto casuale la scelta di inserire proprio questa carta in un disco dove i temi sono davvero molteplici, se non fosse per il fatto che Dylan nel disco precedente aveva utilizzato il fante di cuori proprio nel titolo di uno dei brani più narrativi come Lily, Rosemary and the Jack of Hearts e se nel disco successivo il brano di apertura, Changing of the Guards non contenesse riferimenti diretti sempre a due carte dei tarocchi, come il re e la regina di spade. Del resto già durante gli anni sessanta aveva citato personaggi ascrivibili al mondo dei tarocchi e delle carte da gioco, come in Gates of Eden e in All Along the Watchtower. Più andrà avanti, dopo Desire, più questi riferimenti al Poema della regina di Saba diventeranno più presenti ed evidenti. Tuttavia Desire può essere considerato il disco che apre a un nuovo ciclo di composizioni, proseguendo sul canovaccio che già era stato mostrato in Planet Waves e soprattutto in Blood on the Tracks. Dylan torna a essere enigmatico e ambiguo, grazie a testi abilmente costruiti per avere più significati e più chiavi possibili di interpretazione.

Disco se possibile latino, dove per la prima volta si sente un sound tipicamente zigano, europeo, e non a caso questo album avrà molto successo oltre che negli Stati Uniti anche in altri Paesi, dimostrando come il linguaggio universale della musica possa colmare e sopperire le barriere linguistiche, in anticipo rispetto alla tendenza della World Music più marcatamente anni ottanta e novanta. Diciassettesimo disco in studio, Desire viene pubblicato il 5 gennaio 1976, diventando uno dei maggiori successi di Bob Dylan di tutti i tempi. Per molti rappresenta assieme al suo predecessore Blood on the tracks il vero ritorno del suo autore e il disco di maggior impatto dai tempi di Blonde on blonde e Highway 61 Revisited.

One More Cup of Coffee (Valley Below)

Durante una vacanza nel sud della Francia Dylan assiste all’annuale pellegrinaggio dei rom a Saintes-Maries-de-la-Mer, nella cui cattedrale sono conservate le spoglie della loro santa protettrice, detta Sara la Nera. Dylan ha dichiarato di avere scritto il brano durante quest’esperienza ma che, pur essendone probabilmente stato influenzato, la canzone (e in particolare l'espressione valley below, la valle sottostante) probabilmente riguarda altri luoghi. Desire unisce quindi il Messico, New York City, il sud della Francia e l'Africa. È un disco itinerante, nomade, zigano.

"Oh zigano, dall'aria triste e appassionata che fai piangere il tuo violino fra le dita. Suona ancora come una dolce serenata mentre pallido, nel silenzio ascolterò questo tango, che in una notte profumata, il mio cuore ad un altro cuore incatenò."

 

Ognuno ha il pubblico che merita - Una nota dolente

Quasi nessuno nel 1976 aveva voglia di fare sconti a Dylan. Motivo per cui un brano “leggero” e divertente come Mozambique, stravagante e accattivante, viene frainteso. Per Paul Williams è uno dei brani di Dylan che possono contare su una musica meravigliosa, inventiva, che dà piacere che tuttavia non riesce a raggiungere l'intensità e l'unità delle altre canzoni perché i testi sono un po' troppo vaghi e distanti mentre per Clinton Heylin si tratterebbe di una canzoncina tirata su dal fondo del barile, orribile, uno dei punti deboli di un disco il cui compito era quello di rilanciare la carriera del suo autore. La melodia ha ricevuto più elogi dei testi, essendo appunto sobria, giocosa e valida, senza contare gli interventi del violino a opera di Scarlet Rivera.

La Band di Desire

Per chi fosse interessato ad approfondire su questo disco consigliamo la lettura del libro On the road with Bob Dylan, uno dei resoconti più brillanti, audaci e appassionati mai scritti sul rock e sulla musica anni settanta. Il suo autore, Larry Sloman, ha vissuto a stretto contatto con la band di supporto di Dylan, che è poi la stessa base su cui venne inciso Desire. Oltre alla già citata Scarlet Rivera, il cui suono del violino contribuisce a rendere Desire unico nel suo canone, per quanto riguarda la produzione in studio di Dylan, merita un elogio la sezione ritmica composta da Rob Stoner al basso e da Howard Wyeth alla batteria. Nel disco si sente poi il bel lavoro ai cori realizzato da Emmylou Harris (futura star del country) Ronee Blakley che si unirà al tour Rolling Thunder Revue, e da Steven Soles. Alle caotiche e disordinate sessions prendono parte anche Eric Clapton, Luther Rix, Vinnie Bell e Dominic Cortese, al mandolino e alla fisarmonica. Resta uno dei gruppi di supporto di Dylan più importanti, non solo per quanto riguarda il lavoro in studio, ma soprattutto perché questo nucleo sarà quello del Rolling Thunder Revue. Sappiamo bene che il loro lavoro fino al 2002, anno di pubblicazione del Bootleg Series V resterà nascosto ai più. Oggi però, alla luce delle ultime pubblicazioni, tra cui lo splendido e completo Bob Dylan – The Rolling Thunder Revue: The 1975 Live Recordings pubblicato nel 2019, possiamo finalmente ascoltare un Dylan in forma splendida. Non a caso per molti il disco Desire rappresenta la punta dell'iceberg di un performer in stato di grazia.


Dario Twist of Fate


Illustrazione originale di Elena Artese

sabato 10 dicembre 2022

On the Tracks (Rail Car)

"Ho visto treni fin da piccolo e mi hanno sempre fatto sentire al sicuro. I grandi vagoni merci, i vagoni del minerale di ferro, i treni passeggeri, i vagoni Pullman. Non c’era posto in cui andare nella mia città natale senza aspettare agli incroci che lunghi treni passassero." (Bob Dylan Chronicles: Volume One)

L’arte di Bob Dylan non si limita alla creazione musicale. Lo sapevamo già da tempo. Eppure nessuno avrebbe pensato, fino a qualche decennio fa, che l’artista statunitense ci sapesse fare anche con la pittura e, in misura forse maggiore, con la scultura.

Sul binario di una vecchia linea ha posizionato il suo treno delle meraviglie “Rail car”, trovando nel vigneto Château La Coste il luogo in cui fondere l’opera con l’ambiente in un’armonia perfetta da farla sembrare concepita per stare là. L’opera dialoga con il paesaggio costituito dal vigneto, un luogo non incontaminato, ma rappresentativo del lavoro dell’uomo attraverso le stagioni e gli anni, nel perfetto stile della filosofia di Dylan, mentre non sarebbe stato consono un ambiente espositivo chiuso, che l’avrebbe concettualizzata dando poco spazio ai pensieri e all’immaginazione richiamati spontaneamente dalle sue forme e dai suoi vuoti. Vuoti che sembrano finestre sul tempo, sulle stagioni in un gioco totalmente mentale e di contemplazione.

Quest’opera è così: viva come il pensiero (e le mani) che l’hanno prodotta, grazie anche all’aria e alla luce che vi circola all’interno. É concepita per durare nel tempo come le rotaie su cui è posizionata, come il suo materiale e come i pezzi che usa per la composizione, che danno un senso di non resa premiata con nuova vita. Il ferro rappresenta l’uomo che forgia il mondo, ma anche l’artista che forgia il senso.

Dylan pensa allo spazio, al tempo e alla storia, anche quella che verrà. Lo ha fatto finora molto bene con le sue canzoni, ma adesso questo percorso prosegue in una forma e tramite una disciplina artistica più precisa, più visibile, se possibile meno ambigua, rispetto alle sue canzoni. 

Ci troviamo di fronte un esempio positivo, ottimistico, in ogni caso, visto che l’artista è maturo e consapevole del fatto che tutto si trasforma e che la sua opera deve essere aperta. Soprattutto quando si ragiona in termini di spazio e di strutture e regole di una disciplina concreta, dove il materiale utilizzato è destinato ad invecchiare bene, come il buon vino, come le sue canzoni che da più di 50 anni fanno da colonna sonora a questo mondo politico. C’è un lento treno che sta arrivando, lungo i binari dell’ispirazione dylaniana. Ieri come oggi, oggi come in un tempo indefinito, evocativo.

Citando Robert Frost: "Profondi e scuri sono i boschi e belli, ma ho promesse da mantenere e miglia da percorrere, prima di dormire." C’è più di un’idea, c’è il mondo delle idee. Il tempo ridisegna tutto e Dylan lo asseconda con mestiere e conoscenza.


Rosaria Grisolia

Con il contributo di Dario Greco


Bob Dylan – Drawn Blank in Provence
Château La Coste

giovedì 8 dicembre 2022

Bob Dylan aujourd'hui, vous pouvez dormir dans le motel où il a écrit son album le plus aimé

Les propriétaires ont partagé des images exclusives du June Hotel à Malibu, une retraite paisible pour les écrivains, les artistes et les musiciens.

Bob Dylan est passé par ici. La chambre numéro 13 de l'hôtel June à Malibu, un petit hôtel-boutique le long de la Pacific Coast Highway à Point Dume, en Californie, a une histoire bien particulière. Même si c'est la chambre la plus populaire de la structure, tout le monde ne sait pas pourquoi : on dit qu'elle a une énergie particulière, comme celle d'un refuge calme et privé. Mais pour ceux qui connaissent son histoire, la salle 13 a un attrait beaucoup plus évident : c'est là que Bob Dylan a écrit son 15e album, Blood on the Tracks, acclamé par la critique en 1975. À la fin des années 1940, un couple de jeunes mariés, Wayne et Helen Wilcox, a commencé à construire l'un des premiers motels de Malibu. Ils l'ont appelé le Malibu Riviera Motel. Au fil des décennies, ils ont élevé deux fils, Gary et Bob, et accueilli d'innombrables invités, dont le célèbre auteur-compositeur. « Ce n'était pas seulement l'un des premiers motels de Malibu, c'était leur maison », explique Shaun Gilbert, l'un des propriétaires actuels de l'hôtel.

Selon Sam Shendow, un autre propriétaire actuel, Dylan a d'abord séjourné à Malibu Riviera au milieu des années 1970 alors qu'il divorçait de sa première femme, Sara. Gary Wilcox, le fils des propriétaires d'origine, a vendu la propriété à Gilbert, Shendow et à un troisième copropriétaire, Reem Al-Zahawi, en 2015. Alors qu'il s'occupait du transfert, Wilcox a partagé des histoires du temps de Dylan dans la chambre 13. "Il y avait des rumeurs selon lesquelles sa femme l'avait expulsé de la maison pour ses transgressions, en particulier lorsqu'elle avait ramené son amant à la maison pour le petit-déjeuner", explique Shendow. Le chanteur a longtemps utilisé l'hôtel comme base et a écrit la plupart des chansons de l'album dans cette pièce. Évalué avec un 10 par Pitchfork et appelé "un album unique parmi tous les Dylan", les critiques considèrent souvent Blood on the Track comme l'une de ses meilleures œuvres.

"Je pense que le temps qu'il a passé dans la chambre 13 et le sentiment qu'il a répandu dans cet album ont eu un effet durable sur la pièce, une énergie créative, pour ainsi dire", explique Gilbert. Les écrivains ont toujours tendance à être attirés par cette pièce sans même le savoir. son histoire."

En 2015, la propriété tombait en disgrâce et Gary a accepté de vendre le motel sachant que les nouveaux propriétaires prévoyaient de lui redonner son ancienne gloire. Après des années de construction, l'hôtel a brièvement ouvert ses portes en 2018 sous le nom de Native Hotel, mais a été endommagé par l'incendie de Woolsey plus tard cette année-là, puis a subi une autre cure de jouvence, avant de rouvrir officiellement sous le nom de June Hotel Malibu en 2021.

Le Malibu Riviera Motel, une série de 13 bungalows interconnectés, a été construit en même temps que Frank Lloyd Wright concevait des maisons usoniennes et que le modernisme américain balayait le pays. Conformément à cette tendance, les modestes suites revêtues de briques comportaient toutes un toit plat avec un surplomb notable. Bien que l'architecture du motel soit restée inchangée, chaque chambre dispose aujourd'hui d'un lit king-size avec un matelas Casper, de salles de bains rénovées avec des produits Aesop, d'un mobilier d'époque avec de subtils clins d'œil à l'époque de l'auberge et de photos prises par Wayne Wilcox. "Il est important pour nous que les gens comprennent que la propriété a un passé important, et combien d'amour et de soin ont été consacrés à la préservation non seulement du bâtiment d'origine créé par les Wilcox, mais aussi du rêve de leur famille de faire connaître cette partie comme une spéciale de la monde aux voyageurs peuvent comprendre l'importance de son histoire », conclut Shendow.



Spécial 80e anniversaire de Bob Dylan

Verrouillage musical lunaire – Spécial 80e anniversaire de Bob Dylan

Aujourd'hui, nous assistons à une réévaluation totale de ce que cela a pu signifier pour notre éducation. Bon, il faut le dire : mais on s'en fout ! Après les gloires d'hier, il est aujourd'hui obligatoire de faire quelques considérations. Prenons mon cas. Je suis né en 1979, on peut donc dire que j'ai vu très peu de Dylan qui était pertinent en temps réel. Il est donc plus honnête de parler d'une reprise et de ce que fut la réévaluation critique et populaire des années 90. Une décennie étrange, où l'on pouvait à la fois trouver des cassettes, des vieux livres, des vinyles, mais aussi des CD. C'est ainsi que ma découverte des chansons de Dylan s'est faite. De manière totalement anonyme, grâce à des amis et connaissances qui se trouvaient peut-être par hasard dans la maison, du matériel de cet ancien auteur-compositeur-interprète. Oui, car en 1997, Dylan était considéré comme une vieille gloire, un rescapé des années de contre-culture. J'ai en fait découvert petit à petit un monde. Ce n'était pas du tout immédiat, tout comme ce n'était pas le coup de foudre. Mes goûts et mes écoutes de 17 ans étaient assez banals et un peu bâclés. Par exemple : je n'aimais même pas Nirvana et Pearl Jam.

J'ai préféré Police, R.E.M, Red Hot Chili Peppers et U2. Un peu plus intriguant, c'est ce qui s'est passé quand j'ai monté mon premier groupe de rock. Un quintet fondé avec un vieil ami et un camarade de classe. Parmi les chansons que nous avons écoutées et essayées de jouer, il y avait trois chansons écrites par Bob Dylan. Like a Rolling Stone, All Along the Watchtower et bien sûr Knockin' on Heaven's Door. En pratique c'est à travers les versions d'Hendrix, des Stones et surtout des Guns que j'ai découvert les chansons de Dylan. Je me souviens qu'Emilio, mon camarade de classe, m'a doublé certaines choses sur cassette comme Sting solo, Clapton, Neil Young et quelques chansons de Dylan. Plus tard, j'ai découvert que les chansons de Dylan étaient tirées de la collection Biograph.

Mon frère avait enregistré un morceau de Hard Rain sur VHS, que Rai 3 envoyait souvent en rediffusion à l'époque. Au "Tempio della Musica", le légendaire magasin de Cosenza qui vendait des guitares et des disques, j'ai vu la couverture du live The Bootleg Series Vol.4: Bob Dylan Live 1966, The "Royal Albert Hall" Concert, j'ai découvert que ce le vieux chanteur avait aussi créé le show Unplugged dont parlaient tous mes mordus de musique.

Un jour, en tirant un pain, nous sommes allés chez Andrea. Il y avait une cassette originale de Bob Dylan. C'était le Greatest hits 3. Je l'ai pris sans demander si je pouvais, en le mettant dans ma poche. Je tournais avec un baladeur Sony à cassettes, même s'il existait déjà des baladeurs CD à l'époque. C'était mon approche négligente et bâclée de la musique de Dylan. Par la suite j'ai découvert un monde authentique, dont je suis toujours fasciné aujourd'hui, 20 ans plus tard. Mais mon premier Dylan était quelque chose comme ça. Rien de spécial. Rien de vraiment intéressant à lire. Nous avons eu des aventures assez différentes au cours d'une décennie intrigante et naïve comme les années 90.

Pour ceux qui ont vraiment vécu cette période, ils savent qu'il y avait une vie, même dans la province endormie, capable d'aller au-delà de la récupération des artistes du passé, dont Bob Dylan faisait partie. Donc, bien qu'un peu bâclé, avec ce morceau de style colonne inexistant "mais qui se soucie de votre opinion", je dis : - Joyeux 80e anniversaire, M. Bob Dylan !

Dario Greco


Spécial 80e anniversaire de Bob Dylan

Mon premier baiser en écoutant des chansons de Bob Dylan

Parfois, pris par une mélancolie profonde et inexplicable, je commence à me souvenir:

Le premier baiser donné et le premier baiser ont reçu. La première note au lycée. La première année où j'ai été reportée en mathématiques et en anglais. Le premier Levi's 501, ce qui était très mauvais pour moi, mais cela n'avait pas d'importance pour moi, j'ai aimé l'idée. Le premier jour du collège, loin des compagnons élémentaires et projeté dans une dimension complètement nouvelle et différente. Peut-être beau, mais certainement extraterrestre.

Grandir dans les années 90 était une chose différente de celle d'aujourd'hui. Je ne peux pas dire si c'est mieux ou pire, aussi parce que je ne suis pas en mesure d'interpréter les désirs et les sensations des garçons qui sont nés et ont grandi après moi. Mais je suis né à temps pour essayer certaines choses. Je me souviens des trois premiers chefs Panasonic, le premier Walkman Sony avec l'autoritaire, le BMX rouge, les vinyles qui avaient déjà traversé la mode, le top 20 et les énormes seins d'Emanuela Folliero, les cheveux de la panicci, mes compagnons de L'école est devenue folle de Beverly Hills 90210. Je n'ai jamais réussi à le voir parce que chez moi, il nous reste et Michele Santoro avec Samarkand. J'ai perdu ce train. Il n'a plus été passé, mais j'ai fait le temps de voir et de prendre les autres. Les trains sur lesquels j'ai réussi à grimper ont conduit à Rome pour le concert le 1er mai. Il y avait des trains qui ont ouvert des portes, sur un certain verset, magique, pour d'autres peut-être, tragiques. Je ne me souviens pas. Cependant, je me souviens que Bob Dylan, contrairement à la bande dessinée de Beverly Hills et de Sclavi, était déjà dans ma maison. Non, mon père n'était pas fan de la sienne et même mon frère aîné, ainsi que mon cousin. Il était un grand fan de musique, mais avait une expérience différente. Pour ma malchance, elle était l'extraction punk et favorisait des choses bruyantes, alternatives et scraules. Il a écouté la vague italienne et le jazz libre, mais il n'était pas du tout l'admirateur de Bob Dylan. C'était une croix et un plaisir. Avoir de la chance et la possibilité de découvrir et d'atteindre des diplômes, à de belles choses. Vous devez savoir comment choisir à temps, pas y arriver par opposition, a déclaré Guccini. Une opportunité qu'aujourd'hui est exclue à de nombreux gars. Parce que beaucoup ont changé, trop de choses. J'ai fréquenté le lycée et il y a eu un certain ferment dans la ville. Ou si vous préférez: il y avait de la musique dans le café la nuit et la révolution était dans l'air. Soudain, j'ai commencé à lire des romans, pour métaboliser un béguin non partagé, pour un camarade de classe. Elle a tout lu. Surtout la littérature du début du XXe siècle. À cette époque, nous avons échangé des opinions sur plusieurs livres et auteurs importants. À l'école, le professeur Galasso nous a expliqué qui était Joyce, Kafka, Thomas Mann, mais surtout Marcel Proust. J'étais un gars chanceux. Au moment où j'ai déjà écrit, j'étais un graphomane qui a enduit certains cahiers. Réflexions et mots: Impressions d'un avril lointain. Je suis arrivé indirectement à Dylan, à travers le cinéma qui était déjà ma passion pendant la phase de prépuber, mais surtout des auteurs de lecture tels que Jack Kerouac et William Shakespeare. En réalité, nous étions beaucoup plus omnivores et ne snob presque jamais. Nous aimions chaque jour pour découvrir quelque chose de nouveau. Cela aurait pu être Kurt Cobain, dont je m'en fichais, ou Mark Knopfler, Sting, Kubrick ou Scorsese. Nous avons échangé des livres, des boîtes, des informations et des magazines. De manière obsessionnelle. Nous avons envie d'informations et les kiosques à journaux étaient une autre excellente ressource. 

Là, vous pouviez trouver des magazines, des journaux, les premiers CD des collections De Agostini, mais principalement c'était un pont qui connaissait le bien, qui sentait du papier, de la liberté. Les années 90, en dehors de la mode, ces quatre à cinq films étrangers, disques et livres à la mode, étaient une époque où les jeunes savaient comment interagir et échanger des informations utiles et futiles, de manière transparente. C'était un vrai tam-tam, et aucune carte n'était nécessaire pour entrer. Il fonctionne avec l'admission gratuite. La carte était celle de l'abonnement en bus urbain, de la location vidéo, de la bibliothèque. L'internes à l'école a travaillé même sans adhésion. Vous pouvez emprunter un nombre maximum de deux livres mensuels. J'ai pu en prendre six, car j'ai utilisé mes compagnons qui n'ont pas lu pour atteindre un nombre plus large et avoir un plus grand choix. J'ai donc lu en même temps sur la route et en 1984, la métamorphose et les habitants de Dublin, Tonio Koger et À l'ombre des jeunes filles en fleurs par Marcel Proust.

Je retiens notamment ce passage :

"Alors je me demandais si l'originalité prouvait vraiment que les grands écrivains sont des dieux, chacun régnant dans un domaine qui lui est propre, ou s'il n'y a pas un peu de fiction là-dedans, si les différences entre les œuvres ne sont pas le résultat de l'œuvre, plutôt que l'expression d'une radicale diversité de substance entre les différentes personnalités."

Un autre livre que nous avons aimé lire était Zeno's Conscience, même si j'avais développé une certaine obsession pour Shakespeare à l'époque. Tu sais que j'ai toujours été un nostalgique romantique et sentimental incurable. Maintenant, je me l'avoue rarement, mais j'ai vraiment réussi à toujours être positive, active, adorable. Dommage que personne ne semble impressionné ou intéressé. Car la chance aurait voulu qu'à cette époque ils soient à la mode : dark, punk, metal et grunge. Bref, toutes les choses qui n'avaient aucune prise sur moi. Mais je suis tombé amoureux du blues, du jazz, d'un certain type de rock and roll. En pratique, j'étais un inadapté, je ne m'en rendais pas compte, car j'étais pris dans le feu sacré de la connaissance, de la découverte compulsive. À ce moment-là, je suis tombé sur un certain Bob Dylan. Principalement indirectement à travers les chansons de Neil Young, Bruce Springsteen et Eric Clapton. Notamment à travers les Fire Strings de Mark Knopfler. Il y avait cette chanson : All Along the Watchtower, et puis encore une autre, Forever Young et une autre, Mr. Tambourine Man.Qui écrit ces choses, ces titres et ces longs morceaux magnétiques et parfaits, dans leur grossière imperfection ? C'était comme si un artisan vous fabriquait quelque chose à partir d'un morceau de bois. Sculpteur qui travaille et façonne le métal. Il ressemblait à un peintre, mais pas à celui qui crée des toiles et des œuvres d'art, plutôt à celui qui peint plus humblement votre maison. Mais Dylan ne peignait pas ma chambre, il gravait un ver dans mon esprit. Il créait un sillon, qu'il n'aurait pas été facile d'effacer, d'enlever. La porte était grande ouverte et ne pouvait plus être fermée. En fait, la porte n'était plus là. Enlevez les serrures des portes, enlevez aussi les portes de leurs gonds. J'aimais déjà Jim Morrison et j'étais fou du son d'orgue de Ray (Manzarek), mais il y avait plus dans ce son métallique rouillé de la voix de Dylan. Il y avait du courage, de la sagesse, peut-être de l'insouciance. Je n'avais jamais entendu une telle chose et je ne connaissais pas encore les paroles.

Quand j'ai vu une performance live de Shelter from the Storm sur Rai 3, j'ai en fait reçu un léger choc électrique. À ce jour, je maintiens toujours que c'est l'une des choses les plus violemment poétiques qu'un adolescent puisse entendre. Dylan était arrivé. J'aurais quand même mis du temps à le métaboliser et à m'en rendre compte. Je l'ai fait en écoutant Springsteen, Neil Young et The Band. J'y suis arrivé pas à pas. Parfois, il n'est pas facile de comprendre ou même d'apprécier quelqu'un qui vous prend et vous frappe sans raison. Sans vous laisser le choix. Pour moi, Dylan n'était pas un choix, il n'a pas écouté et il n'a pas eu de début. Au lieu de cela, c'était un état d'esprit, confus, chaotique. Orageux. Comme Shakespeare, comme Kafka. Comme la meilleure littérature qu'un jeune homme peut découvrir avec un esprit avide et des yeux injectés de sang et furieux. Tant qu'il y aura une partie de mon cœur qui se souviendra de tout cela, ma vie aura un sens, mon existence aura un but. Cultivez la beauté, poursuivez le chemin de la découverte et de la connaissance. Savoir où sont plantés les piliers de cette terre, où tend la conscience du monde, où le vent se lève et les rivières débordent, comme dirait le bon Thomas Wolfe.


Mon premier baiser en écoutant des chansons de Bob Dylan
Une histoire de Dario Greco