Bob Dylan at Budokan (1978)
Mentre vi scrivo ho appena terminato
la full immersion in questa nuova uscita di Bob Dylan. Mi riferisco a The
Complete Budokan 1978 (Live).
Quattro ore e 29 minuti di canzoni
eseguite alla Nippon Budokan Hall, le sere del 28 febbraio e del primo marzo
1978, 45 anni fa. David Mansfield e Rob Stoner sono gli unici
"superstiti" del leggendario tour 1975-1976 chiamato Rolling Thunder
Revue. Ci sono per questa occasione coriste come Helena Springs, tastiere e
addirittura un sax tenore suonato da un grande session man come Steve Douglas. È
il Dylan che sta per mandare alle stampe un nuovo album che risponde al nome di
Street-Legal, ma cosa più eclatante è un artista fresco di separazione con la
propria compagna e madre dei suoi figli. Questo aspetto, unito alla perdita di
un mito di gioventù come Elvis Presley crea un corto circuito nel modo di
concepire le canzoni e quindi la performance dylaniana. Un altro aspetto
significativo è che Dylan per la prima volta compie un tour mondiale, andando a
suonare per la prima volta in Asia e Oceania.
La scelta più particolare di
questo nuovo spettacolo non è solo legata agli arrangiamenti e ai suoni, che
sono in realtà un proseguimento di quanto era stato realizzato durante il
Rolling Thunder. La sensazione è di un Dylan davvero sopra le righe, che
gigioneggia più del solito, quasi con una messa in scena da grande varietà. In
pratica è Bob Dylan che si presenta da Milly Carlucci ed esegue brani ritmati,
quasi ballabili per attirare le masse e per dare una nuova ventata al proprio
repertorio, dove ci sono canzoni che sono state scritte ed eseguite più di 15
anni prima. A questo punto bisogna fare un recap e capire il contesto in cui si
muove l'artista.
La scena musicale rispetto a
quando si esibiva abitualmente è cambiata e non poco. Il Re è appena morto e
sono venuti fuori nuovi artisti come Bruce Springsteen, Warren Zevon e Tom
Petty, ma soprattutto c'è stata la rivoluzione punk, unita all'esplosione del
fenomeno Disco Music. Nel tentativo di intercettare questo nuovo tipo di
musica, rendendo al contempo omaggio a Elvis Presley e a Roy Orbison, Dylan
mette in scena uno spettacolo nuovo, luccicante e lustrato a dovere. Ma è
ancora il "nostro menestrello"?
Non bisogna mai cascare in questo
tipo di ragionamento quando si parla di Dylan, se davvero si vuole essere
obiettivi e imparziali. Per quanto mi riguarda comprendo le scelte di un
artista che non si è mai fermato completamente, che ha avuto il coraggio e
l'incoscienza forse di rischiare, di tentare nuovi percorsi musicali e
creativi. Se non l'avesse fatto molto probabilmente non sarebbe durato tutto
questo tempo e oltre.
Bob Dylan non è come gli altri e questo lo sappiamo praticamente da sempre. Non conta conoscerlo da dieci, venti o quarant'anni.
Eppure qui il problema non è
necessariamente legato a certe scelte, soluzione o agli arrangiamenti
stravaganti e sopra le righe. Il guaio è che certi pezzi sembrano quasi delle
parodie. Anche a livello vocale, prendi ad esempio Shelter from the Storm, una
delle mie canzoni preferite. Qui è irriconoscibile, quasi inascoltabile. Altre
invece sfiorano il capolavoro, penso a It's Alright Ma (I’m Only Bleeding),
Ballad of a Thin man, Don't Think Twice It’s All Right, I Shall be Released e
Knockin’ On Heaven’s Door. Per oltre metà del live sono favorevolmente
impressionato. Tuttavia alcuni suoni e certe scelte non le comprendo del tutto.
E poi c'è il problema GREATEST HITS. Forse Dylan ha avuto paura di fare fiasco
in Giappone?
Questo lo dico dopo un solo primo
ascolto completo. Ci tento a dire chiaramente che questo mio è un giudizio per
il 75% favorevole, che quasi certamente migliorerà con altri ascolti più
attenti, maggiormente a fuoco, fatti senza fretta e ansia da prestazione.
Ascoltare pe la prima volta un box composto da quattro cd che dura oltre
quattro ore resta un’esperienza impegnativa se non estenuante, per certi versi
paragonabile oggi alla visione in binge watching di una serie tv su piattaforme
come Netflix o Prime Video.
Resto un po’ deluso da estimatore e fan per i punti critici di cui ho scritto sopra, ma pazienza. Bisogna farsene una ragione. Cercheremo di farci piacere questa nuova uscita, oppure di passare oltre, andando avanti. La fortuna con uno come Dylan è anche questa. Mediamente ci sono sempre due o tre uscite all’anno e questa in effetti non è stata nemmeno la prima.
Ci tengo a specificare che non sono abituato a scrivere articoli su uscite discografiche dedicate a materiale live. Non è proprio la mia comfort zone, in quanto preferisco esprimere abitualmente un parere sui dischi in studio, che sono la mia vera passione. La musica dal vivo mi piace condividerla e viverla sul momento. Raramente ascolto dischi live e quasi mai sono parte integrante della mia colonna sonora quotidiana.
Naturalmente
ci sono alcune importanti eccezioni, penso non so al magnifico live di Van
Morrison, It’s Too Late to Stop Now del 1974, al box di Dylan della Rolling
Thunder Revue, all’Unplugged e naturalmente a Before the Flood con The Band, di
cui scriverò una scheda di approfondimento in separata sede.
Concludo dicendo ancora una volta Evviva
Bob Dylan, Evviva il rock e il revival anni Settanta. Senza polemica, ma anche
senza fette di prosciutto sulle orecchie. Va bene così, no?
Peccato,Tutte e 3 le serate sono tutte molto simili ,avrei preferito,qualche serata del tour americano
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