The Bootleg Series 13: Trouble No More (1979-1981)
Pubblicato il 3 novembre 2017, The
Bootleg Series Vol. 13: Trouble No More 1979-1981 chiude, in termini cronologici
il decennio anni Settanta per quanto riguarda Bob Dylan live. Si tratta del
cosiddetto periodo Gospel, durante il quale il cantautore ha realizzato tre
dischi all’epoca piuttosto contestati; parliamo di Slow Train Coming, Saved e
Shot of Love, pubblicati tra il 1979 e il 1981. Ascoltati oggi questi lavori
possono essere rivalutati, sia a livello musicale e sonoro, sia per i
contenuti, all’epoca considerati estremi e tipici di un certo fanatismo
religioso. Sicuramente il secondo capitolo della serie, Saved, è quello
maggiormente incentrato sul Nuovo Testamento, motivo per cui allo zoccolo duro
dei fan, il disco potrebbe risultato indigesto. Musicalmente invece il discorso
è piuttosto differente, sia per la qualità delle canzoni, sia per come sono
state affrontate e realizzate le registrazioni in studio. Qui ci occupiamo però
di analizzare l’aspetto concertistico di questo periodo. Rispetto al Tour 1978,
dove Dylan aveva aggiunto fiati, archi e coriste, alcune cose cambiano, a cominciare
dalle scalette che verranno proposte per supportare la pubblicazione del suo
più recente lavoro, Slow Train Coming. Registrato nei leggendari Muscle Shoals
Sound Studios di Sheffield, Alabama, il disco si avvale di una line up di prim’ordine
che include Mark Knopfler e Pick Withers dei Dire Straits, il bassista Tim
Drummond, Barry Beckett, i Muscle Shoals Sound Studio ai fiati, più un gruppo
di coriste composto da Carolyn Dennis, Regina Havis e Helena Springs. Si
occupano della produzione Barry Beckett e Jerry Wexler. Il disco ottiene un
buon successo commerciale, ma a livello critico non va altrettanto bene,
nonostante arrivi per Dylan il suo primo Grammy Awards per la migliore
performance maschile. Sotto il profilo concertistico, i live ricalcano quello che
possiamo ascoltare su disco, con qualche brano in più, ma con materiale che
resta ancorato al nuovo repertorio gospel.
La testimonianza raccolta da
Trouble No More, è piuttosto ricca ed esaustiva, visto che il tredicesimo
volume delle Bootleg Series esce in versione standard composta da due cd e da
quella estesa, deluxe, costituita invece da otto dischi più un DVD. Qui si
possono ascoltare 100 esibizioni dal vivo più 14 brani altrimenti inediti.
Ascoltando con attenzione e con il giusto tempo che il box richiede, possiamo
assistere all’evoluzione di questo periodo di intensa attività concertistica
per Dylan e la sua nuova formazione. Nella versione standard troviamo sette
canzoni eseguite nel 1979, mentre le altre provengono dai tour del 1980 e del
1981. Inizialmente Dylan e la band eseguono solo materiale originale nuovo,
senza riproporre i classici e i numerosi cavalli di battaglia presenti nel
repertorio dell’artista. Le cose cambiano andando avanti. Nel box completo
possiamo infatti ascoltare l’esibizione di Londra del 27 giugno 1981, dove a fianco
alle nuove Gotta Serve Somebody, I Believe in You, Man
Gave Names to All the Animals e Dead Man, Dead Man, trovano posto Like a
Rolling Stone, Maggie’s Farm, I Don’t Believe You (She Acts Like We Never Have
Met), Girl from the North Country e Ballad of a Thin Man. In pratica dopo aver
condotto due anni di tour esclusivamente con il repertorio gospel, Dylan torna
sui propri passi ed esegue alcuni dei suoi grandi classici, come Mr. Tambourine
Man, Just Like a Woman, Blowin’ in the Wind, It’s All Over Now, Baby Blue e
altri pezzi più recenti come Forever Young e Knockin’ on Heaven’s Door. Anche
la critica intuisce che qualcosa è cambiato e Dylan gradualmente esce dalla
sbornia cristiana, per tornare a scrivere, incidere e cantare materiale più
eterogeneo, nonostante anche nel successivo Infidels, il tono da sermone a tema
religioso sia ancora piuttosto presente, ma trattato in maniera differente,
diciamo più ortodosso e in linea con i temi trattati già a partire dagli anni
Sessanta.
Sotto il profilo live e di esecuzione, ascoltando oggi questo 13esimo capitolo delle Bootleg Series, bisogna annotare la grande forma di Dylan come esecutore e performer, per non parlare del groove, dell’energia e del tiro della band che lo accompagnava. Un’esperienza sonora di livello assoluto che fa ben sperare dopo alcune parentesi non del tutto riuscite e ispirate, vedi Budokan. Qui invece possiamo sentire il vero suono del Dylan attuale, che guarda al presente e al futuro, senza rinnegare completamente ciò che era stato. La fase kitsch è ormai solo un ricordo. Sono spariti sia gli archi che i flauti, la sezione ritmica è tornata quella di un tempo e l’energia delle chitarre, suonate da Steve Ripley e Fred Tackett, è nuovamente centrale, mentre le tastiere hanno ancora il loro spazio, ma senza stravaganze caraibiche ed esotiche, salvo durante l’esecuzione del brano reggae Man Gave Names to All the Animals, che suona come il primo di molti omaggi alla musica di Bob Marley, di cui Dylan si scopre un grande estimatore e appassionato.
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