"Ho resistito; ho lottato contro il dolore come contro una cancrena. Quando si saranno alleviate sempre più le schiavitù inutili, si saranno scongiurate le sventure non necessarie, resterà sempre, per tenere in esercizio le virtù eroiche dell'uomo, la lunga serie dei mali veri e propri: la morte, la vecchiaia, le malattie inguaribili, l'amore non corrisposto, l'amicizia respinta o tradita, la mediocrità d'una vita meno vasta dei nostri progetti e più opaca dei nostri sogni: tutte le sciagure provocate dalla natura divina delle cose." (Memorie di Adriano)
In "Fragments" l'unica cosa sbagliata è proprio il titolo del nuovo Bootleg Series. Fossi stato al posto di His Bobness, cosa a cui non ambisco nella maniera più assoluta, lo avrei chiamato "Back to the Light", prendendo in prestito il titolo del disco solista di Brian May del 1992. Il motivo è semplice, in questo lavoro Dylan scava una fossa, anzi due. Una per sé e una per chi ascolta. Ma trattandosi del grande Genio del Novecento musicale, cambia piano all'ultimo momento.
Siede in cabina di regia, suona egli stesso lo strumento musicale e consegna ai posteri uno dei gioielli più preziosi della propria corona di principe degli autori di canzoni. Non ha ancora vinto il Nobel, ma presto lo farà. In questo 17esimo volume possiamo ascoltare tutto quello che venne provato e registrato tra il 1996 e il 1997. Quando Dylan decise che era tornato il momento di percorrere a ritroso la sua Dirt Road Blues, il cantautore non poteva più aspettare e i tempi non erano ancora maturi per ritirarsi sulle Highlands o per cercare di ottenere una chiave per il paradiso.
Un paradosso, perché questo disco suona come una resa incondizionata. Però c'è dentro tanta luce, più di quanta sia giusto sentire in un solo album. Il problema è che Dylan, come quel famoso calabrone non lo sa, perciò continua a scrivere, a cantare e a registrare musica.
Impossibile citare tutte le registrazioni degne di nota, sparse in questi cinque dischi, di cui uno dal vivo.
Trovo che qui vi siano alcune versioni di brani che possono competere con gli originali presenti in Time out of Mind del 1997. C'è più groove, più cattiveria e più volontà di portare a casa la take perfetta. Come per molte incisioni di Dylan, qualcosa non va per il verso giusto, motivo per cui l'intervento in cabina di regia di
Daniel Lanois salva capra e cavoli. Per sua e soprattutto per nostra fortuna.
Ma Dylan ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, ci dimostra che è tornato, ed è tornato "on fire", come si usa dire di questi tempi.
Già il tempo, topos ideale e congeniale al Nostro.
Se Time out of Mind del 1997 è stato salutato come un capolavoro definitivo, questo nuovo percorso ascoltabile in Fragments (2023) è l'occasione giusta per dare una nuova interpretazione a uno dei suoi classici moderni. Modern times, appunto. Un Capolavoro contemporaneo mito-modernista.
Dario Greco
Nessun commento:
Posta un commento