A proposito di sogni
Registrata durante le sessioni di Oh Mercy nel 1989 e inspiegabilmente esclusa dalla tracklist finale, Series of Dreams è diventata nel tempo una delle tracce simbolo della rinascita artistica di Bob Dylan, dopo un decennio complesso e non facile come quello degli Ottanta.
La sua storia, fatta di esclusioni, circolazione non ufficiale e tardiva consacrazione, la avvicina naturalmente a Blind Willie McTell, incisa nel 1983 e rimasta anch’essa fuori da un album “ufficiale” fino alla pubblicazione di The Bootleg Series Vol. 1–3 nel 1991. In entrambi i casi, ci troviamo di fronte a canzoni che il tempo ha reso centrali, quasi necessarie, nel racconto della maturità dylaniana.
Series of Dreams emerge in un momento cruciale. Dylan arriva a Oh Mercy dopo anni di smarrimento creativo, produzioni irregolari e una crescente distanza tra la sua scrittura e i contesti sonori che la ospitavano. L’incontro con Daniel Lanois rappresenta una svolta: non tanto un ritorno al passato, quanto l’accesso a una modernità diversa, atmosferica, stratificata, profondamente immersa nel suono. Lanois, reduce da lavori che avevano ridefinito il rock degli anni Ottanta e forte dell’esperienza con artisti come U2 e Robbie Robertson, offre a Dylan uno spazio sonoro nuovo, ampio, pulsante, in cui la parola può tornare a essere centrale senza rinunciare alla spinta ritmica e alla contemporaneità.
Series of Dreams è uno dei brani più audaci mai incisi da Dylan. Il “drive” è immediato, sostenuto da una sezione ritmica complessa e mobile, con una batteria che lavora per stratificazioni e accenti più che per linearità. Il risultato è un movimento continuo, quasi circolare, che trascina l’ascoltatore senza mai concedere una vera risoluzione. Le chitarre, trattate con riverberi e delay tipici dell’estetica lanoisiana, creano un senso di spazio aperto, notturno, mentre la voce di Dylan, sorprendentemente energica, si muove con naturalezza dentro l’arrangiamento, senza esserne schiacciata. È una modernità che non suona forzata: al contrario, Series of Dreams appare ancora oggi fresca, “pimpante”, come se avesse anticipato sviluppi che Dylan esplorerà pienamente solo negli anni Novanta.
Il brano è costruito come una vera e propria sequenza onirica, coerente con il titolo ma tutt’altro che vaga o impressionistica. Dylan insiste più volte sul fatto di non pensare a “anything specific”, rifiutando programmaticamente ogni interpretazione univoca. Eppure, proprio questa dichiarata indeterminatezza diventa il cuore poetico del brano. I sogni descritti sono luoghi di stasi e ferita: “nothing comes up to the top”, tutto resta in basso, bloccato, incapace di emergere. È un’immagine potente, che può essere letta come metafora creativa, esistenziale o storica. Negli anni Ottanta, Dylan ha spesso dato l’impressione di essere rimasto intrappolato sotto la superficie del proprio mito, incapace di far risalire alla luce ciò che realmente contava.
Le immagini si susseguono come fotogrammi scollegati solo in apparenza: numeri che bruciano, un crimine osservato, la corsa, la salita continua. Sono sogni di movimento e insieme di impotenza, in cui l’azione non produce liberazione. Non c’è una vera “exit”, se non quella “you can’t see with your eyes”, un’uscita interiore, invisibile, che rimanda a una dimensione spirituale non dogmatica ma profondamente introspettiva. Dylan non cerca assistenza, non invoca salvezze esterne: ha già “gone the distance”. Questo verso è cruciale, perché ribalta l’idea di un artista in crisi come figura smarrita. Qui parla qualcuno che ha attraversato tutto, che è arrivato in fondo e ora osserva i propri sogni come residui, come segnali da decifrare.
Il rapporto tra testo e musica è uno degli elementi che rendono Series of Dreams un capolavoro. La sobrietà e la quasi neutralità emotiva della scrittura vengono controbilanciate da un arrangiamento maestoso, in continuo movimento. Questa tensione produce un effetto straniante: i sogni sono raccontati senza enfasi, ma il suono li carica di urgenza, di slancio, di vita. È come se la musica dicesse ciò che il testo trattiene. In questo senso, la canzone anticipa chiaramente il clima di Time Out of Mind, dove l’ombra e la profondità emotiva saranno ancora più evidenti, ma qui sono già presenti in forma embrionale e sorprendentemente vitale.
La decisione di escludere Series of Dreams da Oh Mercy resta una delle più discusse della carriera di Dylan. Lo stesso Lanois avrebbe voluto aprire l’album con questo brano, riconoscendone il valore simbolico e musicale. Col senno di poi, è difficile non concordare: Oh Mercy con Series of Dreams avrebbe avuto un centro di gravità ancora più esplicito. Tuttavia, proprio la sua esclusione ha contribuito a costruirne il mito, trasformandola in una canzone “necessaria” che vive ai margini prima di essere riconosciuta ufficialmente.
Con la pubblicazione di The Bootleg Series 1–3 nel 1991, Series of Dreams diventa finalmente accessibile a un pubblico più ampio e viene immediatamente riconosciuta come una delle migliori canzoni mai scritte da Dylan. Da quel momento, entra stabilmente nel racconto della sua rinascita artistica. Non come episodio isolato, ma come prova definitiva che, anche dopo un decennio complesso e contraddittorio, Dylan era ancora capace di scrivere musica audace, moderna e profondamente personale.
Series of Dreams è qualcosa di più un semplice pezzo incentrato sui sogni. E' il sogno stesso di un artista che attraversa la notte per ritrovare movimento, ritmo e stato di grazia attraverso la scrittura di un brano.

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