Analisi musicale e testuale di Jokerman
Analisi testuale e musicale del brano Jokerman
Jokerman è una delle aperture più enigmatiche e affascinanti della discografia di Bob Dylan. Pubblicata nel 1983 come primo brano di Infidels, la canzone inaugura una nuova fase poetica e musicale: dopo gli anni della trilogia cristiana, Dylan torna a una scrittura più allegorica, ambigua, stratificata, che attinge alla Bibbia ma anche al paesaggio politico, alla cultura popolare e a un senso di disincanto tipico del mondo postmoderno. L’aspetto forse più sorprendente è che questa profondità testuale si innesta su una musica insolitamente leggera, quasi sospesa, dominata dalla pulsazione morbida di Sly & Robbie, dal fraseggio limpido di Mark Knopfler e da una struttura melodica che sembra voler smussare le asperità del testo per trasformarle in una danza inquieta.
Sin dalle prime immagini—“Standing on the waters casting your bread / While the eyes of the idol with the iron head are glowing”—Dylan richiama un immaginario biblico, evocando figure profetiche, idoli pagani, paesaggi da Esodo e visioni apocalittiche. La figura del “Jokerman” è un trickster, un giullare sacro, un personaggio ambiguo la cui identità oscilla tra profeta, impostore, eroe romantico e spettatore ironico del collasso morale del mondo. Il riferimento al “casting your bread upon the waters” richiama l’Ecclesiaste, mentre l’“idol with the iron head” rinvia ai culti idolatrici condannati nel Pentateuco. Eppure, nonostante questa densità simbolica, la narrazione non assume un tono dottrinale: Dylan non indica, non predica, ma osserva con distacco poetico.
Il ritornello, con la sua ripetizione ciclica e quasi ipnotica, presenta il Jokerman come una figura che danza “to the nightingale tune”, sotto la luna, come se fosse parte di un rituale antico. Qui la musica gioca un ruolo decisivo: Sly Dunbar crea un ritmo che non è propriamente reggae ma ne conserva la flessibilità, rendendo la linea vocale di Dylan più mobile e incantata. Knopfler interviene con una chitarra ricca di filigrane melodiche che non sovrastano il canto ma lo accompagnano con trasparenza. È un paesaggio sonoro che suggerisce movimento, leggerezza e allo stesso tempo disorientamento.
Il secondo strofa introduce una dimensione psicologica più marcata. Il Jokerman emerge come figura solitaria, che “rise up and say goodbye to no one”. Dylan lo descrive mentre abbandona continuamente ruoli, identità, “layers of skin”, come se fosse un serpente in muta. La frase “keeping one step ahead of the persecutor within” suggerisce che la minaccia non è esterna, ma interna: un persecutore intimo, forse una forma di colpa, forse il dubbio religioso che perseguita l’uomo postmoderno. La spiritualità, dopo gli anni della proclamazione, qui diventa più complessa, piena di conflitti.
La terza strofa amplia lo spettro simbolico: “You’re a man of the mountains, you can walk on the clouds”, Dylan attribuisce al Jokerman qualità miracolose, quasi messianiche, subito però ridimensionate dal sarcasmo: “You’re going to Sodom and Gomorrah / But what do you care?” La critica è sottile, non indirizzata a una figura specifica ma al modo in cui la cultura occidentale affronta il decadimento morale: con distacco, ironia o indifferenza. Il verso “friend to the martyr, a friend to the woman of shame” indica una figura che attraversa tutte le categorie sociali—sacro e profano, martirio e prostituzione—rimanendo però intoccato, come un osservatore esterno.
Con la quarta strofa Dylan spinge ancora più in là il sincretismo culturale: Levitico e Deuteronomio, “the law of the jungle and the sea”, Michelangelo e il cavallo bianco mitico. Il Jokerman diventa un ibrido di tradizioni: religioso, naturale, artistico. La sua immagine, “carved out” da Michelangelo, assume una qualità quasi scultorea, rinascimentale, come se fosse un ideale umano immerso in un mondo crepuscolare. E ancora una volta le immagini bucoliche—i campi, il cane che lecca il volto—rompono il tono profetico e aggiungono un senso di quotidianità sorprendente.
La penultima strofa affronta direttamente il tema della violenza politica: “The rifleman’s stalking the sick and the lame / preacherman seeks the same”. È una visione cupa dell’America dei primi anni Ottanta, un mondo segnato da tensioni sociali, militarizzazione, disuguaglianze crescenti. Le immagini di “nightsticks and water cannons, tear gas, padlocks” evocano manifestazioni represse, una società sull’orlo della frattura. Il Jokerman, ancora una volta, non interviene: la sua funzione è quella di testimone enigmatico, non di salvatore.
L’ultima strofa presenta una sorta di anti-messia, “a prince dressed in scarlet”, figura del potere corrotto che “put the priest in his pocket” e consegna i bambini alla prostituzione sacralizzata. È un mondo dominato dalla perversione dell’autorità. Il Jokerman, di fronte a tutto questo, rimane impassibile: “you don’t show any response”. Questo silenzio è forse la chiave di tutta la canzone: una critica alla passività, alla disillusione culturale, a un’umanità che assiste a visioni di decadenza senza reagire.
Musicalmente, Jokerman accompagna questa complessità con un arrangiamento luminoso, quasi ironico. La voce di Dylan rimane distaccata, giocosa, mentre la band crea un clima sonoro che contrasta intenzionalmente con le tenebre del testo. Questo contrasto è la forza del brano: una danza contemplativa sull’orlo dell’abisso.
Nel complesso, Jokerman è una delle composizioni più dense e sfuggenti di Dylan: un mosaico di simboli religiosi, critiche politiche e riflessioni identitarie immerse in una musica limpida e mobile. È il manifesto poetico di Infidels e uno dei vertici assoluti della sua produzione anni Ottanta.

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