Il rapporto tra Bob Dylan e Mike Porco - Parte prima
L'impresario calabrese nel cuore del Village
La storia della musica del Novecento è piena di incontri che sembrano nati per
caso, eppure possiedono la forza di cambiare il corso degli eventi. Tra questi,
il legame tra Mike Porco e Bob Dylan rappresenta uno degli episodi più
affascinanti e meno raccontati. Prima che Dylan diventasse la voce più
influente del cantautorato moderno, prima ancora che le sue canzoni iniziassero
a risuonare come inni generazionali, ci fu un uomo di origini cosentine a
riconoscere il talento bruciante di quel ragazzo magro, appena arrivato dal
Minnesota. Mike Porco, nato a Domanico, un piccolo comune incastonato tra i
monti a pochi chilometri da Cosenza, aveva costruito la sua fortuna a New York
aprendo un ristorante che presto si sarebbe trasformato in uno dei palcoscenici
più importanti della scena folk: il Gerdes Folk City. In un’America che
accoglieva gli immigrati con promesse e contraddizioni, Porco incarnava la
figura dell’impresario autodidatta, burbero e generoso, capace di trattare con
musicisti sognatori e poeti squattrinati con la stessa autorevolezza con cui si
muoveva nel mondo degli affari. Quando Dylan arrivò al Gerde’s, non aveva
ancora una direzione né un’identità definita. Ma Porco vide ciò che molti
ancora ignoravano: una voce che apparteneva già alla storia.
Gerdes Folk City, la culla del primo Dylan
Il Gerdes Folk City, aperto nel 1960 al numero 11 di West 4th Street, era inizialmente solo un ristorante, uno di quei locali capaci di diventare casa per gli artisti prima ancora di essere un luogo di spettacoli. Con il passare del tempo e grazie all’intuito di Porco, divenne un punto nevralgico della scena folk del Greenwich Village, accogliendo figure come Phil Ochs, Joan Baez, Richie Havens e decine di altri protagonisti del rinascimento acustico dell’epoca. Ma fu l’ingresso di Bob Dylan a rendere leggendario quel palco. Mike Porco conosceva bene le regole dello show-business, ma più di tutto conosceva le persone. Quando si trovò davanti quel giovane che sembrava uscito da un romanzo di Kerouac, un misto di spavalderia, fame e nostalgia, scelse di proteggerlo quasi come un padre. Fu lui a farlo esibire, a presentarlo al pubblico del Village, a inserirlo nel circuito musicale che avrebbe cambiato la sua vita. E sarà proprio Dylan, decenni dopo, a ricambiare quel gesto con affetto e ironia, chiamandolo il suo “papà siciliano” nell’autobiografia Chronicles Vol. 1, un errore geografico che, pur divertente, non cancella la verità più profonda del loro legame: senza Porco, il primo Dylan non sarebbe esistito come lo conosciamo.
Quando il Menestrello sbarcò a Cosenza nel luglio 2006
Ci sono momenti in cui la storia sembra chiudere un cerchio. Il concerto che
Bob Dylan tenne allo stadio San Vito di Cosenza nel luglio del 2006 – lo stesso
impianto che oggi porta il nome di Marulla, in onore del bomber rossoblù
scomparso nel 2015 – fu uno di quei momenti. In una Calabria che raramente
aveva ospitato artisti di tale portata, Dylan salì sul palco con una dedica
speciale per Mike Porco, quel “papà siciliano” che in realtà veniva da
Domanico, a pochi chilometri da lì. La serata si trasformò in qualcosa di
diverso da un semplice concerto: fu un atto di riconciliazione spirituale, un
viaggio a ritroso verso un’origine condivisa fatta di emigrazione, speranza,
intuizioni geniali e seconde possibilità. Molti nel pubblico non conoscevano la
storia di Porco, ma Dylan sì, e quella dedica mise in comunicazione due mondi
distanti: il Village del 1961 e la Calabria del 2006, la New York che si
preparava a plasmare un genio e la provincia italiana che aveva visto nascere
l’uomo che lo scoprì.
La memoria che ritorna: il film di Scorsese e la Rolling Thunder Revue
Quando nel 2019 Netflix distribuì Rolling
Thunder Revue: A Bob Dylan Story by Martin Scorsese, il nome di Mike Porco
tornò a emozionare il pubblico. In una delle scene più struggenti, Dylan fa
ritorno sul palco del Gerde’s Folk City durante il tour del 1975, il primo vero
ritorno dopo anni di assenza dai palchi. Il club, che nel 1970 si era spostato
al 130 di West 3rd Street e che avrebbe chiuso nel 1987, appariva come un luogo
sospeso nel tempo, un punto d’accesso privilegiato alla memoria collettiva
della musica americana. Scorsese, maestro dell’evocazione e del racconto
visivo, mostrava un Dylan che sembrava dialogare con il suo passato, con i
fantasmi dei primi concerti, con l’eco delle prime recensioni e delle prime
paure. E in mezzo a tutto ciò c’era ancora l’ombra di Porco, la figura
dell’uomo che aveva creduto in lui fin dall’inizio e che aveva contribuito a
costruire il mito del Village. Guardando quel passaggio del film, risultava
chiaro come la storia della musica non sia solo una successione di dischi, ma
un tessuto umano fatto di incontri decisivi, di luoghi, di legami che
sopravvivono al tempo e ai cambiamenti dei decenni.
La Calabria nel Neverending Tour e il lascito artistico
Cosenza e la Calabria entrarono quindi, quasi per destino, nella geografia
sentimentale del Neverending Tour, quel percorso infinito che Dylan intraprese
alla fine degli anni Ottanta e che si sarebbe interrotto solo con il lockdown
del 2020. Tra le centinaia di città attraversate, la tappa del San Vito del
2006 rimane una delle più simboliche: non per la scaletta, non per la
performance, ma per il significato affettivo e culturale che racchiudeva.
Un filo di memoria, insieme collettiva e profondamente personale, collega
Domanico – il paese d’origine di Mike Porco – alla città di Cosenza e al suo
storico stadio San Vito, oggi intitolato a Gigi Marulla, casa del Calcio Cosenza,
cuore pulsante delle notizie Cosenza sport. Da quel luogo simbolico del Sud
Italia, il viaggio ideale conduce fino al cuore del Greenwich Village di New
York, dove Bob Dylan muoveva i primi passi grazie all’intuizione del suo
impresario calabrese. È proprio questo legame geografico e culturale a rendere
la Calabria una delle tappe più significative del Neverending Tour, la lunga
tournée che Dylan avviò alla fine degli anni Ottanta e che si sarebbe
interrotta solo con il lockdown globale del 2020. In questo intreccio di
ricordi, luoghi e ritorni, il rapporto tra Dylan e Porco ritrova tutta la sua
forza storica e simbolica, anche in ottica di notizie Cosenza e dintorni.
Da Domanico al cuore del Village, dal Gerde’s Folk City allo stadio
cosentino, la storia di Mike Porco rappresenta il viaggio inverso dell’America
verso l’Italia, il riconoscimento di un legame mai spezzato. E per comprendere
appieno quanto quel legame sia stato decisivo, basta guardare all’ultima grande
pubblicazione dylaniana: The Bootleg Series
Vol. 18: Through the Open Window 1956–1963. La raccolta include proprio
alcune registrazioni dal vivo effettuate al Gerde’s Folk City, testimoni
preziosi degli anni in cui Dylan stava ancora cercando la sua voce e Porco lo
accompagnava come un padrino laico, un ponte tra Old World e New World. Quelle
tracce, ascoltate oggi, raccontano più di un giovane musicista: raccontano l’eredità
di un calabrese emigrato con pochi mezzi e molto coraggio, che contribuì a
rendere grande un ragazzo destinato a diventare un’icona mondiale.
Mike
Porco non fu soltanto un impresario: fu il custode di un talento nascente, un
uomo che seppe riconoscere la verità di una voce quando ancora nessuno la
vedeva. E da quell’incontro, nato tra le montagne della Calabria e le strade
del Village, prese forma una delle storie più belle della musica americana. Una
storia importante quindi per il tessuto sociale e musicale, ma anche per quanto
riguarda le notizie Cosenza sport e cultura che rendono il capoluogo una
città da visitare e da vivere.


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