A proposito di Tangled Up in Blue
Tangled Up in Blue è il brano che apre Blood on the Tracks (1975), quindicesimo disco in studio di Bob Dylan e considerato da molti il suo capolavoro. Sin dal primo verso, la canzone immerge l’ascoltatore in un flusso narrativo che si muove attraverso tempi, luoghi e identità instabili. È una ballata che sembra raccontare una storia, ma che in realtà ne racconta molte: un amore perduto, una continua fuga, la ricerca di una direzione, e al tempo stesso il tentativo di riconciliarsi con ciò che non può più tornare.
Natalie Merchant ha definito Tangled Up in Blue “un capolavoro di narrazione”, sottolineando come Dylan riesca a delineare personaggi complessi con pochissimi tratti. “Alcuni sono matematici, altri mogli di carpentieri…”: in mezza riga si apre un mondo, una vita intera, una relazione immaginata o vissuta. “Lavorava in un locale topless, e io mi fermai per una birra…”: basta questo a collocare il narratore in un margine della sua stessa esistenza, in un punto di contatto tra memoria e desiderio. Merchant osserva come Dylan sembri portare sulle spalle il peso della propria storia e del proprio ruolo, una condizione che lo isola: “È difficile essere Bob Dylan”, dice, alludendo al paradosso di un artista che deve convivere con la grandezza della propria leggenda.
La canzone è stata letta a lungo come testimonianza della crisi matrimoniale tra Dylan e Sara Lownds, ma questa interpretazione biografica, come nota Adam Sweeting, è limitante. In Tangled Up in Blue l’autore costruisce piuttosto una sorta di autobiografia mitica: un viaggio attraverso le fasi della propria vita, dalle prime esperienze musicali nelle caffetterie di New York fino alle strade del Midwest e del Sud. Il protagonista è un uomo che attraversa luoghi e volti, e ogni incontro sembra ripetere l’eco della figura femminile al centro del brano, un amore impossibile da trattenere, ma altrettanto impossibile da dimenticare.
Jackie Leven racconta che la canzone lo ha aiutato a superare un periodo di depressione: “L’idea di essere aggrovigliato nel blu era immensamente utile”. Qui il “blu” non è solo il colore della malinconia, ma una condizione emotiva complessa, in cui il passato e il presente si intrecciano senza soluzione. Il narratore non è schiacciato da questo nodo: lo abita. Essere “tangled up” significa riconoscere che ciò che ci ferisce continua a viverci accanto, come una musica che non smette mai del tutto.
Molti ascoltatori sottolineano la capacità della canzone di apparire nuova ogni volta. Carl Hiaasen osserva che “non suona mai allo stesso modo due volte”. Dylan l’ha infatti modificata in concerto innumerevoli volte, cambiando prospettive, tempi verbali, punti di vista narrativi. È come se Tangled Up in Blue fosse una storia aperta, che continua a vivere nel tempo insieme a chi l’ascolta.
Il sound di Blood on the Tracks contribuisce in modo decisivo a questa impressione di vicinanza emotiva. Eileen Rose si domanda come gli strumenti possano suonare così caldi e sottili: chitarra, basso e armonica sembrano registrati nella stessa stanza dell’ascoltatore. Il risultato è intimo, diretto, senza filtri.
Alla fine, come nota Nick Johnstone, spiegare perché si ama Tangled Up in Blue “è come spiegare perché si ama respirare”. La canzone non si limita a raccontare una storia: fa sentire che vivere significa portare con sé ciò che non può più essere risolto, ma può ancora essere cantato. È questo il miracolo di Dylan: trasformare il dolore in forma, la memoria in ritmo, la perdita in una strada ancora percorribile.
Tangled Up in Blue non cerca catarsi né conclusione. Vive nell’istante in cui si continua a camminare, avvolti nel blu, e si sceglie comunque di andare avanti.

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