Changing of the Guards: analisi testuale e musicale
Changing of the Guards è il brano che apre l'album Street-Legal, pubblicato nel giugno 1978. Ciò che si presenta all’ascoltatore è un Dylan che rinasce come un guerriero che non chiede permesso a nessuno per cambiare pelle. L’album, all’epoca frainteso e liquidato con superficialità, rappresenta invece una delle sue vette creative più ardite, un punto in cui il cantautore sfida il proprio pubblico e la critica rifiutando ogni comfort zone, come aveva sempre fatto nei momenti decisivi della sua carriera. Ma qui la distanza tra ciò che Dylan stava facendo e ciò che gli altri credevano stesse facendo diventa un canyon.
Street-Legal è un disco corazzato, scattante, impregnato di un’energia urbana e di un’urgenza spirituale che si riflettono già nel titolo: “street-legal” è l’auto truccata che può legalmente correre su strada, ma è anche la dichiarazione programmatica di un artista pronto alla battaglia, “a norma” per attraversare un’epoca di forti turbolenze estetiche e ideologiche. Siamo negli anni del punk, del glam e della disco music: tre movimenti aggressivi, scintillanti e iconoclasti che stanno riscrivendo la cultura pop. Dylan risponde a modo suo, con un album che prende in prestito sonorità latine, soul, gospel e rock orchestrale, costruendo un suono denso, stratificato, quasi da big band moderna.
In questo contesto, Changing of the Guards si impone come una delle composizioni più ambiziose e visionarie del Dylan maturo. Un brano che abbraccia mito, allegoria, autobiografia criptata e una trascendenza epica che fa pensare a Chimes of Freedom, Gates of Eden o Abandoned Love, ma con una nuova forza narrativa: un Dylan più adulto, contuso, bellicoso e pronto a rimettersi in gioco. Il testo è un affresco visionario che si apre con un’immagine militaresca e rituale: “Sixteen banners united over the field”. Il numero sedici, come accade spesso in Dylan, può essere pura suggestione cabalistica o un rimando esoterico. Quel campo è uno spazio di conflitto e di passaggio, come se stessimo assistendo a una cerimonia iniziatica o a un cambio di regime, una resa dei conti che chiama in causa poteri, sacerdoti, tradimenti, lune di sangue, torri, mercanti e streghe.
La figura del narratore è mobile, cangiante, sospesa tra azione e contemplazione. L’ingresso “into the marketplace” richiama l’iconografia biblica del profeta che scende tra il popolo, ma anche il Dylan dei Seventies che torna nella mischia della musica dopo una fase di apparente ritirata domestica. I mercanti e i ladri “hungry for power” evocano un mondo corrotto, mentre la donna – figura cardine della narrazione – rappresenta forse un amore perduto, un ideale, o più simbolicamente la musa artistica: “She’s smelling sweet like the meadows where she was born”. Molti critici hanno letto in questo brano una sorta di autobiografia cifrata degli anni precedenti, incluse le tensioni matrimoniali e personali. Ma Changing of the Guards funziona soprattutto come poema epico: un viaggio iniziatico che unisce il profano al sacro, il desiderio alla disillusione, l’ordine al caos. La donna rasata (“They shaved her head”) e strappata tra Giove e Apollo richiama sacrifici mitologici, ma potrebbe essere anche il segno della violenza del cambiamento. Lei è visione, apparizione, fantasma e guida insieme. Il cuore del brano arriva con il monologo: “Gentlemen, he said / I don’t need your organization”.
Una dichiarazione politica, artistica, esistenziale. Un manifesto. Dylan respinge ordini, strutture, gerarchie. “Eden is burning”: il paradiso è in fiamme, e il cantautore rifiuta falsi idoli e compromessi, invitando invece a trovare “the courage for the changing of the guards”. Il messaggio è chiaro: il cambiamento è inevitabile, ma richiede forza morale, lucidità e coraggio. È una chiamata alle armi poetica, rivolta sia a sé stesso sia a chi lo ascolta.
Musicalmente, Changing of the Guards è un muro di suono che rovescia ogni aspettativa. Invece del Dylan acustico o del ruspante country-rock degli anni precedenti, qui c’è una band vasta, con fiati, coriste, tastiere, arrangiamenti che flirtano con il soul di Memphis e il gospel di strada. È un suono caldo ma complesso, ricchissimo, latino nel ritmo e americano fino al midollo nell’ampiezza emotiva.
La batteria incalza con un groove quasi da musica R&B anni Settanta, mentre il sax e le coriste costruiscono un contesto cerimoniale, quasi religioso. Dylan canta con una grinta nuova: voce ruvida, affannosa, ma determinata, come se stesse davvero guidando una processione verso un nuovo ordine. La produzione, a lungo criticata per la sua densità, oggi risuona invece come un esperimento riuscito: Dylan si appropria della grandeur orchestrale del periodo senza perdere un solo grammo della propria intensità poetica. È un Dylan “street-legal”, pronto a correre, ma con un motore sonoro radicalmente rivisitato.
L’accoglienza fu fredda, persino ostile. Molti videro in queste sonorità un tradimento, un eccesso, un confuso tentativo di modernizzazione. Ma in realtà Dylan stava facendo ciò che aveva sempre fatto: sottrarsi alle aspettative, inventare una nuova direzione, tradire per restare fedele a sé stesso. Le critiche, oggi, appaiono come un colossale fraintendimento. Street-Legal anticipa il ritorno alla spiritualità che esploderà con Slow Train Coming, ma anche l’energia teatrale dei tour del 1978 e 1979, segnando un periodo di fecondissima metamorfosi.
Changing of the Guards, in particolare, è una dichiarazione programmatica: non è solo l’inizio del disco, è l’inizio di un nuovo Dylan.
Il brano si chiude con un’immagine splendida e minacciosa: “Between the King and the Queen of Swords”. È un riferimento ai tarocchi, simbolo di conflitto, lucidità, giudizio, destino. Il cambio della guardia non è soltanto una rivoluzione politica o personale: è un passaggio cosmico, un nuovo equilibrio tra forze che governano il mondo interiore e quello esterno. La pace arriverà, dice Dylan, “on the wheels of fire”, ma non porterà ricompense terrene. È una visione apocalittica e splendida insieme, che suggella la grandezza del brano.
Changing of the Guards rimane una delle più alte realizzazioni del Dylan maturo. Un poema epico in forma di canzone, un inno al cambiamento, una sfida lanciata al proprio tempo. È l’apertura perfetta di un disco che merita una piena rivalutazione: audace, colto, emotivamente sfrontato. Un Dylan che non chiede il permesso di esistere in modo nuovo, e anzi lo impone con una delle sue composizioni più ardite, più coraggiose e più luminose. Un’opera che corre ancora oggi, Street-Legal, pronta a sfidare chiunque osi starle davanti.


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